È un simbolo “comune”, un oggetto iconico riconosciuto che fa parte del nostro immaginario pre-ecologico. Detto tra parentesi, per i grafici questo simbolo è detto “marchio” e non “logo” perché non contiene testo; anche se “logo” per gli anglosassoni significa “marchio”, e qui mi fermo.

Questo marchio del riciclo compie 45 anni: è nato negli Usa nel 1970, lo stesso anno in cui fu proclamato il primo Earth Day. Quell’anno la Cca (Container Corporation of America, oggi Smurfit-Stone Container Corporation), un’azienda di grandi dimensioni per la produzione di imballaggi in carta riciclata, decide di distribuire nei college e università una Call for Entries per un concorso di graphic design il cui scopo era progettare un simbolo per i prodotti in carta riciclata che contenesse un richiamo ambientale, utilizzabile da tutti coloro che ne avessero avuto necessità (public domain). Il responsabile di queste intuizioni sul design e la comunicazione della Cca era allora Walter Paepcke, suo presidente ma soprattutto filantropo, che già aveva sovvenzionato dal 1937 la rinascita del Bauhaus negli Usa (The New Bauhaus, poi divenuta Illinois Institute of Technology) e aveva chiamato a sé il grafico tedesco Herbert Bayer a fondare la Design Conference di Aspen nel 1951. Paepcke e Bayer sono, insomma, nomi chiave per capire da dove viene il simbolo di cui parliamo. Ma manca ancora un nome.

Aderiscono al concorso 500 giovani designer. Alla conferenza di Aspen dello stesso anno (Aspen Institute o Idca tuttora attivo), in giuria tra gli altri lo stesso Bayer e Saul Bass, viene proclamato il vincitore: è Gary Anderson (Hawaii, 1947), giovane architetto urbanista della University of Southern California. Questa università – e questo vale per tutta la formazione di quegli anni – partecipa al Modernismo, ai programmi e all’estetica del riformato Bauhaus. Il marchio vincitore, secondo la critica di allora, è di fatto in linea con i dettami dei grandi maestri: geometrico e funzionale. In realtà Gary Anderson ha sì quella formazione, ma contemporaneamente è partecipe dei movimenti controculturali dell’epoca e delle nuove estetiche, e trae ispirazione per questo marchio dai nastri di Möbius e da M.C. Escher, dalla psichedelia di Haight-Ashbury, a San Francisco. Ed è in questa doppia lettura culturale, tra Modernismo e nuove culture visive, che si colloca e si coglie appieno la dimensione estetica di questo marchio: un simbolo di passaggio tra due mondi. 

 

Gary Anderson (a destra)

 

Mentre il marchio entra in uso, Anderson lascia gli Usa e, dopo un tentativo non riuscito da parte della Cca di registrare il simbolo, la sua creazione viene attribuita genericamente al dipartimento grafico della Cca e il marchio diventerà di pubblico dominio, come peraltro nelle intenzioni originali del concorso. Sarà solo negli anni ’90 che la storia verrà ricostruita appieno, grazie a un articolo su Print, la riconosciuta rivista americana. E Gary Anderson, oggi settantenne e affermato urbanista che ha visto il mondo, vincitore di premi e con un curriculum professionale e accademico importante, torna in pieno possesso “morale” della sua creatura; e noi con lui. Mentre la cultura iconica contemporanea si è appropriata del simbolo e lo ha trasformato all’infinito, quello originale, per uso specifico e non illustrativo, resta comunque valido e in gran forma.

 

La notizia del ritrovamento dell’autore, da Resource Recycling, 1999

 

Una pagina di Google, oggi: le trasformazioni illustrative del simbolo originale