La proposta di direttiva sui rifiuti presentata dalla commissione il 2 luglio 2014, nell’ambito di un pacchetto di misure finalizzate a promuovere l’economia circolare, è il primo importante prodotto normativo della strategia per l’efficienza delle risorse stabilita con l’agenda Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. 

La proposta di direttiva nasce da una ampia consultazione degli stakeholder e risponde anche all’obbligo giuridico di riesaminare gli obiettivi (di recupero, avvio al riciclo) contenuti nelle direttive sui rifiuti, sulle discariche e sugli imballaggi.

Anche se formalmente in continuità con l’impianto della tradizione normativa europea sui rifiuti e con la “gerarchia comunitaria”, la proposta di direttiva presenta però anche forti discontinuità.

La discontinuità è visibile nel sistema degli obiettivi. Il sistema degli obiettivi proposti sposta radicalmente l’enfasi sul riutilizzo e il riciclo di materia (con la prevenzione che però resta ancora sullo sfondo, senza l’attivazione di nuovi strumenti per perseguirla), mentre il recupero energetico diventa una variabile secondaria e scompare dal sistema degli obiettivi. La proposta di direttiva fissa – sia pure traguardandoli, per l’insieme dell’Unione, al 2020, 2025 e 2030 – un insieme semplice, ma dirompente, di obiettivi: il 50% di riciclo al 2020 e il 70% di riciclo di materia dai rifiuti urbani entro il 2030; un riciclo netto di materia del 70% al 2030 significa il raggiungimento, in tutti i singoli stati dell’Unione, di un obiettivo che è oggi raggiunto solo da poche regioni e che rappresenta più che un raddoppio del livello attuale in 17 dei 28 stati dell’Ue; la riduzione della quantità di rifiuti da smaltire a discarica al di sotto del 25%, con la proibizione di rifiuti riciclabili e biodegradabili (tal quali), entro il 2025 e un tendenziale azzeramento dello smaltimento a discarica entro il 2030; questo obiettivo è molto prossimo a essere già raggiunto a scala europea (l’Ue nel suo insieme smaltisce il 27%) ed è conseguito già da 7 stati (in 6 dei quali siamo già sotto il 3%) del centro-nord, anche se in altrettanti stati nella gestione dei rifiuti si ricorre alla discarica per oltre il 70% delle quantità; una revisione degli obiettivi della direttiva imballaggi, dalla quale scompaiono i riferimenti al recupero energetico, e nella quale si fissano nuovi target di riciclo di materia da raggiungere al 2020 (60% di riciclo di materia), al 2025 (70% di riciclo) e al 2030 (80% di riciclo), dettagliando gli obiettivi per i diversi materiali, che tra il 2025 e il 2030 dovrebbero raggiungere il 60% di riciclo come materia degli imballaggi plastici, l’80% per il legno, il 90% per i metalli, il vetro, la carta e cartone.

La “gerarchia” non viene posta formalmente in discussione, ma di fatto il recupero energetico diventa solo uno dei possibili trattamenti dei rifiuti residui. D’altra parte il maggior contenuto di rinnovabili nel sistema energetico convenzionale (che annulla o riduce la preferenza ambientale del recupero energetico da rifiuti) e la trasformazione della discarica da reattore biologico a deposito di rifiuti mineralizzati (che azzera o riduce drasticamente le emissioni della discarica) pongono delle reali domande sulla coerenza e validità della “coda” della stessa gerarchia, almeno sotto alcuni profili. 

Questa è la direzione. Che sposta tutto il peso della gestione dei rifiuti sul recupero e l’avvio a riciclo. E dunque pone il problema della fattibilità tecnologica e della sostenibilità economica del riciclo di così elevate quantità di rifiuti.

Collocando la revisione della normativa dei rifiuti nel quadro delle politiche di “economia circolare” si rafforza la necessità di integrazione tra gestione dei rifiuti e processi industriali di produzione, di distribuzione e di consumo. L’obiettivo delle politiche di gestione dei rifiuti è quello di reimmettere i prodotti consumati nel circuito del consumo (riutilizzo) o della produzione (riciclo), coerentemente con l’idea dell’economia circolare, nella quale i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro, a differenza dell’economia lineare in cui terminato il consumo termina anche il ciclo del prodotto, costringendo la catena economica a riprendere continuamente lo stesso schema: estrazione, produzione, consumo, smaltimento. 

La normativa sui rifiuti, con il suo sistema di obiettivi e con il rafforzamento degli schemi di responsabilità estesa dei produttori (il più efficace strumento di sviluppo del riciclo messo in campo dall’Unione europea), diventa così strumentale all’attivazione e al potenziamento della green economy. In primo luogo attraverso la creazione di nuove filiere di recupero industriale dei materiali. La proposta di direttiva non mette in campo nuovi materiali e nuovi schemi di responsabilità estesa, ma il raggiungimento dei target richiederà, almeno, un forte sviluppo delle filiere dei prodotti di arredamento e dei rifiuti tessili (su cui in Francia sono stati attivati, con successo, due nuovi schemi di responsabilità estesa, attraverso Eco-Mobilier ed Eco-Tlc), oltre al recupero della frazione organica e degli imballaggi e della carta grafica. 

Secondo gli studi prodotti dalla Commissione, le misure previste dalla revisione normativa potranno creare più di 180.000 posti di lavoro diretti nell’Ue entro il 2030, che verranno ad aggiungersi ai 400.000 che, secondo le stime, risulteranno dall’attuazione della legislazione sui rifiuti in vigore. Sia la raccolta differenziata sia la preparazione al riciclo (e il compostaggio) sono settori ad alta intensità di lavoro, superiore alla raccolta indifferenziata e all’incenerimento e discarica. Con un set di misure non dissimili, Beasley & Georgeson (2014) hanno stimato un impatto tra 630 e 870.000 nuovi occupati (diretti e indiretti, di cui circa 300.000 nella preparazione al riutilizzo e commercializzazione di mobili e tessuti) e una riduzione delle emissioni di CO2 tra 300 e 400 milioni di tonnellate, principalmente per effetto del riciclo.

Mentre non appare discutibile la fattibilità di un sistema di raccolta e di preparazione al riciclo idoneo a conseguire gli obiettivi – in varie regioni europee, dalla Germania al nord-est dell’Italia si raggiungono o superano questi obiettivi –, più sfidanti appaiono gli obiettivi relativamente sia all’omogenea implementazione nei vari stati dell’Unione, sia alla capacità di effettivo riciclo industriale. 

Per materiali come i metalli, il vetro e il legno il raggiungimento degli obiettivi, benché ambiziosi, comporta solo un miglioramento della capacità di intercettazione e di selezione. Oggi il tasso di riciclo degli imballaggi metallici nell’area Ue è pari al 72,5% (con 7 paesi che già incontrano gli obiettivi posti dalla direttiva per il 2025) e una domanda di rottami metallici che è un multiplo della quantità di imballaggi. 

Anche per il vetro, la distanza tra l’attuale livello di riciclo (72,8%) degli imballaggi e gli obiettivi appare realisticamente perseguibile, anche in presenza di un concomitante incremento del recupero di altre frazioni di vetro – per esempio dai monitor –, dall’industria del vetro e della ceramica che presentano ampi margini di incremento dei tassi di riciclo.

Più dirompente è la crescita richiesta per gli imballaggi in legno, il cui tasso di riciclo è oggi del 37,9% (ma si tratta di un dato spesso inaffidabile, in primo luogo perché gli stati non distinguono in maniera uniforme tra riuso e riciclo). Una crescita del tasso di riciclo appare però compatibile con le capacità di organizzazione della raccolta e anche con la domanda da parte dell’industria del legno e del compostaggio – che sono le aree principali di riciclo di materia – ma confliggerà con la domanda per usi energetici, che è peraltro incentivata anche economicamente in quanto risorsa rinnovabile.

Le due aree di reale criticità, ma di anche maggiore innovazione, per il raggiungimento degli obiettivi sono invece quelle della carta e della plastica. 

Per la carta, un incremento contemporaneo del tasso di raccolta degli imballaggi e della carta grafica richiederebbe una crescita importante del tasso di riciclo dell’industria europea (grosso modo oltre le 60 milioni di tonnellate). Per molti singoli stati sarebbe del tutto insostenibile,
ma sarebbe sostenibile a livello europeo in presenza di un incremento del tasso di riciclo di una parte dell’industria continentale (la Spagna ha un impiego superiore all’80% della produzione, la Francia del 62% e l’Italia di circa il 55%) e soprattutto di quella scandinava (che oggi produce il 25% della carta europea, ma ne ricicla meno del 10%) combinata a una quota di esportazione o all’impiego per la produzione
di biocarburanti di seconda generazione.

Per la plastica la sfida è ancora più impegnativa, perché oggi la media europea di riciclo è pari ad appena il 35% e con una quota di “export per il riciclo” che è oltre il 25% della quantità riciclata internamente all’Unione. La capacità di riciclo aggiuntiva richiesta sarebbe nell’ordine di 3,7 milioni di tonnellate, un valore pari al doppio della crescita delle quantità riciclate avvenuta negli ultimi dieci anni. Un ulteriore incremento della capacità di riciclo di materia implicherà sia un intervento a monte della filiera, verso imballi plastici riutilizzabili o più facilmente riciclabili, sia un miglioramento nella capacità di selezione di polimeri omogenei o compatibili, sia infine una innovazione nei settori di impiego, anche fuori dall’industria delle materie plastiche, in particolare per le plastiche eterogenee e i residui di selezione. Le filiere della plastic lumber, dei wood-plastic composites, dell’additivazione di prodotti per l’edilizia sono tutte filiere di potenziale espansione e ambientalmente convenienti rispetto a qualsiasi alternativa energetica. Ma in questo settore un cambio di scenario potrebbe derivare anche da altre innovazioni, come per esempio la diffusione delle plastiche compostabili per gli imballi a contatto con gli alimenti freschi.  

 

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