Il riuso è un tassello fondamentale di un puzzle sempre più complesso ma necessario a una concreta strategia di circolarità a livello italiano ed europeo. Nasce con questa consapevolezza l’ottava edizione del Rapporto nazionale sul riutilizzo, pubblicata ad aprile 2024. A cura di Pietro Luppi e realizzato dall’Osservatorio del riutilizzo di Occhio del riciclone Italia ONLUS in collaborazione con Rete ONU e Labelab e con il patrocinio di ISPRA, il report ha l’obiettivo di scattare una fotografia del riuso nella nostra penisola.

“L'obiettivo di questo rapporto è offrire un contributo di approfondimento laddove i decisori pubblici, purtroppo a tutti i livelli, continuano a mostrare una scarsissima conoscenza del fenomeno,” spiega a Materia Rinnovabile Pietro Luppi, direttore del Comitato scientifico di Rete ONU (Operatori nazionali usato). “Il riutilizzo è posto in cima alla gerarchia dei rifiuti e viene sempre di più incluso nelle strategie ambientali, ma raramente chi scrive i documenti sa qualcosa della realtà del riutilizzo. Un settore che, solo in Italia, impiega 100.000 addetti e reimmette in circolazione almeno 500.000 tonnellate annue di beni.”

I numeri del riuso in Italia

L’analisi si è focalizzata sul segmento più formalizzato del riuso, ovvero il comparto dei negozi dell’usato conto terzi. In questo modo riesce a offrire per la prima volta a livello ufficiale un dimensionamento del fenomeno basato sull’economia reale del settore. Secondo il rapporto, per esempio, nel 2021 in Italia sono state 231.714 le tonnellate di beni riutilizzati, quasi 4 kg pro capite. Di queste, più della metà (119.067 tonnellate) sono mobili, 63.434 tonnellate apparecchi elettrici ed elettronici, 13.933 prodotti tessili e 35.280 altre frazioni merceologiche.

“Non è stato invece ancora possibile procedere alla quantificazione del riutilizzo operato dalle innumerevoli microimprese ambulanti che, spesso in modo informale, contribuiscono in modo decisivo alla prevenzione dei rifiuti nel nostro paese,” afferma Pietro Luppi. Come si legge nel report, “quando anche questo segmento emergerà i numeri del riutilizzo in Italia schizzeranno ancora più in alto superando probabilmente le 500.000 tonnellate annue”.

Il riuso dei prodotti tessili

Chi non ha mai riutilizzato i vestiti di un'amica o di un familiare? Dagli swap party ai genitori che si scambiano gli abiti con i figli, il riuso nell’ambito tessile è sempre stato parte delle nostre vite. Le profonde trasformazioni strutturali che stanno investendo il settore in questi anni impatteranno anche il mercato dell'usato, motivo per cui il tema del riuso dei prodotti tessili occupa una parte importante del rapporto.

“Occorre stare attenti”, avverte Luppi. “La criminalità organizzata, che infiltra il settore dei rifiuti tessili e abiti usati, punta a mettere le mani sui fondi PNRR e EPR. Parallelamente, bisogna anche comprendere quale sarà il ruolo e il potere dei vari portatori d'interesse nei nuovi scenari.” E le filiere extraeuropee? “Certamente presentano delle criticità ambientali, ma vietare le esportazioni sarebbe un errore, anche perché sono, in questo momento, quelle che garantiscono il massimo riutilizzo. Ci sono molte possibili soluzioni per migliorare la situazione senza rinunciare all’usato.”

Gli operatori vulnerabili e il Decreto sulla preparazione per il riutilizzo

Il terzo capitolo del rapporto è dedicato al Decreto ministeriale sulla preparazione per il riutilizzo (PPR) del 10 luglio 2023, che stabilisce procedure e requisiti per realizzare l’End of Waste dei rifiuti con l’obiettivo di reimmetterli in circolazione come beni usati, regolamentando per la prima volta questa attività. Un decreto molto atteso dal settore, che secondo la legge 205/2010 avrebbe dovuto essere pronto entro giugno 2011, e ha invece subìto un ritardo significativo. Questo ha comportato sia perdite economiche che un aumento degli impatti ambientali, poiché in precedenza i rifiuti sono stati smaltiti seguendo le modalità meno sostenibili della piramide dei rifiuti.

La filiera del riuso in Italia è composta da molteplici facce. Pietro Luppi definisce il settore come “un enorme arcipelago fatto soprattutto di microimprese, a volte informali, che aspetta solo di essere riconosciuto, accettato e, se possibile, integrato nella politica ambientale”. Solo nella nostra penisola gli operatori vulnerabili, che si dedicano soprattutto all’ambulantato, sono quasi 80.000. Per comprendere l’importanza a livello globale di questi operatori, tra cui ci sono anche i waste picker, è sufficiente sapere che l’Alleanza internazionale dei Waste Picker (IAWP) ha partecipato alle consultazioni per il terzo ciclo di negoziati  del Trattato globale sulla plastica. I waste picker sono gli operatori informali e vulnerabili che lavorano nelle filiere del recupero dei rifiuti. 

“Bisogna parlare di riutilizzo in modo concreto, non con idee fantasiose, perché il rischio è che senza una discussione seria si finanzino con fondi pubblici iniziative che non sono autentiche. Sarebbe un grande peccato, poiché esiste un settore storico, ma anche capace di innovarsi, che non ha bisogno di affrontare la concorrenza sleale di chi è più abile nel guadagnarsi il favore delle istituzioni pubbliche. Il dibattito sul riutilizzo deve basarsi sulla realtà: solo così il riutilizzo può avere un vero futuro”, conclude Luppi.

Un buon punto di partenza per comprendere il settore del riuso è allora il libro La rivincita dell’usato (Edizioni Ambiente, 2022), scritto da Pietro Luppi e Alessandro Giuliani, che affronta sia le radici del riutilizzo, di come si sia sviluppato negli ultimi duecento anni, ma anche i nuovi e futuri scenari.

 

 

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Immagine di copertina: Pietro Luppi

 

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