Il primo modello o pillar della circular economy è quello dei sustainable inputs, rappresentati da qualunque forma di risorsa (idrica, mineraria, energetica o biologica) che provenga da un precedente processo di riciclo o di riuso oppure che sia essa stessa rigenerabile, biodegradabile oppure rinnovabile. Rientrano all’interno di questo modello anche tutte le forme di efficienza, che rappresentano la forma più elevata e nobile di sostenibilità e circolarità poiché agiscono sul risparmio a monte e quindi sul non utilizzo delle risorse.

Ma perché questo modello riveste un ruolo così cruciale nell’attuale momento storico? Basta pensare che in soli 50 anni la quantità di materiali vergini estratti è quasi quadruplicata passando dai 28,6 miliardi di tonnellate del 1972 ai 54,9 miliardi di tonnellate del 2000 fino ad arrivare a 100 miliardi nel 2019. Di questo passo, in uno scenario business as usual, l’estrazione di materiali è destinata a superare i 170 miliardi di tonnellate entro il 2050.
Ma disponiamo di tutte queste risorse? In realtà no! A dircelo è l’Overshoot Day, ossia il giorno dell’anno che segna l'esaurimento delle risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare nell'arco di un anno solare. Nel 2022 ad esempio questo giorno è stato il 28 luglio, ciò implica che per la rimanente parte dell’anno abbiamo sottratto indebitamente risorse destinate alle future generazioni, causando gravi disequilibri all’intero pianeta.

A peggiorare drasticamente tutto il quadro, c’è la incapacità di massimizzazione nell’uso delle risorse da parte del nostro modello economico attuale, che prevede che oltre il 90% di questi materiali dopo l’utilizzo venga considerato un rifiuto. Tutto questo ha un significativo impatto sul cambiamento climatico, poiché oltre il 70% delle emissioni globali di GHG (Green House Gas) è collegata proprio alla lavorazione e all’utilizzo di materiali. Se non trasformiamo radicalmente il modo in cui estraiamo, trasformiamo ed utilizziamo i materiali, non possiamo sperare di ridurre significativamente le emissioni.

Ma come possiamo trovare un equilibrio tra progresso tecnologico, benessere, aumento della popolazione e la corrispondente crescita della domanda di materie prime? Bisogna necessariamente cambiare le regole in gioco ed anche in questo caso la tradizione ci racconta di materiali e tecniche che possono ispirare il cambiamento, fornendo delle risposte alle sfide della società moderna attraverso l’innovazione circolare.

Le risorse biologiche e la circular economy

Le risorse biologiche, provenienti dalla biosfera e dal mondo animale, hanno un ruolo fondamentale per la sopravvivenza degli esseri viventi. Oltre che a dar vita ai prodotti alimentari, queste risorse sono anche utilizzate per usi come l’edilizia e l’abbigliamento. Tra le materie più utilizzate sin dai tempi antichi c’è sicuramente il legno, che grazie alla sua natura poliedrica si è sempre prestato a svariati usi divenendo un elemento cruciale nell’evoluzione dell’uomo. C’è poi da considerare la connessione tra il legno e l’assorbimento della CO2, che gli alberi riescono ad ottenere più di ogni altro organismo vivente. Proprio per questo si rende necessario ottimizzare questa risorsa e alcune tecniche antiche, come quella giapponese del Daisugi, potrebbero fornire degli spunti molto interessanti per una produzione sostenibile di legname. Anche la riscoperta del bambù sembra portare nella stessa direzione. Esistono poi altre colture, come la canapa, che, seppur non in grado di produrre legno, hanno delle proprietà incredibili sia nell’assorbimento della CO2 che nel riequilibrio del suolo. In pratica, si sta aprendo una nuova prospettiva per l’agricoltura che sembra possa sempre più conciliare le nuove esigenze della società moderna con quelle della natura. Prospettiva che chiaramente ha dei limiti dei quali dobbiamo tenere conto per evitare squilibri e conseguenze gravi.

Produrre legno senza abbattere gli alberi: il Daisugi e il bambù

Siamo in Giappone durante il Medioevo. Tutto cominciò con una carenza di germogli e di terreni per la coltivazione degli alberi in un momento in cui la domanda di cedro Kitayama, un tipo di legname dritto e senza nodi, era elevatissima. Era necessario ottimizzare il tempo e lo spazio a disposizione: nacque così la tecnica del Daisugi. Per soddisfare la domanda di legname, i contadini iniziarono a coltivare la cedrella del Giappone, una specie autoctona dell'isola, che prevedeva che i rami migliori e più robusti venissero selezionati e potati a circa 2 metri dal terreno, lasciando solo il nodo superiore. In questo modo era possibile creare una foresta a strati che forniva legno senza la necessità di abbattere l’albero, creando di fatto un ciclo di crescita-potatura del tutto sostenibile, con enorme vantaggio per tutto il sottobosco che non veniva così intaccato. Oggi, la tecnica del Daisugi viene ancora utilizzata in molte parti del Giappone e ha acquisito una dimensione culturale, diventando un simbolo della tradizione giapponese e della sua attenzione alla natura.

Ma il Daisugi non è l’unica tecnica alternativa all’attuale produzione di legno: in Asia, la ricerca di metodi di costruzione sostenibili ha portato alla riscoperta di materiali del passato che ora sono giunti anche in Occidente. Infatti, nonostante le recenti soluzioni futuristiche, l’alternativa più green continua a essere rappresentata dal bambù. Secondo le ultime stime esistono circa 1600 specie di bambù, delle quali alcune sono definite “giganti”, come il Moso, e possono essere lavorate per ricavare un materiale da costruzione dalle proprietà simili al legno. La peculiarità di questo materiale è la capacità di continuare a crescere anche quando il culmo viene raccolto, mentre un albero muore quando viene abbattuto. Inoltre, il bambù è un materiale estremamente versatile, riuscendo a crescere rapidamente su terreni degradati e meno fertili dove difficilmente potrebbero svilupparsi altre colture, assorbendo al contempo una grande quantità di CO2 per ettaro di materiale in crescita.

Una delle aziende globali nella coltivazione e trasformazione del bambù è Ecoplanet Bamboo, una società statunitense fondata nel 2010, i cui progetti di piantumazione di bambù in Africa, America Latina e nel sud-est Asiatico.
Un’altra realtà in forte crescita è Forever Bambù, una società italiana nata nel 2014 e leader europeo nella piantumazione del Moso. Questa società si distingue per l’utilizzo di un disciplinare agroforestale esclusivo che potenzia ulteriormente le capacità di assorbimento di CO2 intrinseche del bambù. Dai dati pubblici dell’azienda emergerebbe che un ettaro di bambuseto dovrebbe assorbire circa 36 volte più CO2 rispetto a un ettaro di bosco misto e che l’azienda è inoltre attiva nella generazione di tre tipologie di crediti di carbonio.

E se anche il Diasugi venisse preso in considerazione per lo sviluppo di progetti di riforestazione per la produzione di crediti di carbonio? Nonostante questo sistema sia stato recentemente accusato e messo sotto inchiesta, provocando reazioni di sfiducia e sconforto anche in Italia, rimane comunque un tassello tra le varie iniziative praticabili per l’assorbimento o la riduzione delle CO2. L’integrazione tra Daisugi e carbon credits consentirebbe di generare una win-win situation in cui i progetti di riforestazione non solo contribuiscano al ri-assorbimento della CO2, ma creino valore continuando a fornire legname in modo controllato. Inoltre, la tecnica del Daisugi richiede un periodo lungo per essere applicata e poter generare i primi output, quindi il meccanismo dei carbon credits potrebbe essere l’unico modo per rendere l’iniziativa concretamente applicabile.

La canapa e la moda circolare

Oltre che nella riscoperta di tecniche circolari, la tradizione ci guida offrendoci esempi di materiali sostenibili, un tempo largamente utilizzati proprio come la canapa, che stanno vivendo una sorta di rinascita grazie alla crescente consapevolezza delle sue proprietà e qualità.
La canapa, infatti, è stata coltivata per migliaia di anni in molte parti del mondo, inclusi l'Antico Egitto, la Cina, l'India e l'Europa. In queste culture, la canapa veniva utilizzata per la produzione di tessuti di alta qualità, carta, corda e per uso medicinale. Pochi sanno che l’Italia, fino al 1939, è stata, insieme alla Russia, leader europeo e mondiale della coltivazione di canapa per la produzione di filati, tessuti ed olii commestibili, con 90.000 ettari di terreno dedicati. Tuttavia, la diffusione del cotone, la produzione industriale di fibre sintetiche e la mancata innovazione del ciclo di produzione hanno gradualmente cancellato questo primato e in generale l’utilizzo di questo materiale.
Attualmente il principale produttore mondiale di canapa è la Cina, che punta a piantare oltre 3 milioni di ettari di canapa tessile entro il 2030. In Europa il principale produttore è invece la Francia, mentre in Italia, dove solo dal 2016 è consentito nuovamente piantare canapa, il mercato è lentamente in crescita.

Ma perché la canapa è un input sostenibile dell’economia circolare? Secondo un recente studio dell’Università di Cambridge, la canapa industriale assorbe da 8 a 15 tonnellate di CO2 per ettaro di coltivazione, ossia il doppio rispetto ai principali ecosistemi. Inoltre, la coltivazione della canapa richiede meno di un terzo dell’acqua necessaria per il cotone producendo il 220% in più di fibre e può essere utilizzata nella bonifica dei terreni inquinati grazie alla sua capacità di assorbire i metalli pesanti e nocivi come selenio, piombo, cadmio e nichel.
Proprio grazie a queste proprietà la canapa è recentemente tornata in auge in un’ampia gamma di applicazioni industriali, come la produzione di materiali ecologici o bioplastiche. Pensate che negli ultimi anni si sta indagando l’utilizzo della fibra di canapa in sostituzione alla fibra di vetro. Quest’ultima, mixata con la plastica, consente di produrre un materiale detto vetroresina (fiberglass) utilizzato in tantissimi settori, come il settore aeronautico, edile, automobilistico e addirittura per la produzione di pale eoliche, grazie alle sue proprietà strutturali come la resistenza agli urti e la bassa conducibilità termica ed elettrica.

È incoraggiante notare come anche il settore della moda, nonostante la sua scarsa reputazione in termini di responsabilità ambientale, stia puntando nuovamente sulla canapa spinto dalla crescente attenzione dei consumatori, soprattutto più giovani, sui temi della sostenibilità. Infatti, Il mercato globale dell'abbigliamento in canapa dovrebbe raggiungere i 10,1 miliardi di dollari entro il 2028. Brand molto noti come Patagonia, azienda leader della sostenibilità, e Levi’s, marchio per antonomasia del jeans in denim, hanno scelto di puntare sulla canapa, realizzando delle apposite linee che vadano incontro le nuove esigenze dei consumatori. Non mancano esempi virtuosi nel nostro paese, come l’azienda italiana Opera Campi,  nata nel 2017, che si impegna nella produzione di maglieria 100% canapa e che ha sviluppato un brevetto per elasticizzare i tessuti in modo da rendere i prodotti più versatili.

Input sostenibili dalle colture vegetali: l’unica strada per il futuro

L’utilizzo di input sostenibili, dunque, non deve solo essere considerato un’opzione ma l’unica strada percorribile per garantire l’equilibrio del nostro pianeta. Sono tante le iniziative che in tutto il mondo stanno emergendo affinché tutti i settori possano abbracciare il primo modello della circular economy. Ad esempio quella delle colture proteiche vegetali per riportare l’equilibrio tra produzione di proteine di origine vegetale e animale ed evitare il depauperamento dei terreni. Anche in questo caso stiamo inconsapevolmente guardando al passato! Infatti, secondo una ricerca del National Geographic, i cacciatori-raccoglitori del paleolitico avevano un’alimentazione molto più sostenibile della nostra, assumendo solo il 30% delle calorie annuali da prodotti animali. La carne ha certamente avuto un ruolo cruciale nell’evoluzione della nostra specie ma ad oggi è di fondamentale importanza educare i consumatori ad un’alimentazione sostenibile, che favorisca i prodotti vegetali a scapito di quelli animali, il cui gigantesco impatto ambientale va assolutamente limitato. Proprio per questo motivo, anche la nuova politica agricola comune (PAC) 2023-2027 ha deciso di puntare in questa direzione, introducendo un sostegno specifico per gli agricoltori che incentiva la produzione di colture proteiche vegetali.

Lasciamoci ispirare dal passato per immaginare il futuro!

Immagine: Juniper Photon (Unsplash)