L’immagine del cimitero di frigoriferi cannibalizzati e gettati in un sito industriale abbandonato – alle porte di Roma, a due passi dalla Villa di Adriano a Tivoli – raccontano bene cosa sono, oggi, i piranha dell’economia circolare in nero. Si ingozzano di tutto ciò che abbia valore (compressori e metalli) e sputano il resto (scheletro di poliuretano e gas refrigeranti) ovunque c’è spazio. Di siti del genere, solo nel 2013 la Polizia municipale di Roma Capitale ne ha scovati una trentina, mentre in altre zone d’Italia – a Modena – ne hanno contati più di cinquanta.

Nell’orgia dei trafficanti di rifiuti, i Raee (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) sono innegabilmente tra le tipologie di rifiuti più appetibili. Perché? Hanno un alto valore intrinseco, esiste una oggettiva difficoltà per i sistemi di gestione legali a intercettarli nei mille rivoli in cui si disperdono, e, soprattutto, perché se ne producono quantità impressionati e sempre in crescita. 

 

Secondo le stime più accreditate se ne produrrebbero ogni anno in Europa tra i 9 e i 10 milioni di tonnellate, ma per il WEEE Forum, l’Associazione internazionale a cui aderiscono i principali Sistemi collettivi di molte delle nazioni europee, se ne raccoglierebbero solo 3,5 milioni di tonnellate, lasciando il resto al mercato nero. In Italia andrebbe ancora peggio: i Raee risucchiati nei flussi informali supererebbero abbondantemente la quota del 65%.

Secondo il dossier di Legambiente I pirati dei Raee, pubblicato in collaborazione con il Centro di coordinamento Raee nel 2014, in Italia circa il 74% dei rifiuti elettronici finirebbe nei circuiti illegali, mentre sarebbero quasi 300 le discariche abusive di rifiuti elettronici censite nel periodo 2009-2013. Dati impressionanti. Che purtroppo appaiono confermati anche da altre cifre. Come la sorprendente coincidenza tra i quantitativi di Raee sequestrati in Italia dalle dogane nel 2016 perché oggetto di esportazioni illegali, e i quantitativi di Raee raccolti dal sistema dei Comuni italiani nello stesso periodo (Ispra 2017): i due dati, incredibilmente, coincidono alla perfezione assestandosi intorno alle 235.000 tonnellate. Questo non vuol dire affatto che tutti i Raee raccolti dai Comuni italiani finiscono per essere spediti illegalmente all’estero, quanto piuttosto che esiste un mercato nero almeno pari a quello ufficiale dove brulicano i piranha dei Raee. Senza contare quelli che circolano nelle filiere della distribuzione, che sono la maggior parte. 

Anche nel 2017 i conti non tornano e più del 38% dei rifiuti sequestrati alle frontiere italiane era costituito, manco a dirlo, da Raee: l’emorragia continua.

Forse per capire come opera il mercato nero serve descrivere, brevemente, come funziona in Italia il sistema legale. Il modello di governance scelto è quello della Responsabilità estesa del produttore (Epr), che attribuisce l’onere della raccolta degli apparecchi a fine vita direttamente ai produttori/distributori. Per ottemperare questo obbligo, di solito i produttori costituiscono dei consorzi (soggetti di diritto privato), che così diventano attori centrali nell’assicurare il funzionamento del meccanismo legale. In questo settore se ne sono costituiti ben 15, tanto da rendere necessaria la creazione di un Centro di coordinamento (Cdc Raee) col compito principale di garantire il coordinamento tra questi soggetti, divenendo al contempo punto di riferimento per l’intera filiera. Chi finanzia il sistema di Epr? Sostanzialmente, il famoso eco contributo pagato dai consumatori al momento dell’acquisto di un nuovo apparecchio. 

Ora, non essendoci un obbligo di legge né per i Comuni né per i negozianti di consegnare i Raee ai Sistemi collettivi, di fatto si sono creati almeno due mercati: uno gestito dal Cdc Raee e uno gestito dai privati, dove per quest’ultimi valgono solo le regole del mercato, poiché sia i Comuni sia i negozianti possono affidare i Raee al miglior offerente (purché in possesso di una autorizzazione al trattamento di questi rifiuti). Se, infatti, il sistema Cdc Raee (nonostante tutti gli intoppi della filiera) assicura un minimo di tracciabilità della filiera e il censimento annuale dei quantitativi raccolti e movimentati, lo stesso non può dirsi dei circuiti che operano al di fuori di questo sistema. Che con ogni probabilità rappresentano la fetta di mercato più grossa. 

Come spiega Giorgio Arienti (Dg di Ecodom e presidente del Cdc Raee), “quando i consumatori comprano un nuovo frigorifero, 9 volte su 10 buttano quello vecchio – è un mercato di sostituzione – ma i sistemi collettivi che fanno capo al CdC Raee ne ricevono però solo 5. Lo stesso per le lavatrici, dove se ne intercettano solo 3 su 9. La domanda allora sorge spontanea: dove vanno a finire questi grandi elettrodomestici, e soprattutto, nelle mani di chi?”.

La verità è che ci sono troppi pescecani affamati in questo settore, sia dal lato della domanda sia dell’offerta, che provano a occultare sistematicamente i costi delle procedure di trattamento. E se per la consegna dei Raee da parte dei negozianti o dei Comuni al sistema Cdc Raee esistono accordi di programma nazionali pubblici che stabiliscono, per esempio, che per ogni tonnellata di R1 (freddo e clima) che conferiscono ai sistemi collettivi ricevono 50 euro, mentre per ogni tonnellata di R2 (grandi bianchi) ne ricevono 100, quali siano gli accordi economici tra coloro che sono fuori da questo sistema e con quali garanzie di compliance delle norme ambientali non è affatto facile saperlo. 

Quello che è certo è che il mercato illegale sguazza nelle falle dei modelli legali ed è pesantemente condizionato dall’andamento dei prezzi delle materie prime sul mercato internazionale: all’aumentare del prezzo del ferro o del rame, per esempio, diminuiscono in maniera speculare e inversa i flussi verso il Cdc Raee (e viceversa) mentre aumentano quelli in libero mercato (anche illegale). Come sanno bene i doganieri e le forze dell’ordine. 

Ultima annotazione sul sistema di raccolta dei comuni, pesantemente gravato dalle continue razzie di cui sono vittime le isole ecologiche e i centri di stoccaggio al fine di alimentare i mercati criminali, laddove non mancano nemmeno bande di soggetti che stazionano fuori ogni isola per intercettare i potenziali clienti, prima ancora che questi varchino la soglia del sito. Non sorprende che le aziende in regola soffrano la carenza di materiali da lavorare.

E il contributo ambientale pagato dai cittadini/consumatori? Incassato dai negozianti, viene versato ai produttori e da questi ai sistemi collettivi per finanziare, di fatto, solo quella parte di Raee che viene gestito da questi. Mentre le bonifiche e il degrado ambientale e sociale causato dagli smaltimenti illeciti li pagano tutti i cittadini, nessuno escluso.

Probabilmente una delle falle nella governance generale è data dalla mancanza di sinergia tra il sistema di gestione dei Comuni e quello della distribuzione. L’uno non comunica con l’altro e ognuno va per conto suo, magari scaricando la responsabilità sull’altro. Tanto che alcuni paesi in Europa hanno capito che proprio qui casca l’asino. Così partendo da alcune amministrazioni particolarmente volenterose si sono messe a punto iniziative, a rete, per intercettare quanti più Raee possibile (soprattutto quelli più piccoli e difficili da intercettare) e raggiungere gli ambiziosi obiettivi Ue di raccolta (65% entro il 2019).

In Germania, nella regione Sassonia-Anhalt e più precisamente ad Halle (Saale) hanno sperimentato un sistema misto di raccolta, che integra i classici centri di raccolta (modello di consegna) con unità mobili per la raccolta di rifiuti pericolosi (modello ritiro) con 34 depositi dei contenitori per intercettare i Raee di piccole dimensioni (modello di consegna). Insieme all’ampliamento dell’orario per la consegna nei centri di raccolta (80 ore settimanali di apertura, quando la media in Germania è di circa 60), questa sinergia ha spinto in alto le performance di raccolta.

Lo stesso in Svezia, dove nella cittadina di Gävle, più o meno a 200 km a nord di Stoccolma, si sono inventati l’acqua calda ampliando i punti di raccolta in quasi tutti i negozi e stringendo accordi con la rete delle Coop. Una buona comunicazione ai cittadini, un aumento della frequenza dello svuotamento dei contenitori e la garanzia di ritiri rapidi ed efficienti ai negozianti dietro il pagamento di un piccolo contributo (circa 20 euro) hanno fatto il resto. Pubblico e privato hanno fatto squadra: nel 2013 più di una tonnellata di piccole apparecchiature elettriche ed elettroniche è finita nella rete virtuosa del Comune, sottraendola ai circuiti informali.

Piccoli esempi di lungimiranza strategica al servizio della collettività, dove vincono tutti facendo rete, eccetto i ladri di rifiuti. Che in Italia continuano a ingrassare. 

 

Legambiente, I pirati dei Raeewww.legambiente.it/sites/default/files/docs/raee_dossier_i_pirati_dei_raee_02.pdf