Tra il 4 e il 9% di tutti i prodotti tessili immessi sul mercato in Europa, quasi un capo su dieci, viene distrutto prima di essere usato. Un vero e proprio spreco tessile che ogni anno riguarda fino a 594.000 tonnellate di vestiti (pari al peso di oltre 74 Torri Eiffel) e altri prodotti tessili restituiti oppure invenduti. A dirlo è il report Volumes and destruction of returned and unsold textiles in Europe's circular economy, redatto dal Centro tematico europeo sull'economia circolare e l'uso delle risorse (ETC CE) dell’European Environment Agency (EEA), pubblicato il 4 marzo 2024.

Ma non è tutto. Dal rapporto, disponibile anche in versione briefing, emerge come il fenomeno riguardi principalmente i resi dello shopping online. Secondo i ricercatori, in media un terzo (22-43%) di tutti i capi di abbigliamento acquistati in rete e restituiti finisce infatti al macero. Un problema etico, ambientale ed economico legato principalmente alla sovrapproduzione, a cui l’Unione Europea sta provando a rispondere con il divieto diretto di distruzione. Una disposizione che dovrebbe essere introdotta attraverso la proposta di regolamento Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR).

Quanto vale il settore tessile in Europa?

Secondo la confederazione europea EURATEX, il settore tessile e dell'abbigliamento dell'Unione europea ha mostrato una significativa ripresa post pandemia, raggiungendo nel 2022 un fatturato di 167 miliardi di euro, con un incremento del 14% rispetto al 2021.

Stando ai dati del report EEA, sempre nel 2022 le famiglie dell'UE hanno speso circa 282 miliardi di euro per l'abbigliamento (una media di 630 euro pro capite) e 68 miliardi di euro per le calzature, che in totale e a prezzi correnti rappresentano un aumento del 15% rispetto all'anno precedente. È importante sottolineare che la percentuale di prodotti tessili e abbigliamento acquistati online è stata dell'11% nel 2020, più del doppio rispetto al 2009, quando era del 5%. Una tendenza sostenuta principalmente da consumatori di età compresa tra i 16 e i 44 anni, che rappresentano la quota più alta di individui che acquistano online (fino al 76%). Tuttavia, l’aumento maggiore degli acquisti online di abbigliamento e scarpe si è registrato per la fascia d’età tra i 45 e i 74 anni.

Le strategie per ridurre i resi

Consentire i resi è fondamentale per garantire che i clienti acquistino solo ciò che è necessario. Ridurne i volumi è tuttavia cruciale per le stesse aziende. È una questione di ottimizzazione logistica che ha diretti vantaggi ambientali, come evidenziato anche da una recente indagine di Greenpeace. Gli attivisti hanno tracciato i resi online di alcuni grandi marchi del fast fashion, scoprendo che i vestiti comprati e restituiti più volte percorrono fino a 10.000 km. Inoltre, riporta la EEA, i resi danno luogo a una serie di processi che “implicano tutti un consumo di risorse e di energia (ad esempio, riconfezionamento, trasporto, smistamento, classificazione e altre attività legate ai resi) e l'utilizzo di spazi che richiedono riscaldamento e luce”.

Sono due le strategie suggerite dai ricercatori della EEA. Innanzitutto, evitare i resi ancor prima che gli articoli siano venduti. Per esempio, descrivendo accuratamente i prodotti e offrendo un servizio di consulenza sulle taglie. In futuro ciò potrebbe essere possibile grazie a tecnologie di vestibilità digitale, come scattarsi una foto con lo smartphone per creare misure personalizzate. “Secondo un grande rivenditore online europeo – si legge nel report ‒ per gli articoli accompagnati da consigli su come calcolare le misure, i resi legati alle taglie sono diminuiti del 10% rispetto agli articoli privi di consigli.”

In secondo luogo, i venditori potrebbero attuare le cosiddette “strategie di gatekeeping”, per limitare i resi. Questi interventi comprendono la sensibilizzazione dei consumatori “sui costi economici, ambientali e climatici associati alle restituzioni” e la scelta di non offrire la restituzione gratuita degli acquisti effettuati online. Inoltre, sebbene le norme dell'UE diano ai consumatori il diritto di cancellare il servizio o restituire i prodotti acquistati online entro 14 giorni dall’ordine, sul mercato sono presenti aziende che offrono l’estensione di questa possibilità fino a 30, 50 o più giorni. Questo, però, incide sulla possibilità di rivendere il capo dopo la sua restituzione: limitare il periodo a 14 giorni, invece, avrebbe un impatto positivo sulla probabilità di riportare il capo sul mercato.

Mancano informazioni, soprattutto sull’invenduto

La necessità di trasparenza dei dati emerge anche con riferimento ai prodotti tessili. Le informazioni disponibili sui volumi di prodotti tessili rimasti invenduti sono infatti meno numerose di quelle sui resi. La quota media di prodotti tessili invenduti riscontrata in letteratura è del 21%. Un quinto di questi stock finisce per essere distrutto. Una pratica, quella della distruzione, che sembra essere presente nell’industria della moda almeno a partire dagli anni Ottanta e non è certo priva di impatti, come ricorda l’EEA.

La distruzione sotto forma di incenerimento rilascia non solo CO2 ma anche altri inquinanti atmosferici, a seconda di quanto sia tecnicamente avanzato l'inceneritore. Inoltre, l’invenduto ha un notevole impatto negativo sull'ambiente e sul clima a causa dell'utilizzo delle risorse, della produzione e del trasporto di quei prodotti tessili che non vengono mai consumati e che a volte entrano nei circuiti del second-hand verso il sud globale, dove però diventano presto rifiuti inutilizzati.

Dal divieto di distruzione all’EPR nel tessile

Per limitare lo spreco tessile ci sono due tipologie di strumenti. Secondo l’EEA, al primo posto vi sono leggi e tasse, che però tendono ad agire limitando le scelte dei consumatori e alterando gli incentivi finanziari. Al secondo, tra le politiche più "morbide", si trovano strategie di "persuasione morale", campagne educative e, tra gli interventi più recenti, approcci di politica pubblica comportamentale, compreso il nudging (un modo di influenzare positivamente le scelte delle persone agendo sul contesto in cui vengono prese). In generale poi, per i ricercatori, “gli interventi politici possono potenzialmente mirare ad aumentare il costo di produzione in modo che la sovrapproduzione diventi una responsabilità finanziaria per i marchi, che avrebbero più interesse a evitarla, incentivando al contempo la ridistribuzione”

In ogni caso, un'azione chiave è quella proposta nella Strategia dell'UE per un tessile sostenibile e circolare: fermare la distruzione dei prodotti tessili invenduti e restituiti. Il 5 dicembre 2023, il Consiglio dell'Unione europea e il Parlamento europeo hanno infatti raggiunto un accordo politico provvisorio su una proposta di regolamento per la progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR). L'articolo 20 della proposta stabilisce un obbligo generale di trasparenza per gli operatori economici che si disfano di prodotti di consumo invenduti, compresa la divulgazione di informazioni sul numero di prodotti di consumo invenduti scartati all'anno.

La normativa citata contempla anche l'adozione di misure specifiche per proibire la distruzione di determinate categorie di beni di consumo non venduti. Le imprese di piccole e micro dimensioni non sarebbero soggette a questo divieto, mentre le imprese di medie dimensioni potrebbero avvalersi di un periodo di esenzione di sei anni. Inoltre, l'implementazione di sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR) per i prodotti tessili in tutta l'Unione Europea dovrebbe imporre e facilitare il riutilizzo dei prodotti tessili non venduti nella gerarchia dei rifiuti. L'obiettivo principale di un sistema EPR è quello di attribuire la responsabilità della gestione dei rifiuti, inclusi la raccolta e il trattamento, agli attori che mettono i prodotti sul mercato.

 

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Immagine: Alejo Reinoso, Unsplash

 

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