I legumi collaborano con i microbi per fissare l’azoto nel suolo, arricchendo quest’ultimo con sostanze nutritive essenziali. Questa caratteristica attira ovviamente l’attenzione degli scienziati che, proprio attraverso l’osservazione di queste piante, sperano di migliorare le rese del terreno riducendo l’impiego dei fertilizzanti. A raccontarlo, intervenendo sul network australiano The Conversation, è Sebastian Schornack, direttore del gruppo di ricerca del progetto ENSA (Enabling Nutrient Symbioses in Agriculture) dell’Università di Cambridge.

Come i legumi fissano l’azoto

Circa 100 milioni di anni fa, spiega il docente, i legumi hanno sviluppato la capacità naturale di ospitare alcuni batteri all’interno di strutture dedicate chiamate noduli radicali. Qui i microorganismi convertono l’azoto presente nell’aria e nel terreno in una forma accessibile per la pianta che lo utilizza come nutrimento. Grazie a questa particolarità, le piante leguminose hanno bisogno di una minore quantità di fertilizzanti azotati rispetto ad altre colture.

“Una leguminosa ad alte prestazioni può fissare fino a 300 kg di azoto per ettaro, mentre gli agricoltori sostengono costi pari a circa 1 dollaro al chilo di fertilizzante utilizzato per soddisfare le esigenze nutritive della pianta”, scrive Schornack.

“Nell’ambito del progetto ENSA – aggiunge il docente di Cambridge – stiamo studiando come questi noduli radicali azotofissatori si siano evoluti nelle sole leguminose. A partire da queste conoscenze, speriamo di trovare il modo di aumentare l’efficienza della fissazione dell’elemento e di massimizzare così la crescita e la resa delle leguminose.”

Vantaggi e prospettive

Gli studi si concentrano sulla capacità dei legumi di interagire con i batteri benefici tenendo lontani al tempo stesso i microbi dannosi. Proprio la necessità di difendersi dai patogeni potrebbe limitare la capacità della pianta di impegnarsi pienamente con i microorganismi più utili. Diventa quindi essenziale, sostengono i ricercatori, comprendere a fondo il peso di questi fattori limitanti. “I vantaggi di una più efficiente fissazione dell’azoto nelle leguminose comprenderebbero un aumento della crescita e della biomassa e, ci auguriamo, un maggior contenuto proteico nei semi o nei legumi”, scrive ancora Schornack.

Piante più efficienti implicano anche un uso ridotto dei fertilizzanti azotati con un impatto positivo sulla salute del suolo. Anche per questo gli scienziati ambiscono da tempo a estendere ad altre colture le dinamiche osservate nelle leguminose.

“Più conosciamo questa capacità unica dei legumi, maggiori saranno le nostre possibilità di sviluppare con successo altre colture con una capacità simile”, prosegue il docente. “Un tale sviluppo, per quanto ancora lontano negli anni, potrebbe trasformare l’agricoltura sostenibile, soprattutto nelle aree in cui l’accesso ai fertilizzanti sintetici è già limitato dai costi e dalla disponibilità”.

Il problema dell'azoto nei pesticidi

La ricerca chiama in causa ancora una volta la necessità di trovare un equilibrio nella gestione complessiva dell’azoto. Tale elemento, come noto, resta prezioso ed essenziale per le colture. Ma il suo accumulo eccessivo, legato anche al massiccio impiego dei fertilizzanti, può essere in definitiva pericoloso per l’ambiente. La perdita di azoto nei campi, infatti, impatta sul suolo e sull’acqua, ha effetti nocivi per piante e animali e contribuisce allo smog e al cambiamento climatico.

L’attenzione per questi problemi sta crescendo negli ultimi anni. Non è un caso, ad esempio, che la Commissione europea abbia ribadito la necessità di “contabilizzare l’intero bilancio dei gas serra”, includendo nel calcolo anche il protossido di azoto rilasciato. Le soluzioni disponibili, osservano gli esperti, includono l’uso di migliori tecnologie e l’applicazione di pratiche di fertilizzazione più efficienti.

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su resoilfoundation.org 

 

Immagine: Milada Vigerova, Pexels

 

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