Ellen MacArthur, velista inglese di 28 anni, nel 2005 batte il record della circumnavigazione
in solitaria del globo in soli 71 giorni - ©OMEGA Ltd

 

Nella solitudine dell’oceano ha capito l’importanza, per sopravvivere, della gestione di risorse scarse come cibo, acqua e attrezzature. Ellen MacArthur, velista inglese di 28 anni, nel 2005 batte il record della circumnavigazione in solitaria del globo in soli 71 giorni. Negli anni successivi non abbandona la passione per le barche, ma decide di trasferire la filosofia elaborata navigando, al mondo della produzione. Crea quindi una Fondazione, che porta il suo nome, con l’obiettivo di “accelerare la transizione verso un’economia circolare”. 

Anche l’economia deve infatti fare i conti con risorse finite. Se non si rimette in discussione il prevalente modello di sviluppo lineare, dove domina la logica dell’usa e getta, nei prossimi decenni la disponibilità di diversi elementi – come oro, argento, indio, iridio e tungsteno – è destinata a scarseggiare.

 

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L’attenzione sulle positive ricadute di un’economia circolare ha portato ad analisi approfondite su diverse scale. 

Un interessante studio sulle prospettive dell’economia circolare a livello nazionale è stato elaborato in Olanda. Analizzando 17 gruppi di prodotti del settore elettronico e meccanico si è valutato che a fronte di un fatturato di 16,5 miliardi euro/a, l’attuale livello di “circolarità” già consente guadagni per 3,3 miliardi di euro (cioè pari la 20%). Un aumento delle attività di manutenzione, riuso e riciclaggio consentirebbe di incrementare le entrate di 0,5 miliardi di euro.

Naturalmente questo comporterebbe una riduzione delle vendite di prodotti nuovi, un fatto privo di ripercussioni interne nel caso olandese, visto che vengono importati. Anzi, il vantaggio legato alle minori importazioni viene stimato in 0,4 miliardi di euro portando così i benefici a 0,9 miliardi euro/a, oltre alla creazione di 10.000 nuovi posti di lavoro (figura 1). Estendendo i vantaggi dell’economia circolare all’intero comparto produttivo olandese, si è stimata una crescita di 7,3 miliardi euro/a, pari all’1,4% del Pil con un incremento di 54.000 occupati. Quanto tempo occorrerebbe per avviare questa transizione? Una quindicina di anni, ma con la metà dei benefici concentrati già nel primo triennio. 

 E si tratta di un percorso che l’Olanda sta in effetti favorendo. La banca Rabobank, per esempio, nel 2013 ha finanziato con 740 milioni di euro le attività “circolari” delle aziende olandesi, con l’intenzione di aumentare sensibilmente il supporto nei prossimi anni.

Tale analisi riferita a un piccolo paese chiarisce le grandi potenzialità legate alla diffusione di questa filosofia. 

Allargando lo sguardo a livello mondiale, i margini di intervento sono evidenti: nel 2010 erano 65 miliardi le tonnellate di materie prime entrate nei cicli produttivi e solo un 20% veniva recuperato. Un ridisegno delle modalità di produzione e il recupero spinto dei materiali potrebbe incrementare questa percentuale fino al 50%.

Lo sviluppo delle potenzialità di un’economia circolare consentirebbe quindi di invertire la tendenza attuale e di orientarla decisamente verso un migliore e minore utilizzo di materia ed energia.

In realtà esistono esempi virtuosi di riuso e recupero dei materiali, in particolare in paesi con poche materie prime: così il Giappone, per esempio, ricicla il 98% dei metalli.

E sono diversi i paesi che, analogamente al miglioramento dell’intensità energetica, fanno registrare una riduzione dell’intensità di impiego dei materiali.

Prendiamo il caso del Regno Unito. Nel 2000 l’economia inglese assorbiva 520 milioni di tonnellate di materie prime e ne recuperava e riusava solo 50 milioni. Dieci anni dopo, a fronte di una crescita economica del 20%, l’impiego di materie prime si era ridotto a 420 milioni di tonnellate e, soprattutto, la quantità riciclata era più che raddoppiata passando a 115 milioni di tonnellate grazie a una serie di attività in grado di occupare 130.000 persone (figura 2).

 

 Dunque, seppure in maniera non omogenea, si sta registrando un aumento dell’efficienza dell’impiego delle risorse. Questo trend andrebbe però decisamente accelerato, visti i notevoli benefici e le ricadute occupazionali che ne possono derivare.

Nel caso del Regno Unito, in presenza di efficaci politiche che incoraggino l’economia circolare, si avrebbe un incremento di mezzo milione di posti di lavoro al 2030. Naturalmente la crescita nei settori del recupero, riuso e riciclo comporta anche la riduzione di posti di lavoro nei comparti tradizionali. È dunque importante valutare gli incrementi occupazionali netti, che nel caso del Regno Unito sono stati stimati pari a centomila occupati alla fine del prossimo decennio. 

Dunque, una politica intelligente che identifichi obiettivi ambiziosi, rimuova gli ostacoli e accompagni la trasformazione dell’economia, non solo consente un utilizzo più razionale delle risorse ma presenta un bilancio positivo anche dal punto di vista occupazionale.

Se si estende l’analisi all’intera Europa si ha un quadro analogo. I valori del 2012 delle materie prime impiegate, tenendo conto anche di quelle connesse alla produzione dei prodotti esportati e importati (Raw material consumption, Rmc), sono risultati leggermente inferiori rispetto a quelli del 2000, a fronte di una crescita del Pil del 16% (figura 3).

 

 A livello mondiale l’aumento della produttività delle risorse al 2030 legato all’adozione di politiche “circolari” consentirebbe di ridurre decisamente la domanda di minerali, energia, acqua e territorio (in alcuni settori del 30%) contribuendo ad allentare le tensioni e le instabilità sui prezzi.

Stupisce quindi, sia in relazione ai risultati già raggiunti sia riferendosi alle evidenze degli studi che la stessa Commissione aveva fatto elaborare, la frenata europea sul pacchetto di politiche e obiettivi legati all’economia circolare. Alla fine di febbraio questo insieme di misure è stato infatti messo da parte: un pessimo segnale, mitigato dalla promessa di riprendere in futuro la discussione su questi temi in maniera “più ambiziosa”.

Questa incertezza non rallenterà comunque lo sforzo della parte del sistema industriale più attenta nella chiusura dei cicli dei materiali e nella progettazione di oggetti che possano essere disassemblati, ricostruiti, riciclati. 

 

 

Proprio per accelerare questi processi, la Fondazione MacArthur ha stretto un’alleanza con il World Economic Forum, puntando a coinvolgere importanti gruppi industriali che coprono il 5-10% del mercato mondiale delle plastiche, della carta, dell’elettronica e degli elettrodomestici, nell’ambito del Progetto Mainstream. Si tratta infatti di comparti nei quali esiste un ampio margine di intervento.

Il 93% del teraftalato di polietilene (Pet) usato negli imballaggi viene ancora prodotto partendo da materiale vergine. L’obiettivo è di ridurre del 10% la quota non recuperata creando un valore di 4 miliardi dollari/a. 

Il miglioramento del recupero della carta nei paesi dove quest’attività è ancora debole consentirebbe una valorizzazione per 10 miliardi dollari/a. Ma il comparto dove i risultati possono essere veramente impressionanti è quello dei materiali elettronici e degli elettrodomestici che a fine vita hanno un valore di 390 miliardi dollari/a. In quest’area l’avvio di azioni e politiche concertate potrebbe portare a una valorizzazione pari a 52 miliardi dollari/a.

Si tratta, come si vede, di programmi ambiziosi, che possono venire accelerati dall’adozione di norme adeguate. Come nel caso della Francia, che ha visto a marzo l’entrata in vigore di una legge contro l’obsolescenza programmata. Ma per essere realmente efficaci occorre alzare il tiro. E l’Europa deve riprendere il suo ruolo di guida.

 

Il presente articolo prende spunto ed espande alcuni contenuti del volume Due gradi di Gianni Silvestrini, Edizioni Ambiente, 2015.