Nel 1986 in Italia nasceva il ministero dell’Ambiente. Allora l’intera legislazione ambientale era ancora qualcosa di estremamente vago. I rifiuti si raccoglievano, e per lo più si mandavano in discarica: le parole recupero, riciclo, riutilizzo o riuso erano termini pionieristici. Fu solo undici anni dopo, con il decreto Ronchi, che si diede ordine per la prima volta al sistema e si cominciò a parlare di riciclo. 

Ma nel 1986 c’era già chi cominciava a darsi da fare in questo senso. Per il recupero del vetro, per esempio. In Toscana quell’anno fu fondata a Empoli una società il cui nome richiamava proprio questa attività: Revet, “recupero vetro Toscana”. Poi con l’avvio del decreto Ronchi (Dlgs 22/97), la società si è messa al servizio del recupero tout court, grazie anche alla visione strategica della Regione Toscana e agli ingressi di soci pubblici come le aziende toscane di gestione di igiene urbana, che ancora oggi credono nel progetto. Al punto di averlo fatto diventare un perno della buona gestione del ciclo integrato dei rifiuti che si è concretizzata in questo territorio. 

Successivamente Revet si è spostata a Pontedera, dove oggi sono localizzati i due impianti principali. Il primo – destinato a essere dismesso in futuro – per il multimateriale pesante; il secondo, di nuova concezione, per quello leggero.

Oggi la Regione Toscana può vantare una rete e una filiera dedicata al riciclo particolarmente efficienti e diffuse. I diversi impianti permettono di arrivare a un recupero pari al 95%.

In pratica, gran parte di quanto viene raccolto in modo differenziato in Toscana – carta, vetro, plastica, poliaccoppiati, acciaio, alluminio – viene avviato verso un nuovo ciclo di vita minimizzandone gli impatti sull’ambiente. 

Ce lo ricorda Toscanaricicla, la prima campagna condivisa degli operatori del settore nella regione: carta e cartoncino affluiscono nelle cartiere della Lucchesia; gli imballaggi in vetro vengono rifusi nelle vetrerie di Empoli; le plastiche miste riciclate a Pontedera e trasformate in profili per l’arredo urbano e granuli adatti alla stampa di altri riprodotti in plastica; i cartoni per bevande in poliaccoppiati vengono riciclati in un impianto in provincia di Lucca, mentre acciaio e alluminio sono valorizzati in fonderie dislocate nel nord Italia.

In questa geografia il gruppo Revet si occupa di raccogliere, selezionare e avviare al riciclo cinque materiali – plastiche, alluminio, acciaio, vetro e cartoni poliaccoppiati (come il tetrapak) – che arrivano dalle raccolte differenziate della Toscana e dalle attività industriali e manifatturiere regionali. Attività che l’azienda svolge per mezzo dei propri impianti, infrastrutture e logistica e grazie anche a centri satelliti dislocati nella regione.

Ma Revet si occupa anche della raccolta e della selezione per il riciclo degli scarti che arrivano dalle attività delle industrie locali e delle attività commerciali, rispondendo in maniera strutturale ed efficace a ogni domanda del territorio. E facendo fronte anche al quadro normativo e legislativo in continua trasformazione e aggiornando le proprie tecnologie e processi. 

Nel 2015 Revet ha recuperato 16.000 tonnellate di scarti dalla Regione: il 65% vetro, 30% plastiche e il rimanente 5% alluminio, acciaio e poliaccoppiati.

La raccolta differenziata, infatti, è l’aspetto più visibile per i cittadini. È in quel passaggio che, in un certo senso, i rifiuti cessano di essere scarto. È la riapertura delle “miniere”: il luogo concettuale di estrazione della materia con la quale creare nuovi materiali e nuovi prodotti, anche se la “miniera” è il prodotto stesso a fine vita. In definitiva è la chiusura del cerchio di quella che chiamiamo economia circolare, molto vicina e a imitazione dei cicli biologici, dove la fine di un ciclo è la premessa per quello successivo. In natura ogni deposito di rifiuti è destinato a essere riprocessato. Non c’è scarto che in un tempo più o meno lungo non sia convertito, smontato o ridotto e quindi reintrodotto in natura.

Se immaginassimo la filiera dei rifiuti alla stessa maniera ci accorgeremmo che il passaggio immediatamente successivo alla raccolta differenziata è la chiusura del cerchio, perché ricomincia da qui il processamento dei materiali che, ognuno secondo la propria specificità, li porterà a essere la base per nuovi materiali e quindi produzioni.

 

 

Da un altro punto di vista si potrebbe dire che la raccolta differenziata per i cittadini rappresenta la punta di un iceberg, sotto al quale c’è una montagna di processi industriali che hanno bisogno di mezzi, competenze, professionalità specifiche e impianti dedicati per riuscire a reimmettere le materie nei cicli produttivi. Ed è quanto accade nella filiera industriale del riciclo creata da Revet in questi trent’anni.

La prima fase è quella della selezione finalizzata al riciclaggio. I materiali raccolti in maniera differenziata dai cittadini o prelevati dalle aziende, una volta scaricati nei capannoni di Revet, vengono sottoposti a diversi processi di selezione al fine di ottenere materiali omogenei e imballati, pronti a essere avviati al riciclaggio negli impianti di Revet Recycling o delle altre imprese del settore.

All’arrivo il materiale passa alla macchina “aprisacco”, il cui nome già spiega la sua funzione: grazie a una vera e propria dentatura metallica apre i sacchetti e i libera i materiali contenuti all’interno. Ma non “morde” soltanto: la macchina aprisacco, infatti, dosa la giusta quantità di materiali che passa nel primo rullo e che termina, poi, la sua corsa in un vaglio a tamburo rotante.

Qui avviene già una prima selezione: grazie a una serie di fori di varie dimensioni si separano i materiali più ingombranti da quelli di dimensioni medie fino ai più piccoli e fini. I materiali più grandi, quindi, sono avviati verso una selezione finale che avviene manualmente, mentre quelli di media grandezza continuano il loro percorso alla volta delle selezioni successive.

Plastiche, alluminio e poliaccoppiati, prevalentemente tetrapak, che sono materiali definibili “leggeri”, vengono aspirati e condotti verso l’impianto di selezione del Css. Per separare il vetro e l’acciaio si usano, invece, calamite che attraggono il metallo e la banda stagnata.

Il vetro, a sua volta, subirà un’ulteriore selezione manuale; a questo punto del processo, infatti, viene caricato e portato alla Revet Vetri a Empoli – azienda indipendente e autonoma anche se socia di Revet – dove dopo essere sottoposto a un’ultima pulizia è poi inviato al “pronto forno” in vetreria. In maniera analoga i barattoli in acciaio vengono condotti alla fonderia per il riciclo.

Altrettanto articolato il viaggio dei materiali leggeri. L’alluminio, per esempio, viene separato grazie a una macchina a induzione che sfrutta il principio di Gauss, quindi viene imballato e spedito in fonderia per essere riciclato.

Plastiche e poliaccoppiati vengono separati grazie a selettori meccanici e ottici. In questo modo si ottengono balle omogenee, per esempio di tetrapak, pronte per essere spedite in un impianto specifico in provincia di Lucca dove si riesce a riciclare l’intera fibra cellulosica del tetrapak (quasi il 75%). 

Le plastiche richiedono una maggiore attenzione perché vanno prima selezionate per tipo (Pet, Hdpe, Ldpe, Pp, Ps ecc.) e per colore (Pet trasparente, azzurrato, colorato) e solo dopo possono essere avviate al riciclo verso le aziende consorziate del sistema Corepla. E una delle novità più importanti che ha segnato la fase più matura di questi trenta anni di vita di Revet riguarda proprio le plastiche, anzi la frazione più critica di esse. La macchina messa in moto da Revet Recycling può dialogare, nel senso di avere rapporti commerciali, con oltre 600 aziende toscane che lavorano le materie plastiche. “A questa vasta platea di realtà manifatturiere – spiegano dall’azienda – si rivolge Revet Recycling, offrendo loro un materiale che coniuga tutte le caratteristiche dei polimeri vergini con la sostenibilità ambientale: dopo un’accurata selezione e pulizia, infatti, le plastiche eterogenee delle raccolte differenziate toscane, vengono triturate e riciclate, ottenendo un granulo a base di polipropilene e polietilene – che può essere masterizzato e compoundato – adatto per lo stampaggio a iniezione o a soffiaggio di qualsiasi manufatto, anche di alta gamma” (il compounding è il processo di lavorazione, sia chimico sia meccanico, attraverso il quale a partire da polimeri diversi si ottengono nuovi materiali plastici, ndr).

Come spesso accade la soluzione di problemi complessi comporta certamente più fatica, ma conduce a maggiori soddisfazioni. È un po’ quello che è accaduto con il caso del plasmix, che oggi rappresenta oltre il 55% in peso degli imballaggi plastici raccolti, ed è la frazione più critica delle plastiche. Di solito è destinato al recupero energetico. Revet, creando Revet Recycling, è riuscita invece a capitalizzarlo in altro modo e a reimmetterlo nel ciclo produttivo. L’impianto di Revet Recycling, infatti, trasforma questa frazione in densificato e granuli. Il densificato è adatto alla produzione, per esempio, di profili per gli arredi esterni; i granuli, invece, sono adatti allo stampaggio di qualunque manufatto plastico, anche di alta gamma. 

Del successo del plasmix, che dalla dimensione locale toscana ha lanciato Revet verso i mercati internazionali, con richieste che superano persino l’attuale produzione, ne abbiamo parlato già su Materia Rinnovabile 6/7. A significare, anche, che quella di Revet è una realtà che per tipologia e risultati ha davvero pochi esempi simili nel resto della penisola. A Pontedera, infatti, non si stancano di dire che si tratta di un modello da esportare. E dopo trent’anni è difficile non essere d’accordo.

 

 

Roberto Rizzo, “Ecco come si passa da un bicchiere di plastica allo scooter”, Materia Rinnovabile n. 6/7, ottobre-dicembre 2015; tinyurl.com/j6brpf6

 


 

Intervista a Alessandro Canovai, presidente di Revet Spa e Revet Recycling.
A cura di Marco Gisotti

 

Sensibili ma ambiziosi

 

“L’anniversario di Revet – spiega Alessandro Canovai, presidente da pochi mesi ma già perfettamente integrato – è la testimonianza di quanto in Toscana la sensibilità verso il recupero e il riciclaggio abbia radici lontane. Revet nella sua storia ha avuto diversi assetti: partita come società privata ora è a prevalente capitale pubblico. Oggi, diciamo così, è il momento per una Revet 2.0: i suoi soci, per lo più concessionari di servizi pubblici, sono diventati concessionari dei servizi del ciclo completo dei rifiuti. Anche perché la Toscana ha iniziato con un percorso multimateriale pesante per poi dirigersi, più recentemente, verso un modello monomateriale.” 

 

La chiave del successo di Revet è la plastica: su questo filone avete creato anche Revet Recycling...

“La filiera delle plastiche oggi in Toscana serve l’86% dei cittadini. Puntiamo a completare il servizio e migliorare la capacità di selezione dei materiali con l’apertura di due nuovi impianti – quello di Prato e il potenziamento di Pontedera – per poi rivolgerci all’area Sud della Toscana. L’obiettivo è sempre la massima valorizzazione dei prodotti.

La scelta di creare Revet Recycling, per le plastiche di più difficile riciclaggio, è stata vincente. Non solo sotto il profilo dei processi e delle tecnologie impiegate ma anche per la frontiera di mercato che ha aperto: in pratica oggi abbiamo richieste doppie rispetto alla nostra attuale produzione.

Il core business di Revet Recycling è, infatti, diventato quello della vendita dei granuli che ha oltrepassato anche i confini nazionali. L’ambizione ora è quella di riuscire a trasformare i granuli in manufatti in maniera autonoma e qui in Toscana. Chiudendo, in un certo senso, l’intera filiera. In questo ci aspettiamo un aiuto anche dalle nuove regole sul green public procurement.”

 

Questo salto, però, è avvenuto grazie a una intensa attività di ricerca. Il che significa nuove competenze e nuove professionalità... 

“La Ricerca & Sviluppo è certamente la parte più importante. Il plasmix richiede infatti una ‘formula di cucina’ che sappia lavorare bene con i laboratori di ricerca sul territorio e si avvalga di esperti di tecnologia dei materiali.

In Revet nel 2008 lavoravano poco più di un centinaio di persone: oggi siamo 157 e a questi andrebbe aggiunto un certo numero di lavoratori dell’indotto.

E le professioni e le competenze in questo senso sono importanti, per non dire determinanti.”

 

Dopo il collegato ambientale si aprono dei nuovi spiragli per il settore, ma secondo lei di che tipo di incentivi ci sarebbe bisogno?

“A parte favorire in ogni modo gli acquisti verdi, sarebbe necessario intervenire sull’Iva. Eliminare l’Iva sui prodotti riciclati non solo consentirebbe un abbattimento dei costi per il consumatore finale, ma sarebbe anche giusto visto che su quei materiali – durante il loro ciclo di vita – il versamento dell’Iva è già stato assolto almeno una volta.”

 

Un logo per i 30 anni

Anche la comunicazione deve stare al passo dei tempi. E se una volta i rifiuti erano una cosa di scarso appeal, oggi è di moda potersi vantare di avere uno scooter realizzato con plastica riciclata, oppure di indossare un vestito da sera in poliestere realizzato a partire dalle bottiglie dell’acqua minerale, come ha fatto l’attore inglese Colin Firth alla cerimonia degli Oscar.

Comunicare, infatti, è fondamentale. Significa, nel caso dei rifiuti, educare i cittadini alla raccolta differenziata e dimostrare, numeri e fatti alla mano, come vengono finalizzati i loro sforzi.

Così acquista grande importanza anche un logo, specie se deve dire ‘io ci sono e ci sono da trent’anni’.

Ecco quindi, che per ricordare la nascita di Revet a Empoli nel 1986, è stato deciso di utilizzare per tutto il 2016 un logo commemorativo.

“Il logo del trentennale, in realtà, contiene già la nuova versione di logo che Revet utilizzerà a partire dal 2017 – spiegano dall’azienda – con un nuovo font dal carattere più moderno e industriale e con una costruzione più armonica dell’insieme, che ha portato a correggere tutte le proporzioni e a rivisitare le tre frecce. Restano invece inalterati i colori in modo da garantire allo sguardo d’insieme una continuità naturale con il passato, garanzia di una immediata riconoscibilità del marchio da parte di tutti i toscani”.

 

Info

www.revet.com

www.revet-recycling.com