Photo Credit: MCC Thomas Koehler

 

A ottobre l’Ipcc, il Panel scientifico internazionale che sotto l’egida delle Nazioni Unite studia gli effetti dei cambiamenti climatici, ha pubblicato un Rapporto speciale considerato di fondamentale importanza. 

Da una parte perché lo Special Report “SR15” ha ricordato che mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°, l’ambizione più alta dei paesi sottoscrittori nel 2015 dell’Accordo di Parigi, è ancora a portata di mano. Dall’altra, perché ha messo chiaramente i governi di fronte al fatto che se quell’obiettivo verrà superato, le conseguenze per l’uomo e gli ecosistemi saranno serissime anche solo con una temperatura media più alta di mezzo grado. 

Le azioni messe in campo finora ci portano a un riscaldamento di 3,2° da qui al 2100: “Entro il 2030 le emissioni devono essere ridotte di quasi la metà, entro il 2050 devono essere a zero”, spiega a Materia Rinnovabile Sabine Fuss, economista esperta di servizi ecosistemici, tra i principali autori del quarto capitolo del rapporto inerente al rafforzamento e l’implementazione della risposta globale alle minacce dei cambiamenti climatici. Per la scienziata tedesca, responsabile del gruppo di lavoro Sustainable Resource Management and Global Change del Mercator Research Institute di Berlino, la sfida è così complessa che richiede di ricorrere anche a soluzioni di CDR. La sigla sta per Carbon Dioxide Removal (rimozione di biossido di carbonio), e indica i diversi sistemi già disponibili e quelli ancora allo studio per rimuovere la CO2 dall’atmosfera, intervenendo così sulle emissioni che non si riescono a evitare. 

Rispondendo alle domande di Materia Rinnovabile, Fuss riflette sul ruolo di queste tecnologie, e su come il loro utilizzo possa essere bilanciato in un’ottica di costi-benefici, sia sul piano economico sia su quello ambientale.

 

Uno dei risultati principali emersi dallo SR15 è che l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C è ancora raggiungibile. “I prossimi anni saranno probabilmente i più importanti della nostra storia”, ha detto Debra Roberts, co-presidente del Working group II dell’Ipcc. SR15 è l’ultima chiamata prima del disastro? 

“Entro il 2030 le emissioni devono essere ridotte di quasi la metà, entro il 2050 devono essere pari a zero. Lo Special Report mostra chiaramente che gli impegni attuali di riduzione delle emissioni sotto l’accordo di Parigi non sono sufficienti per raggiungere questi risultati: anche se le ambizioni aumenteranno dopo il 2030, l’obiettivo di 1,5 °C rimarrà fuori portata.” 

 

 

Quali tecnologie e quali provvedimenti dovrebbero preferire i decisori politici?

“Abbiamo valutato un’ampia gamma di percorsi verso gli 1,5 °C, con alla base portafogli di opzioni di mitigazione molto diversi. L’Ipcc non prescrive nessuno di questi, ma li valuta tutti per consentire ai decisori politici di costruire le loro strategie sulla base dell’attuale stato delle conoscenze, considerando la loro specifica situazione e le loro preferenze. Profonde riduzioni nel consumo di prodotti che richiedono grandi quantità di terra, energia e altre risorse, cambiamenti di stili di vita, aumenti di efficienza energetica e rapida adozione di soluzioni low carbon, per esempio, possono ridurre la dipendenza da tecnologie CDR.” 

 

A proposito dei sistemi di CDR, qual è il loro ruolo nei percorsi di mitigazione e adattamento?

“Il ruolo dei CDR è duplice: nei percorsi 1,5° valutati, compensano le emissioni residue e consentono di tornare a 1,5°C dopo un superamento temporaneo del target.”

 

Affidarsi troppo a tecnologie di CDR potrebbe portare i Paesi a non tagliare abbastanza le emissioni? C’è una soglia che non andrebbe superata nell’uso di tecnologie di CDR?

“Non penso che il ritardo con la mitigazione sia dovuto al fatto che i decisori politici sanno che alla fine potremmo ricorrere ai CDR. Ci sono altri driver importanti che non dovremmo perdere di vista in questo dibattito. Più è ampio il superamento del target, più sono seri gli impatti del clima, come il report mostra chiaramente. Dunque non c’è dubbio che abbiamo bisogno dei sistemi CDR in aggiunta ai nostri massimi sforzi per ridurre le emissioni il più possibile nel breve e medio termine, e non il contrario.”

 

Che tipo di soluzioni CDR sarebbero preferibili secondo lei?

“Non tutte le opzioni di CDR riguardano tecnologie che sono state attuate su larga scala. C’è molta esperienza in pratiche come imboschimento, ripristino degli ecosistemi e sequestro della CO2 nel suolo (Soil Carbon Sequestration) tramite la gestione sostenibile dei terreni e l’agroecologia, per esempio. Secondo le valutazioni del Report sono opzioni poco costose alle quali pertanto si può accedere nel breve periodo. Tuttavia le preoccupazioni legate alla stabilità di queste soluzioni (per via dell’influenza umana come la deforestazione o interferenze naturali come gli incendi boschivi) indicano che vanno considerate anche altre opzioni. Il Direct Air Capture with Carbon Storage (DACCS), per esempio, è ancora costoso, ma consuma meno terra rispetto al BioEnergy with Carbon Capture and Storage (BECCS). In poche parole, la valutazione mostra che ognuna delle opzioni CDR si scontra con i propri limiti e che quindi avremo bisogno di rivolgerci a portafogli di opzioni tenendo a bada gli effetti collaterali.”

 

Soil Carbon Sequestration (SCS)

Il carbonio è il mattoncino essenziale per la vita sulla terra: i vegetali lo assorbono e immagazzinano nei tessuti attraverso la fotosintesi, gli animali lo assumono tramite il cibo. Dagli esseri viventi, il carbonio passa poi al suolo e lì rimane stoccato. Attraverso la Soil Carbon Sequestration, il terreno oggi rappresenta il terzo maggior bacino di carbonio dopo gli oceani e le fonti fossili. Questa quantità, negli anni diminuita attraverso pratiche agricole non sostenibili, potrebbe essere accresciuta aumentando la concentrazione di sostanza organica. Una soluzione che non solo permetterebbe di ridurre la CO2 in atmosfera, ma garantirebbe anche benefici per gli agricoltori. Più carbonio significa infatti meno degrado del terreno, più fertilità e più produttività agricola. Per questo, la SCS contribuisce alla sicurezza alimentare.

 

Quali invece sono le migliori in termini di costi-benefici?

“Fra le opzioni di CDR valutate nello Special Report, la Soil Carbon Sequestration è quella che riesce a sequestrare una tonnellata di CO2 al minor costo e può anche avere co-benefici in termini di miglioramenti del raccolto agricolo. Il sequestro di anidride carbonica del suolo tuttavia, è soggetto a saturazione, è reversibile e il suo sviluppo può essere limitato dalla superficie del terreno su cui le differenti pratiche possono essere implementate.”

 

Quali vantaggi e quali svantaggi comportano BECCS e imboschimento? SR15 raccomanda anche ai decisori politici di considerare i bisogni delle persone prima di decidere di investire in soluzioni CDR. In quali tipi di situazioni le opzioni di CDR potrebbero risultare negative per le persone e l’ambiente?

“Il vantaggio ovvio è la rimozione della CO2 dall’atmosfera, ma sia BECCS sia l’imboschimento richiedono ampie porzioni di terreno per raggiungere rimozioni di CO2 su larga scala. Questo può portare a conflitti con altri obiettivi di sviluppo sostenibile come la sicurezza alimentare per una popolazione in crescita o la salvaguardia della biosfera terrestre. Dunque, un’attuazione a scala più piccola, beneficiando dove è possibile dei vantaggi di sinergie (per esempio le BECCS forniscono energia, l’imboschimento può essere fatto in modo da riqualificare gli habitat), rappresenta una strategia meno rischiosa.”

 

DACCS e BECCS

I sistemi DACCS (Direct Air Capture with Carbon Storage) consistono nel catturare il carbonio dall’atmosfera e immagazzinarlo oppure impiegarlo in nuovi processi industriali. Attraverso processi chimici, la CO2 viene separata dall’aria e iniettata in serbatoi sotterranei o – per esempio – utilizzata per produrre carburanti sintetici. Non mancano al momento gli aspetti critici, legati da una parte agli alti consumi di energia, dall’altra ai depositi geologici: possibili contaminazioni delle falde acquifere, fughe di CO2, terremoti, tubazioni. Anche nei sistemi BECCS (BioEnergy with Carbon Capture and Storage) la CO2 viene catturata e stoccata: in questo caso, però, il carbonio “bersaglio” del processo non è nell’aria, ma è quello che si genera attraverso la produzione di energia da biomasse.

 

In che modo la deforestazione impatterà sulla quantità di CO2 in atmosfera? 

“La deforestazione causa circa il 10% delle emissioni globali e in questo modo contribuisce in maniera significativa alle concentrazioni di CO2 in atmosfera. Dunque, evitare la deforestazione è un’importante strategia di mitigazione che può portare altri sostanziali benefici in base a come è implementata.” 

 

Quale ruolo potrebbero avere in futuro soluzioni come il biochar, carbone ottenuto da pirolisi di materiali vegetali, o la fertilizzazione degli oceani? 

“È stato valutato che il biochar ha un potenziale significativo a costi ragionevoli, ma la fertilizzazione degli oceani è limitata non solo da incertezze associate con effetti collaterali, ma anche da una moratoria di fatto sulla sua implementazione su larga scala contenuta nel Protocollo di Londra allo scopo di prevenire l’inquinamento marino.” 

 

Fertilizzazione degli oceani

La fertilizzazione degli oceani consiste nell’immergere ferro o altri nutrienti negli strati superiori delle acque per stimolare la crescita di fitoplancton e accrescere così l’assorbimento della CO2 nei mari. In teoria, infatti, il fitoplancton una volta assorbita l’anidride carbonica dovrebbe morire e depositarsi sul fondale. Tuttavia, gli esperimenti hanno evidenziato che le quantità di carbonio realmente sequestrate sono basse, perché in buona parte la CO2 si libera di nuovo entrando nella catena alimentare. Sono stati anche evidenziati rischi legati alla salute degli ecosistemi marini. 

 

 

MCC – Mercator Research Institute on Global Commons and Climate Change, www.mcc-berlin.net

Ipcc, Special Report Global Warming of 1.5 ºC; www.ipcc.ch/sr15