Fu una piccola imbarcazione che abbandonò per la prima volta la vela quadra e montò un albero e un pezzo di stoffa che consentiva di prendere il vento di traverso e andar dritti. E il primo sommergibile – che tendeva a essere un po’ troppo sommerso, a dire il vero più simile a un non-emmergibile – aveva un’elica che andava a pedali. 

Allora, questa è la storia che racconto adesso. Vanno per mare un sacco di barche con scafi costituiti da fibre in carbonio o vetroresina. Materiali “spreconi” perché gli scarti che si generano in cantiere sono tutti da buttare, e quando le imbarcazioni esauriscono il loro ciclo di vita, sono da buttare, ovviamente, anche quelle. 

Stiamo per parlare di tecnologie che hanno a che fare con l’economia circolare. È così, e quindi la vicenda cresce subito di importanza. La mission è costruire scafi ad alta sostenibilità. GS4C sta portando avanti questa proposta, con una imbarcazione da 6,5 metri, classe mini650, appartenente a una tipologia di gare oceaniche in solitaria. La costruisce con fibre minerali, per la precisione con fibre di basalto. Lava, quindi. C’è un modo per lavorarla che conduce a un materiale molto stabile e dalle prestazioni standard. È un materiale completamente riciclabile, quindi niente scarti all’inizio e recupero dello scafo a fine vita. Perché quante gare impegnative fa una barca da regata? Se si tratta di roba come la Coppa America può anche bastarne una. Ma è allo scenario generale che bisogna guardare: se ho uno scafo non riciclabile, lo butto via; se è recuperabile ecco che mi rientra una quota significativa dei fondi investiti. 

Perché GS4C investe in una gara da regata? Perché c’è molta attenzione su questi eventi, e quindi sono un buon battistrada per l’innovazione in genere. È un ragionamento corretto e che speriamo vincente e scalabile. Ci sono, infatti, tutte le imbarcazioni da diporto, ma anche altri settori – lontani dal mare – nei quali le fibre minerali (o quelle vegetali, il bambù per dirne una: le potenzialità sono notevoli) consentono economie virtuose. Le pale eoliche, per esempio. In Italia ce ne sono già 6.000 che stanno superando il loro tempo di vita. Se le costruissimo con fibre di basalto i vantaggi sarebbero evidenti, visto che una pala di 24 metri, costruita in vetroresina, produce 500 chili di materiale di scarto. 

La società milanese sta costruendo una rete di competenze e di altre aziende, con l’obiettivo di diffondere questa tecnologia ad alta sostenibilità nei tanti settori dove può essere utilizzata. Nell’automotive, per esempio, o per molte attrezzature sportive. Queste fibre alternative certo costano di più del vetroresina: ma è qui che si deve sciogliere quel sortilegio per cui si guarda ai costi immediati e non a un ciclo più ampio che ha bisogno di uno sguardo più lungo per mostrare i suoi vantaggi economici. 

E poi, certo, ci sarebbe anche questa urgenza della sostenibilità, che ha conseguenze economiche non da poco. Quello che voglio dire è che, quando per andare da Piombino a Olbia si dovesse ricorrere a dei mezzi cingolati per via di un eccesso di evaporazione, bé, il settore delle barche da diporto un poco ne risentirebbe, ecco.

 

 

Go Sailing, for a Change, www.gs4c.com