Stando ad alcuni dati Fao, la conversione di suolo e il drenaggio dei suoli organici è responsabile di circa il 10% della produzione di gas serra. Proprio a causa del drenaggio, le torbiere sono il terzo emettitore di gas serra nel settore Afolu (Agriculture, forestry and other land use).

Si stima che i suoli possano sequestrare circa 20 PgC (petagrammi di carbonio) in 25 anni, ovvero oltre il 10% delle emissioni antropogeniche. Le emissioni di gas serra da agricoltura, silvicoltura e pesca sono quasi raddoppiate negli ultimi 50 anni e potrebbero aumentare di un ulteriore 30% entro il 2050 se non si attueranno politiche volte a ridurle. Nel 2012, le emissioni generate durante l’utilizzo dei fertilizzanti sintetici rappresentavano circa il 14% delle emissioni agricole e sono quelle in più rapida crescita, con un aumento del 45% circa dal 2001. Sempre secondo dati Fao, il 33% dei suoli è degradato e impattato da salinizzazione, compattazione, inquinamento chimico, acidificazione, accumulo di sostanze non biodegradabili, esaurimento di nutrienti. 

Quando gestiti in modo sostenibile, i suoli possono svolgere un ruolo importante nella mitigazione dell’emergenza climatica per l’immagazzinamento del carbonio e la riduzione delle emissioni di gas dell’atmosfera. Al contrario, se i terreni sono gestiti con pratiche agricole poco sostenibili, il carbonio stoccato nel suolo può essere rilasciato nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica, contribuendo quindi a peggiorare la crisi climatica già in atto. La costante conversione di prati e boschi in terre coltivate e pascoli, effettuata a partire dai secoli scorsi, ha comportato il rilascio di grandi quantità di carbonio in atmosfera. Tuttavia, ripristinando la materia organica nei suoli degradati e adottando pratiche di conservative, c’è un grande potenziale di ridurre le emissioni di gas serra derivanti dall’agricoltura e di migliorare il sequestro del carbonio, rafforzando così la resilienza dei suoli. Secondo l’iniziativa internazionale “4 per mille” lanciata dalla Francia il 1° dicembre 2015 alla Cop 21, un aumento annuo dello 0,4% della materia organica nel suolo sarebbe sufficiente a compensare l’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera legata alle attività umane, migliorando al contempo la fertilità del suolo.

Altre opzioni per mitigare le emissioni agricole includono: il miglioramento dei mangimi e degli additivi dietetici, diete modificate per il bestiame per ridurre l’escrezione di azoto, maggiore precisione nell’applicazione dei fertilizzanti (giusta quantità, giusto fertilizzante, momento giusto e posizionamento corretto) e un crescente ricorso alle tecniche di coltivazione tramite multi-cropping o inter-cropping. 

Tutte queste opzioni possono contribuire a migliorare l’efficienza nell’uso delle risorse (nutrienti, mangimi, acqua), il che rappresenta un importante passo verso la mitigazione delle emissioni agricole in un modo che sia anche economicamente vantaggioso. Lo sviluppo di pratiche di produzione innovative come l’agroecologia e l’agricoltura biologica consentono di ottimizzare la produzione delle colture per unità di superficie, tenendo conto degli aspetti di sostenibilità. Concentrandosi sulla fertilità del suolo e sui cicli nutritivi chiusi, questi approcci promuovono le rotazioni delle colture e favoriscono soluzioni basate sulla natura e innovazioni a base chimica per il trattamento di parassiti e malattie e per migliorare la fertilità del suolo. Mentre mostrano molti potenziali benefici in termini di biodiversità e valore nutrizionale, miglioramento della qualità del suolo e dell’acqua per unità di superficie e miglioramento della redditività, la loro fattibilità è contestata in quanto possono produrre rendimenti più bassi e richiedono quindi superfici più estese per produrre lo stesso output dei sistemi tradizionali. Tuttavia, confronti appropriati di resa con l’agricoltura convenzionale sono difficili da effettuare, in quanto l’agricoltura agroecologica o biologica si basa su una sinergia di approccio con altre colture e l’ambiente, che non è sempre misurabile direttamente. Infatti le misure di mitigazione devono comprendere anche interventi di altro tipo, quali accesso al credito, personale in grado di attuare le opzioni di mitigazione, monitoraggio accurato dei livelli delle emissioni prodotte, regolamenti istituzionali. Il concetto di sostenibilità, quindi, dev’essere applicato alle specificità territoriali, connettendo settori diversi e orientandoli verso una visione comune che permetta di mettere in comunicazione i vari progetti presenti su un dato territorio. 

Quella descritta è difatti la grande sfida della bioeconomia: non bastano le tecnologie a salvarci da questo contesto, ma un modo intelligente di connetterle tra loro e integrarle in un piano (sostenibile) di gestione del suolo. Mentre oggi puntare sulle filiere chimiche sarebbe una scelta priva di visione e fondamento economico, abbracciare la bioeconomia significa andare incontro a un ambito dal grande potenziale economico e sociale, che va in controtendenza rispetto ai dati del settore chimico.

La bioeconomia necessita però di adeguate strutture, ovvero di collegare questo nuovo modello economico alla società e alle peculiarità di un territorio per puntare sulla qualità diversificata e non indifferenziata. La bioeconomia, infatti, è strettamente connessa al futuro sociale: è un’importantissima leva per garantire un futuro equo e sostenibile che non punti alla limitazione di domanda e offerta, ma alla rimodulazione di produzione e consumo, affinché la necessità di rispondere ai beni dell’umanità non infici gli ecosistemi e non vi sia un depauperamento delle risorse naturali. 

Il degrado del suolo e la desertificazione sono preoccupazioni importanti in tutta l’Unione europea, una sfida non da poco se si pensa che il suolo è una risorsa non rinnovabile. È sempre più urgente la messa in campo di azioni volte ad arrestare e invertire il progressivo degrado del suolo e garantire che la sicurezza alimentare implichi l’implementazione di tecnologie trasformative e pratiche che migliorino l’accumulo di carbonio nel suolo. A breve termine, le migliori pratiche comprovate sull’uso sostenibile dei pesticidi, piani di gestione del bestiame e dell’acqua e dei nutrienti volti a ridurre l’uso dei fertilizzanti dovrebbero essere potenziati dalla Pac (Politica agricola comune) riformata. La diffusione su scala europea della raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti organici per produrre compost di alta qualità per generare ammendanti per restituire nutrienti e carbonio al terreno contribuirebbe a limitare ulteriormente le emissioni europee. 

Nei prossimi anni, l’adozione di modelli innovativi di allevamento di precisione e di tecniche abilitate dai servizi digitali, l’applicazione di soluzioni nature-based, biodegradabili ed eco- progettate (compresi nuovi fertilizzanti organici sostenibili e bioprodotti come i biopesticidi, alimenti alternativi per la riduzione dell’uso di antibiotici ecc.) permetterà di assistere a un’intensificazione delle pratiche agricole e forestali, che non andranno a intaccare la biodiversità. Inoltre, saranno sviluppati nuovi modelli e tecniche per monitorare e valutare le dinamiche suolo-materia organica in diversi terreni. La bioeconomia circolare è una pietra angolare tra agricoltura e industria, ispiratrice di un modello la cui protagonista è la produzione di prodotti a base biologica e biodegradabili che siano funzionali a entrambi i settori, pratiche agricole sostenibili e protezione del suolo. Stando alle previsioni contenute all’interno di alcuni documenti pubblicati dagli organi europei, nel decennio 2030-2040, vi sarà uno schieramento di nuove imprese, modelli di governance e strumenti di formazione che collegheranno il settore Afolu con altri ambiti in un quadro circolare di bioeconomia, valorizzando la dimensione regionale e i collegamenti tra zone rurali, urbane e le aree costiere, contribuendo così a costruire catene del valore più ampie con molteplici vantaggi per tutte le parti interessate.

 


 

Intervista a Catia Bastioli, Ad Novamont 

 

Parola d’ordine: rigenerare il suolo 

 

Catia Bastioli è AD di Novamont e Matrica, Presidente di Spring, Cluster tecnologico nazionale della chimica verde, e di Kyoto Club. Dal 2014 è presidente di Terna.

 

Perché il suolo è fondamentale? Cosa si sta facendo in Europa per la sua tutela?

“Il suolo è una risorsa non rinnovabile fondamentale per mantenere la vita sulla Terra ed è anche il maggiore bacino di carbonio. Il modello lineare e dissipativo di sviluppo, che ha riguardato anche il mondo agricolo e agroindustriale, in questi decenni ha finito per mettere in pericolo la fertilità dei suoli e ha contribuito significativamente alle emissioni di CO2. Un approccio sostenibile e circolare all’agricoltura potrebbe invece permettere di mantenerne la fertilità, de-carbonizzando al contempo l’atmosfera. La degradazione dei suoli è un problema ambientale sempre più importante in tutta Europa ed in particolare nella regione mediterranea e solo la promozione di pratiche per l’accumulo di materia organica, come l’utilizzo di compost, potrà invertire il fenomeno. La mancanza di una direttiva europea sull’argomento ha conseguenze non solo per le emissioni di gas serra e sulla preservazione e rigenerazione del suolo, ma anche sulla sua contaminazione da parte di plastiche e microplastiche e di altre sostanze in grado di accumularsi impattandone la fertilità. Ma dall’Europa cominciano a giungere segnali importanti, come la recente istituzione di un ‘Mission Board for Soil Health and Food’, che potrà supportare la Commissione europea nell’individuare soluzioni alle sfide della sicurezza alimentare e della qualità del suolo. Tale sfida è considerata una delle cinque ‘missioni’ da affrontare in ambito europeo, insieme a quelle del cancro, del cambiamento climatico, della salute degli oceani e delle città climate-neutral.” 

 

Qual è il contributo della bioeconomia alla qualità del suolo?

“La bioeconomia circolare deve partire dalla rigenerazione dei territori ed in particolare da un uso responsabile dei terreni agricoli, promuovendo la creazione di nuove filiere integrate del valore, basate sulla diffusione di best practices, sull’uso sostenibile delle biomasse e sull’aggiunta di materia organica. La rigenerazione deve anche avvenire in terreni marginali, abbandonati e non coltivati, specialmente quelli con margini economici negativi, anche attraverso colture non irrigue, incoraggiando la creazione di nuove opportunità di guadagno per gli agricoltori attraverso contratti di filiera. In questo contesto attraverso l’innovazione continua è possibile sviluppare tecnologie fisiche, chimiche, biotech in grado di utilizzare le diverse materie prime rese disponibili da queste filiere. 

Bioeconomia circolare significa anche un cambio culturale che deve investire tutta la società ed in particolare i centri di consumo, come le città e le aree metropolitane, che hanno un ruolo estremamente rilevante, in quanto influenzano la tipologia dei consumi alimentari, la produzione di scarti, le tipologie di imballaggi, la qualità e quantità dei prodotti usa e getta, i sistemi di raccolta e trattamento del rifiuto organico e dei reflui cittadini ed industriali, le pratiche di riciclo delle materie organiche e non. I rifiuti organici urbani, i fanghi, i fosfati provenienti da acque reflue o da concimi animali, che ancora oggi vengono sprecati in grandi quantità, potrebbero invece essere riciclati per la produzione di fertilizzanti naturali in grado di ripristinare la materia organica nel suolo, in un’ottica di economia circolare. Tutti questi settori possono aiutare a ristabilire la fertilità dei suoli e promuovere un’agricoltura sostenibile, attraverso una transizione verso pratiche rigenerative e socialmente inclusive.”

 

In che modo devono cambiare i prodotti?

“Secondo la Ellen McArthur Foundation oggi il 72% degli imballaggi in plastica nel mondo non viene recuperato, e solo il 2% viene riciclato e trasformato nella stessa applicazione di partenza, o in applicazioni di simile qualità, mentre il down-cycling vale circa il 12%, nonostante i tanti anni di promozione – soltanto a parole – del riciclo. Il fatto è che non si può prefigurare uno sviluppo virtuoso partendo dal riciclo di scarti non di qualità e derivanti da prodotti e applicazioni progettati per l’uso e non per il fine vita. Occorre ridisegnare l’intero sistema di produzione e consumo in una prospettiva circolare, consumando meno risorse possibili, utilizzandole con saggezza e quando realmente necessario, applicando lo strumento dell’eco-design per evitare la creazione di scarti e permettere un riutilizzo di qualità. In questo contesto e nella prospettiva di mantenimento della salute e fertilità dei suoli la proprietà della biodegradabilità in questo ambiente è fondamentale per tutti quei prodotti per uso agricolo con problemi di accumulo (erbicidi, lubrificanti, additivi per sementi, sistemi di slow release, pacciamature agricole). La biodegradabilità in acqua e suolo è invece fondamentale per quei prodotti con problemi di accumulo nei fanghi di depurazione e nelle acque come nel caso di additivi non biodegradabili per cosmesi e detergenza. La biodegradabilità in compostaggio diventa essenziale per tutte le applicazioni in cui i materiali utilizzati hanno un’alta probabilità di essere inquinati da residui alimentari e in cui in assenza della biodegradabilità andrebbero ad inquinare il rifiuto organico che finirebbe in discarica, invece di diventare prezioso humus. Mi riferisco ad imballi sottili, a imballi multistrato, a prodotti per il food-serviceware (in caso di impossibilità a utilizzare e posate riutilizzabili), alle capsule del caffè. 

In una logica di economia circolare con al centro la qualità del suolo e dell’acqua occorre avere ben chiaro che tutti gli stream liquidi e solidi del carbonio organico devono passare attraverso sistemi di trattamento di compostaggio e di anaerobiosi/compostaggio nonché di depurazione. La combinazione di una rete efficiente di impianti di trattamento e la biodegradabilità dei prodotti destinati alle applicazioni che ho citato garantisce che non si accumulino sostanze persistenti nelle acque depurate, nei fanghi e nel compost di qualità.”

 

Cosa è necessario fare per dare una spinta all’economia circolare?

“Come indica il Final Report of the High-Level Panel of the European Decarbonisation Pathways Initiative, che dal 2016 al 2018 ha supportato la Commissione Ricerca dell’Unione europea nella definizione di azioni verso un futuro a basse emissioni di carbonio, in questo contesto è fondamentale dotarsi di una strategia di lungo termine, lavorando però su quanto è possibile ottenere a breve e medio termine. 

La rivoluzione si gioca a livello di territori sui temi dell’agricoltura e del mantenimento e il rafforzamento della fertilità dei suoli, del rapporto tra città e cibo, sull’eco-design dei prodotti, ma anche sulle reti capaci di seguire questa nuova vocazione dei territori, e sullo sviluppo dell’impiantistica di adeguata dimensione e qualità tecnologica, in primis per il compostaggio e la digestione anaerobica, sulla messa in campo di processi chimici, fisici e biotecnologici per trasformare scarti in prodotti. Questa sfida si gioca anche sulla interdisciplinarietà e l’interconnessione dei progetti territoriali sulla loro moltiplicazione e sulla capacità di inclusione.” 

 

Novamont, www.novamont.com