Cina e Stati Uniti hanno scelto il territorio neutro per antonomasia per parlarsi e tentare di trovare un accordo sui dazi. A più di un mese dal famigerato Liberation Day di Trump, il vicepremier cinese He Lifeng e il segretario del Tesoro americano Scott Bessent si incontreranno infatti a Ginevra, in Svizzera, fra il 9 e il 12 maggio.
L’occasione l’ha offerta la visita ufficiale in Svizzera di He, uomo di fiducia di Xi Jinping e “zar” dell’economia cinese. Ma il portavoce del vicepremier, come scrivono i media ufficiali, ha tenuto a sottolineare che i colloqui si terranno “su richiesta degli Stati Uniti”, che hanno negli ultimi giorni “ripetutamente espresso il desiderio di negoziare” con le autorità cinesi.
Mentre il ministro del Commercio Wang Wentao, non appena è trapelata la notizia degli incontri, ha fatto subito sapere che, perché il dialogo sia costruttivo, gli USA devono “innanzitutto riconoscere il grave impatto negativo che le loro misure tariffarie unilaterali hanno avuto sia sull’economia globale che sulla propria”.
Insomma, si parte in salita.
Cina: la strategia dell’attesa
Ai colloqui svizzeri, la Cina arriva indubbiamente con una posizione di superiorità rispetto agli Stati Uniti. Se nell’ultimo mese il lato cinese ha ostentato fermezza e sangue freddo, lo stesso non si può dire per la parte americana, travolta dal turbine di voltafaccia e cambi di rotta del suo presidente.
Come scrivevamo un mese fa su queste pagine, ai bluff da pokerista di Trump le autorità cinesi hanno opposto una strategia di attesa: osservare l’evolversi della situazione e lasciare che l’avversario cuocesse nel proprio brodo.
Questo tuttavia non ha significato stare con le mani in mano. La Cina ha infatti continuato a rafforzare i suoi rapporti multilaterali, cercando sostegno e alleanze nella guerra commerciale. Nelle scorse settimane, il presidente Xi Jinping e i suoi ministri hanno incontrato Giappone e Corea in uno storico summit trilaterale, poi ci sono stati il viaggio nel Sudest Asiatico che ha portato Xi in Malaysia, Vietnam e Cambogia, e quello in Russia per vedere Vladimir Putin. E intanto, in occasione dei 50 anni delle relazioni diplomatiche fra Cina e Unione Europea e in cerca di un avvicinamento auspicabile anche da parte europea, ci sono stati vari scambi di telefonate e lettere fra Pechino e Bruxelles e revoche di sanzioni a carico di europarlamentari.
Contemporaneamente, sono arrivati i moniti contro eventuali accordi stipulati con gli USA a danno della Cina. Prima destinataria dell’avvertimento è l’India, che nei giorni scorsi ha iniziato ad applicare dazi del 12% sull’acciaio, colpendo soprattutto i produttori cinesi; in risposta, Pechino ha annunciato il 7 maggio nuovi dazi sulle importazioni dell’insetticida indiano cypermethrin, lasciando in tendere che si tratta, appunto, di un avviso.
Stati Uniti: la strategia della confusione
Da parte americana la strategia non è stata invece così sistematica, per dirla con un eufemismo.
L’escalation dei dazi si è consumata subito, scomposta e arrogante, nella prima settimana dopo il Liberation Day. Nella giornata del 9 aprile, Donald Trump, dopo aver ufficializzato i suoi dazi globali, li ha sospesi quasi tutti per 90 giorni, e poi ha alzato quelli contro la Cina arrivando al 125%, che diventa un folle 145% se si considera anche la sanzione per il fentanyl.
La Cina ha lasciato decantare la situazione per un paio di giorni, per poi annunciare l’11 aprile un innalzamento dei dazi sui prodotti USA fino al 125%, spiegando che però non avrebbe rilanciato oltre visto che già così i prodotti americani non sarebbero più stati commercializzabili sul mercato cinese.
Nelle settimane che sono seguite, la sicumera di Trump si è trasformata in confusione e poi probabilmente panico (se non suo, di sicuro dei suoi collaboratori). Borse in discesa, fosche previsioni di recessione, interi comparti industriali allo sbando e una contrazione della crescita economica dello 0,3% nel primo trimestre hanno fatto precipitare l’indice di gradimento del presidente americano, che ha dovuto fare dei passi indietro. Sono arrivate varie esenzioni, soprattutto su prodotti tecnologici. Che poi però sono state dichiarate solo “temporanee”, gettando se possibile ancora più confusione sui mercati.
Subito dopo Pasqua, ai giornalisti che lo pressavano, Trump aveva fatto intendere che ci fossero colloqui in corso con le autorità cinesi. Dichiarazione platealmente smentita il 24 aprile dal portavoce del ministro degli Esteri cinese, che ha però ribadito la posizione di apertura al dialogo della Repubblica Popolare, ma solo “su basi di mutuo rispetto e beneficio”.
Mutuo rispetto ora (ri)messo a repentaglio dal presidente americano che, forte dell’accordo appena raggiunto con il Regno Unito, ha risposto per le rime alle accuse da parte cinese di aver dato inizio unilateralmente alla guerra commerciale: “Dicono che abbiamo iniziato noi? - ha dichiarato in conferenza stampa – Beh, dovrebbero tornare indietro e studiare i loro archivi”.
Di cosa si parlerà a Ginevra
Posto che le premesse non sono buonissime, il segretario del Tesoro Bessent ha dichiarato che dai colloqui di Ginevra si aspetta se non altro una de-escalation nei rapporti commerciali tra Cina e USA. Bessent, come riportano anche i media cinesi, ha ammesso che il regime tariffario fra i due paesi al momento equivale praticamente a un embargo e non è sostenibile.
Si tratterà dunque, in questa prima fase, soprattutto di rompere il ghiaccio e sbloccare la situazione di stallo che si è creata. Ma secondo fonti anonime di Reuters, oltre a discutere le riduzioni dei dazi doganali più ampi, sul tavolo in Svizzera ci saranno anche alcuni dazi su prodotti specifici, i controlli sulle esportazioni e la decisione di Trump di porre fine alle esenzioni de minimis sulle importazioni di basso valore.
Le basi da cui partire, ha dichiarato il governo cinese dalle pagine del Global Times, dovranno comunque essere sincerità e buona volontà. Perché, ha sottolineato il portavoce del ministro del Commercio, “se gli Stati Uniti dicono una cosa ma ne fanno un'altra, o usano i negoziati come pretesto per continuare a esercitare coercizione ed estorsione, la Cina non lo accetterà mai”.
In copertina: immagine Envato