Negli ultimi anni l’economia circolare è stata al centro di un’attenzione sempre crescente, fino ad arrivare a essere oggi quasi uno slogan/simbolo per contestualizzare interventi a carattere ambientale apportati (o da apportare) a un prodotto. 

Il dibattito in sede comunitaria – e la relativa scadenza dello scorso 28 agosto in merito alla consultazione pubblica – ha portato imprese, associazioni, consorzi e pubbliche amministrazioni europee ed extra-europee a confrontarsi sul tipo di approccio da seguire. E sulle modalità con cui le diverse tipologie di prodotti/rifiuti dovrebbero essere considerati in termini recupero e riciclo.

Ma, al di là di questo acceso e aperto dibattito politico, che dovrebbe portare entro la fine dell’anno a un documento guida emanato dalla stessa commissione Ue, resta comunque il fatto che occorre contestualizzare le misure adottate con strumenti in grado di monitorare le azioni introdotte e i successivi risultati raggiungibili e raggiunti. 

E questo può essere fatto solo attraverso un controllo a diversi livelli – dalla singola impresa fino al territorio comunitario – e utilizzando strumenti e metodologie in grado di “misurare” l’effettiva azione intrapresa rispetto alla circolarità di un prodotto. Altrimenti il rischio è di avviare azioni e politiche ambientali in materia di economia circolare senza obiettivi precisi e senza la garanzia che il percorso avviato sia efficace per la salvaguardia delle risorse naturali e l’avvio di un vero mercato dei materiali riciclati.

Focalizzando quindi l’attenzione sul come quantificare o misurare la circolarità di un prodotto, la tematica – per quanto delicata e complessa – deve tener conto di una serie di aspetti quali:

  • l’impiego di indicatori unici sul flusso di massa dei materiali per arrivare a un risultato unico, misurabile e confrontabile tra tipologie di prodotti;
  • la differenziazione delle tipologie di risorse impiegate: materie prime da fonte rinnovabile e non rinnovabile, materiali riciclati e riciclati permanenti;
  • la determinazione del limite temporale per cui un materiale può essere definito da fonte rinnovabile;
  • gli aspetti sociali della filiera produttiva (supply chain);
  • il coinvolgimento attivo del consumatore nelle scelte di acquisto di un prodotto virtuoso mediante una comunicazione semplice e comprensibile.

Seguendo i principi base espressi dall’economia circolare, e cioè – in estrema sintesi – la salvaguardia delle risorse naturali e la valorizzazione dei materiali impiegati attraverso il riuso e riciclo, a questo punto si tratta di definire in che modo valutare e misurare azioni e risultati. 

La soluzione da percorrere potrebbe essere svolgere un bilancio di massa (il bilancio di materia) per quantificare le risorse in “input” e le risorse in “output” che caratterizzano il ciclo di vita di un prodotto. Si tratta di misurare la quantità di materia (kg) prelevata dal sistema per la realizzazione di un prodotto, rispetto a quella restituita (kg), quando il prodotto giunge a fine vita. Tenendo conto anche delle risorse materiche complementari al prodotto e impiegate nelle fasi di trasporto, uso e manutenzione (per esempio gli imballaggi).

La differenza tra risorse in input e risorse in output permette di ottenere un bilancio di materia in merito alla circolarità del prodotto: tanto più le quantità di risorse in output recuperate e riciclate si avvicinano al valore di input, tanto più la percentuale di circolarità di un prodotto sarà elevata. In questo modo la circolarità massima di un prodotto è identificata dal 100%, mentre quella parziale varia dall’1 al 99%.

Ci sono diversi livelli di approfondimento in base ai quali effettuare la quantificazione del bilancio di materia, la quale può o meno tener conto di diversi parametri. A titolo semplificativo: 

  • Livello base: quantificazione delle sole risorse impiegate.
  • Livello medio: quantificazione delle risorse impiegate con suddivisione per tipologia di materiale.
  • Livello approfondito: quantificazione delle risorse impiegate con suddivisione sia per tipologia di materiale sia per origine di provenienza: da fonte rinnovabile e non rinnovabile, materiali riciclati e riciclati permanenti. 

I tre livelli di misurazione della circolarità di prodotto lasciano spazio alle imprese di applicare personalizzazioni di bilancio, sulla base degli obiettivi da raggiungere o delle esigenze di settore. Per esempio il livello approfondito può essere ancor più specifico attraverso l’identificazione delle certificazioni che caratterizzano i materiali (sia che siano da fonte rinnovabile e/o riciclati), oppure da materiali biodegradabili e/o compostabili.

 

In altri casi, le aziende che approcciano al livello base possono includere nel bilancio di materia la suddivisione tra materiali da fonte rinnovabile e non rinnovabile. Questa flessibilità di approccio favorisce sicuramente la diffusione della metodologia, lasciando però alle imprese la possibilità di definire il grado di approfondimento/miglioramento per progredire.

È evidente che le maggiori criticità nel valutare la circolarità di un prodotto si manifestano per le aziende i cui prodotti non hanno una gestione di recupero del fine vita. In questo caso l’azienda dovrà capire quale strategia perseguire per evitare di avere prodotti con circolarità pari a 0%. 

A essere avvantaggiate sono le aziende i cui prodotti fanno già parte di un sistema di raccolta e recupero tramite consorzi di filiera, oppure quelle che si sono organizzate tramite sistemi autonomi di recupero. Per i consorzi di filiera si apre in questo caso un’opportunità di rilancio, in quanto gestori e detentori dei dati di output dei prodotti.

I risultati raggiunti, applicando uno dei tre livelli di misurazione della circolarità di prodotto, possono diventare uno strumento di comunicazione verso il mercato. In modo particolare verso il consumatore, per esempio identificandosi con un label che metta in evidenza la circolarità del prodotto e le scelte perseguite dall’azienda.

Inoltre, l’applicazione della metodologia di calcolo a una serie di aziende racchiuse in un territorio permetterebbe di aggregare e ottenere risultati per scale dimensionali, da quella comunale a quella nazionale.

 

 

L’economia circolare può diventare strategia di azione utile per la salvaguardia delle risorse naturali, solo se gli strumenti applicativi sono in grado di misurare le reali performance di prodotto e tengono conto delle reali capacità aziendali di intraprendere azioni di monitoraggio e miglioramento. 

L’Italia, come altri paesi il cui tessuto produttivo è fortemente caratterizzato da piccole e medie imprese, non può pensare di raggiungere risultati utili senza un coinvolgimento attivo di queste realtà. È quanto mai necessario un approccio graduale e in primis volontario.

 

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