“Quella sera, tra il 16 e il 17 maggio, la pioggia cadeva incessantemente. L’acqua ha iniziato a infiltrarsi lungo il vecchio camino, entrando in un angolo della casa come non era mai successo. A tratti la corrente elettrica saltava, tant’è che io, la mia compagna Daniela e i bambini abbiamo cenato con la luce delle candele. La mattina dopo, una volta sveglio, sono uscito di casa ma il giardino non c’era più, era crollato. Abbiamo chiamato subito il nostro vicino, dicendogli di mettere in salvo i mezzi agricoli parcheggiati sotto il suo capannone. Dopo più di un’ora è arrivato a piedi, bagnato fradicio, con una motosega in mano e un annuncio pieno di smarrimento: la strada per Nuvoleto non c’era più.”

Parte da qui il racconto di Marco, uno degli abitanti di Nuvoleto, minuscolo borgo dell’Appennino a sud di Cesena duramente colpito dall’alluvione che tre mesi fa ha interessato l’Emilia-Romagna. In quelle ore, la scorsa primavera, sono caduti 350 milioni di metri cubi d’acqua. 15 le vittime accertate, 23 i fiumi esondati a valle e in pianura. Migliaia, invece, le frane sulle colline. Quella notte sono stati proprio alcuni cedimenti del terreno a travolgere completamente l’unica strada, lunga 3 km, che collega Nuvoleto al paese sottostante, Linaro, frazione di Mercato Saraceno. Un’apparizione ben circoscritta di un destino che poteva toccare a tante altre aree interne a rischio spopolamento.

“La strada è collassata in più punti perché fa dei tornanti lungo un’unica valle, che è crollata da cima a fondo trascinando alberi e pali della luce. In un punto l’asfalto è scivolato a valle di 4 metri”, continua Marco. È così che Nuvoleto ‒ 9 case, 9 famiglie, 7 nonni e 10 tra bambini e bambine ‒ si è ritrovato isolato, senza gas ed elettricità. E con un accesso da ricostruire per metà a proprie spese. Quella che porta a Nuvoleto è infatti una strada vicinale, cioè un’infrastruttura privata che svolge un servizio pubblico.

Per la legge il comune contribuirà quindi solo al 50%. Così, gli abitanti di Nuvoleto, custodi di quella fetta di territorio montano e decisi a non abbandonare la propria casa, subito dopo l’alluvione hanno avviato una raccolta fondi su GoFundMe. Obiettivo? 100 mila euro, che certamente non basteranno se la strada andrà ricostruita su un altro versante della collina.

L’ordine di evacuazione

Terminata la pioggia, il 18 maggio, è arrivato l’ordine di evacuare la collina. Ma non tutti gli abitanti hanno seguito il consiglio del soccorso alpino. “Io e mio marito non siamo andati via in elicottero, come hanno fatto mio figlio e la sua famiglia. Quando ci è stato proposto di andare in elicottero abbiamo deciso di scendere a piedi. Volevamo vedere la strada. Volevamo renderci conto di cosa era accaduto”, racconta la madre di Marco, Maria, che negli anni Ottanta si trasferì proprio a Nuvoleto, recuperando alcuni immobili in stato di abbandono, per costituire insieme ad altre famiglie una piccola comunità laica ispirata agli insegnamenti di don Giuseppe Dossetti, partigiano, padre costituente della Repubblica ed esponente della sinistra democristiana.

Così, percorrere la strada a piedi non serviva solo ad accertare il danno, ma a controllare la salute delle proprie radici. Vecchie e nuove generazioni, insieme, pronte a ricostruire. “Venerdì 19 maggio, mentre eravamo sfollati in un appartamento a Mercato Saraceno, siamo andati a fare la spesa per procurarci alcuni beni basilari, come dentifricio e spazzolini. Insomma, le cose che non eravamo riusciti a portare con noi evacuando in elicottero”, continua Marco. “Tutto a un tratto mio figlio Tommaso, 6 anni, è sbucato da una delle corsie del supermercato con una busta di sementi dicendo: voglio tornare a casa mia a Nuvoleto a fare l’orto.”

La protezione civile “parentale”

“Appena smesso di piovere, la domenica seguente con un gruppo di volontari che ho ribattezzato ‘protezione civile parentale’ siamo saliti verso Nuvoleto per tagliare gli alberi e i tralicci caduti. Il minimo indispensabile per poter passare con un trattore e liberare la strada, provando a spianare con un piccolo scavatore gli avvallamenti che si erano creati. È stato l’inizio della rinascita: abbiamo portato via le auto, mentre a Nuvoleto hanno condotto un generatore”, dice Marco.

I giorni successivi, residenti, amici e parenti si sono dedicati a mettere in sicurezza la sorgente sopra il piccolo borgo, in un bosco di castagni che ha retto alla frana solo dove ancora mantenuto. I tubi spezzati andavano ricollegati, non solo per approvvigionare Nuvoleto, ma per evitare che l’acqua si infiltrasse ancora di più nel terreno e provocasse ulteriori cedimenti.

Cosa insegna la storia di Nuvoleto

È Damiano, fratello di Marco, a trarre le conclusioni sulla storia della frana di Nuvoleto. Una vicenda che rende chiaro quanto sia concreto il rischio di spopolamento delle aree interne, montane, se non si interviene con misure di adattamento e maggiori servizi.

“L’unico modo per convivere con la realtà nella quale viviamo, con il nostro terreno e con la natura che ci circonda è conoscerne le leggi, rispettarle e agire secondo le stesse. Non possiamo pensare di dominare ciò che ci circonda. Si potrà continuare ad abitare questi territori solo se ci sarà qualcuno che vive e cura i campi del nostro Appennino, che mantiene i fossi all’interno dei campi, che verifica che tombini e canalette non siano otturate, che usi le sorgenti senza sprecare acqua. Questa è l’ultima battaglia generazionale, per continuare ad avere generazioni che pensano alla terra come qualcosa che è intrinseco nella loro vita, che fa parte ontologicamente del proprio essere, come è per gli abitanti di Nuvoleto in questi giorni”, conclude Damiano aggiungendo poi un chiaro esempio.

“Poco fa stavo scendendo la strada e c'erano Tommaso, mio nipote, e suo nonno, che ha 78 anni, che camminavano. Tommaso ha infilato gli stivali nella frana e non riusciva più a uscire. E suo nonno, per aiutarlo, stava con mezza gamba nel terreno. Quella è vita, quello è riuscire a vivere la propria anzianità con la vera umanità del proprio tempo, e per mio nipote apprendere ciò che il nonno può insegnare. Non ci possiamo permettere di perdere tutto questo. Altrimenti l’unica conseguenza sarà la creazione di ulteriori detriti, naturali e umani, a cui non resterà che scivolare a valle.”

Immagini: Giorgio Kaldor