Nel contesto del ciclo di vita di un prodotto e dell'economia circolare, il termine “fine vita” si riferisce di solito al momento in cui un prodotto (o un servizio) raggiunge la conclusione del suo utilizzo da parte di un consumatore. Joe Macleod ha preso questa espressione alla lettera.
Designer di professione, Macleod ha scritto il suo primo libro,
Ends (Fini) per parlare della storia del consumismo vista attraverso le lenti della morte. Dalla peste nera alla rivoluzione industriale nel Nord Europa e la sua conseguente accelerazione del consumismo, il cambiamento del rapporto della società con la morte ha creato una disconnessione culturale dal concetto di fine. Macleod ora si definisce un “endineer” - una crasi tra le parole end, fine, ed engineer, ingegnere - e lavora per aiutare le aziende a cominciare dalla fine, progettando esperienze di offboarding dei consumatori, ovvero di rilascio di un prodotto alla fine del suo ciclo di vita, che massimizzeranno la sostenibilità, svilupperanno nuovi modelli di business, mitigheranno i rischi e aumenteranno la soddisfazione dei consumatori in tutti i settori.
Piuttosto che lasciare che i device elettronici vadano a riempire il cassetto delle cianfrusaglie una volta sostituiti o che gli indumenti rimangano inutilizzati negli armadi, un
endineer potrebbe progettare un programma di ritiro abilitato nel business di rivendita di un marchio stesso, coinvolgendo direttamente il consumatore e assicurando che il valore del prodotto possa continuare a fluire attraverso i nostri sistemi industriali.
Con Joe Macleod abbiamo discusso del valore dell'offboarding per il consumatore e delle opportunità perse finora trascurando il concetto di fine.

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Perché un'azienda dovrebbe soffermarsi sulla fine dell’esperienza del consumatore?
Più che altro, le aziende arriveranno a dirsi: “Accidenti, questo problema è davvero alla luce del sole. Non riesco a credere di non aver mai preso in considerazione il fine vita del mio prodotto.
Negli ultimi decenni, si sono dedicate alla comunicazione e a
coltivare una lealtà dei consumatori al marchio, ma anche questo sta cominciando a non essere sufficiente: c’è molta più concorrenza sul mercato, quindi vengono create esperienze di consumo molto più veloci rispetto a una volta. Creare una relazione con il consumatore più significativa e a lungo termine può avere per l’azienda un valore molto più alto, rispetto al fermarsi al semplice lancio di un prodotto.
Il problema, però, è che al momento non sono state progettate esperienze nell’
offboarding che siano abbastanza emotivamente coinvolgenti da mantenere un legame tra il consumatore e il fornitore.

Come dovrebbe essere il fine vita ideale di un prodotto?
Uno dei miei esempi preferiti è quello del riciclaggio delle bottiglie. In Svezia seguiamo uno schema chiamato “pant”, o deposit return system (sistema di deposito cauzionale), in cui i consumatori pagano un piccolo deposito al momento dell'acquisto di una bottiglia. Il punto più importante è proprio il fatto che la fine della relazione del consumatore viene riconosciuta sin dall’inizio: c’è un accordo tra il consumatore e il fornitore. Il piccolo deposito è un meccanismo che ci tiene legati, e che mi tiene impegnato in quel prodotto. So che quel prodotto, la bottiglia, ha un valore. Quella bottiglia andrà poi restituita nel recipiente corretto, da cui sarà smaltita e rilavorata per diventare un nuovo materiale. Per l'intero ciclo di vita del consumo del prodotto, il fornitore mantiene una relazione con il consumatore.
Questa per me costituisce una perfetta esperienza di offboarding del consumatore: la cosa viene discussa sin dall’inizio, si rimane vincolati sino alla fine quando la neutralizzazione del prodotto viene conclusa, il denaro viene restituito ed entrambe le parti possono andare per la loro strada.

Oltre a una maggiore considerazione del ciclo di vita di un prodotto, perché la fase finale del consumo è importante in economia circolare?
In realtà mi imbatto spesso nella sostenibilità e nella “circolarità” come argomento. La discussione sull'economia circolare è spesso focalizzata su nuovi materiali, nuovi processi, nuove tecniche di produzione, ma nella maggioranza delle conversazioni in cui sono stato coinvolto, nessuno parlava del consumatore. Non prendendo in considerazione l’esperienza del consumatore, non riescono a vedere il marketing per quello che è: un incredibile dono, un aiuto per noi che vogliamo convincere le persone a fare la cosa giusta quando si tratta di disfarsi di un oggetto.
Abbiamo bisogno di impegnarci di nuovo in quanto individui, come consumatori e come aziende per il fine vita dei prodotti, in modo che tutte le persone si sentano abbastanza coinvolte e collaborative da gettare una bottiglia nel cestino giusto e assicurarsi che un indumento finisca nel luogo preposto. Tutto questo può accadere attraverso l’emozione. Se c’è qualcosa che può aiutare in questa impresa, è rendere l’impegno più significativo.

Come conciliare il bisogno di un’azienda di far comprendere al consumatore che il prodotto non è al centro del suo universo? Ai consumatori interessa davvero cosa accade al prodotto dopo?
Siamo bravi a raccontare storie, che sia attraverso film, giochi o libri. Ma vorrei puntualizzare che l’unica struttura narrativa creata dall’umanità in cui manca completamente l’attenzione per la fine è il modo in cui avviene l’esperienza di un consumatore. La narrazione dell’esperienza del consumatore ha un fantastico inizio, una meravigliosa continuazione, ma assolutamente niente alla fine. Abbandoniamo i consumatori e l’esperienza non ha conclusione.
In quanto consumatore, voglio sapere che il mio prodotto verrà
eliminato alla perfezione. Voglio sapere che il mio fornitore, che mi ha aiutato ad acquistare il prodotto, non mi abbandonerà alla fine, e che la storia si concluderà con noi che andiamo ognuno per la nostra strada. È così che dobbiamo cominciare a raccontare la storia, rendendola più semplice da comprendere per il consumatore.

In quanto designer, pensa che sia responsabilità vostra considerare la fine dell’esperienza di consumo?
Per quanto io possa parlare del mio lavoro dal punto di vista del design, si tratta comunque di collaborazione. Tutti – mettendo da parte ego, identità e ruoli all’interno delle proprie organizzazioni - dovrebbero lavorare insieme per creare esperienze di dismissione dei prodotti che siano funzionali e sostenibili.

Questo articolo è stato pubblicato su Greenbiz.com