La chiama “una rivoluzione copernicana”. E l’economia circolare certamente lo è. Perché, per dirla con Franco Battiato, cambia le prospettive al mondo. E pone al centro la sostenibilità. Rossella Muroni, presidente di Legambiente, spiega perché è giunta l’ora di entrare in questo mondo parallelo per curarci dai nostri vizi. E non risparmia stoccate. A Confindustria. Al governo. Agli europarlamentari italiani.

 

Cosa è l’economia circolare e come può cambiare le nostre vite?

“L’economia circolare mette al centro della produzione e dei consumi il concetto di riduzione e di riutilizzo. È una esemplificazione dei principi delle quattro R e riguarda la vita di tutti noi perché può davvero darci una possibilità concreta di uscire dalla crisi climatica, energetica, ambientale ed entrare in una dimensione di sostenibilità.”

 

I vantaggi ambientali sono evidenti. Ma con l’economia circolare ci sono anche vantaggi sociali?

“Non c’è dubbio. Sono intrinsecamente legati al concetto di multiprotagonismo. Con l’economia circolare non c’è più una singola azienda che produce un bene e lo propone al mercato ma una molteplicità di attori, pubblici e privati – anche no profit – che vengono coinvolti nel processo produttivo. L’economia circolare non a caso dialoga molto con l’economia civile. È una rivoluzione copernicana, un rapporto multidirezionale, che mette in crisi uno degli assiomi del mercato: il rapporto monodirezionale tra produttore e consumatore.”

 

L’economia circolare paga anche in termini occupazionali? O il minor e miglior consumo significa anche meno lavoro?

“Non si tratta di ridurre il consumo, ma di spostarlo e qualificarlo. E l’economia circolare non comporta più o meno inevitabili tagli occupazionali: semmai ha bisogno di nuova forza lavoro. Noi abbiamo calcolato che il ciclo differenziato dei rifiuti e il riutilizzo della materia prima seconda ha creato in questi anni 150.000 nuovi posti di lavoro. L’economia circolare è una proposta sociale ambientale ma anche e soprattutto economica che ha piena dignità, anche sociale. È un modello parallelo e alternativo che offre opportunità ai lavoratori.”

 

Nel nostro paese, però, è quasi sconosciuta. Diciamocelo francamente: l’Italia è un paese per l’economia circolare?

“Direi di sì. C’è un chiaro ritardo rispetto a paesi come la Germania. Ma è un ritardo soprattutto culturale che – ci tengo a sottolineare – riguarda più la politica dei cittadini. Gli italiani sono pronti a cambiare il loro stile di vita e sono una platea ideale dove sperimentare nuovi modelli di produzione, distribuzione, riutilizzo. Ma la politica non coglie la sfida.”

 

Cosa dovrebbe fare (e non fa) la politica per favorire l’economia circolare e più in generale per le politiche ambientali? Negli ultimi tempi sembra, semmai, si siano fatti passi indietro, per esempio sulle rinnovabili.

“Le rinnovabili sono state pesantemente penalizzate e oggi sono sostanzialmente in ginocchio in Italia. Le ultime norme hanno favorito solo le biomasse di lunga filiera, proprio quello che ogni buon cittadino dovrebbe non augurarsi. E poi il governo Renzi sta cincischiando sui combustibili fossili: ha creduto nelle trivellazioni e siamo dovuti arrivare a fare una pressione fortissima, con una rivolta di molte regioni costiere, per far sì che il governo facesse marcia indietro. E pure questo non eviterà un referendum. C’è molto da fare. Serve una legge sullo stop al consumo di suolo e soprattutto un buon recepimento, in senso migliorativo, della direttiva europea sul consumo circolare. E poi favorire la creazione di start-up, anche con leggi regionali.”

 

Siamo tornati agli anni nei quali l’ambiente non era una priorità?

“È peggio perché a parole ti dicono che lo è, sbandierando ai quattro venti la firma degli accordi di Parigi, ma poi nella pratica c’è una notevole distanza tra quanto enunciato e quanto praticato. Ciò detto, il 2015 si è chiuso con due buone notizie, l’approvazione della legislazione sugli ecoreati e l’approvazione del collegato ambientale. Ripartiamo da qui. Ma c’è molto, molto altro da fare...”

 

Chi sono i nemici dell’economia circolare?

“Chi ha una vecchia concezione del processo economico. Sono gli stessi che si sono opposti allo sviluppo delle rinnovabili, coloro che ancora vedono nei modelli di produzione del Novecento una prospettiva plausibile per il futuro.”

 

Per esempio? Facciamo qualche nome.

“Per esempio Confindustria, che rimane un punto di arretramento culturale e direi anche imprenditoriale per il nostro paese. Purtroppo in questo paese c’è una classe imprenditoriale che è in buona parte assolutamente impreparata alle nuove sfide.”

 

Durissima.

“Direi realista. Probabilmente c’è anche lì un problema di ricambio generazionale…”

 

Veniamo alla direttiva europea. Nella sua prima versione ha suscitato vasti consensi tra gli ambientalisti, meno nella seconda. Voi siete stati molto critici: quali sono i punti dove c’è stato un arretramento?

“Sicuramente tutta la partita degli obiettivi sul riciclo dei rifiuti urbani. Ci preoccupa molto questo stiracchiamento delle percentuali. Si è passati da un 70% al 2030 a un 65% e per di più alcuni paesi possono chiedere una proroga di 5 anni. È tutto un gioco al ribasso che è stato promosso dalle lobby ma che è stato poi accolto dalla politica. L’operazione mostra che per molti gli obiettivi ambientali sono visti ancora come un freno e non una spinta alla crescita. Come ulteriore nota di amarezza in questa vicenda, come in quella degli standard di emissione delle auto, si vede tutta la debolezza della classe politica che rappresenta l’Italia in Europa. Andrebbe posto il tema dell’impreparazione degli europarlamentari italiani...”

 

Ma questa è un’altra storia...

“Certo. Tornando alla direttiva vediamo che è stato ridotto l’obiettivo per gli imballaggi, passando dall’80 al 75%. Anche qui, qual è il messaggio? Lo stesso. Che l’ambiente è un freno. Grave anche che sia stato reso volontario e non obbligatorio l’obiettivo della raccolta della frazione organica. Passo indietro poi sull’obiettivo relativo all’efficienza dell’uso delle risorse. Buono, invece, che si sia introdotta la prevenzione dell’obsolescenza programmata degli elettrodomestici. Complessivamente sì, ci sono dei passi avanti e un fondamentale inquadramento complessivo a livello europeo, ma c’è anche spazio per una difesa ostinata dello status quo. Non si comprende appieno che l’economia circolare è un progetto di sviluppo, anche se di sviluppo diverso. E questo è un peccato.”

 

La direttiva europea non deve essere però presa a scatola chiusa. In sede di conversione può fare uno scatto in avanti. Cosa chiede Legambiente? 

“Chiediamo al Parlamento di avere coraggio. Di andare oltre. Dovremmo per esempio essere orgogliosi dell’esperienza dei consorzi per la raccolta differenziata e sollecitare maggiormente questo mondo. Perché su carta, cartone, plastica siamo stati troppo spesso e troppo a lungo fermi al concetto di imballaggio mentre la platea dei materiali e degli oggetti raccoglibili in maniera differenziata va allargato se si vuole ridurre la frazione di indifferenziato. Serve poi una filiera della trasparenza, facilitando il consumatore e premiando chi differenzia meglio.”

 

Invece ogni città ha un sistema di raccolta differenziata diverso. Una scelta incomprensibile...

“Andrei oltre. Direi un po’ demenziale. Perché se le regole sono diverse in ogni città si impedisce che nell’etichettatura si dica chiaramente dove va un certo materiale. E anche perché si ignora il fatto che i cittadini si muovono, soprattutto in estate, e quindi in certe località la raccolta, almeno a livello stagionale, viene spesso compromessa da cittadini che, in buona fede, fanno errori su errori abbassando la qualità della raccolta.”

 

Cosa vorreste che ci fosse e non c’è nella direttiva europea?

“Per esempio la cancellazione totale delle discariche. E poi delle indicazioni sulla filiera del trasporto dei rifiuti, che va blindata sul fronte della legalità.”

 

Cosa può fare il mondo dei consorzi a sostegno dell’economia circolare?

“Dovrebbe fare squadra, rendendo la raccolta più semplice e più coordinata. E poi premere di più sul decisore politico, e continuare a fare quello che già molti di loro fanno in maniera ottima: coinvolgere i cittadini, con un ruolo proattivo di formazione e informazione.”

 

E l’industria?

“Ci dovrebbe credere. L’utilizzo di materiali riciclati, o di pratiche innovative, potrebbe essere in molti casi una opportunità da cogliere e non un modo per darsi una mano di verde e continuare con le vecchie pratiche nel grosso della produzione. E poi dovrebbe fare più ricerca: più ricerca significa avere più innovazione e quindi aprire nuovi campi di mercato. Perché noi, a differenza della parte più vecchia dell’imprenditoria italiana, siamo per l’innovazione nella sostenibilità e da sempre siamo convinti che le ricette ambientali siano paganti anche economicamente.”

 

 

Immagine in alto: Sfera armillare, Enciclopedia Britannica, 1771. ©Wikicommons