Quando beni di seconda mano varcano le frontiere dell'UE, le tasse per l’EPR a essi associate vengono spesso trattenute nei Paesi esportatori. Ciò priva i Paesi importatori dell'adeguato sostegno finanziario per gestire i prodotti quando essi raggiungono inevitabilmente la fine del loro ciclo di vita e devono essere raccolti, smontati, riparati, decontaminati, riciclati o, infine, smaltiti.

Una recente ricerca dell’European Environmental Bureau (EEB) sulle esportazioni di elettronica e veicoli usati dall'UE all'Africa stima che ogni anno le economie africane perdano 340-380 milioni di euro in tasse EPR associate all'elettronica di seconda mano e 294,6 - 409,4 milioni di euro per i veicoli di seconda mano. Ciò mette ulteriormente a dura prova le già difficili economie riceventi, dove le risorse finanziarie per la raccolta, la rigenerazione e il riciclo sono limitate e lo smaltimento informale in discarica e l'incenerimento sono comuni.

Dal momento che le attuali strutture EPR non affrontano il ciclo di utilizzo multiplo del prodotto e il commercio transfrontaliero di dispositivi elettronici come computer, lavatrici o telefoni cellulari, i Paesi africani e l’African Circular Economy Network stanno lavorando alla creazione dell’Ultimate Producer Responsibility (UPR).

Mentre l’attuale EPR, creato negli anni Novanta a livello nazionale, esiste per gestire i rifiuti in un Paese, l’UPR nasce per gestire i rifiuti sulla Terra, indipendentemente dal Paese. L’UPR tiene conto del commercio internazionale degli oggetti usati e prevede un meccanismo di trasferimento finanziario dai programmi di responsabilità estesa del produttore (EPR) basati nell'UE ai Paesi che importano prodotti di seconda mano dall’Europa.
Ne abbiamo parlato con Jocelyne Landry Tsonang, non-executive director dell’ACEN Foundation African Circular Economy Network.

Jocelyne Landry Tsonang

 

Quando i prodotti vengono esportati dall'UE all'Africa per essere riutilizzati, le tasse pagate dai produttori per sostenere i costi di gestione dei rifiuti spesso non arrivano fino a lì. Cosa si può fare per regolare il flusso dei prodotti usati?

Stiamo lavorando per dar vita ad una UPR (Ultimate Producer Responsibility) per i beni di seconda mano provenienti dall’Europa. Penso sia necessaria una maggiore pressione da parte dell’Europa sui governi africani che ricevono questi prodotti per mettere in atto un quadro di riferimento che aiuti davvero a sostenere il sistema e a stimolare l'EPR a livello nazionale. Ci sono enormi quantità di indumenti e di automobili, ad esempio, che arrivano dall’Europa e dagli Stati Uniti e di apparecchiature elettroniche che provengono persino dall’Australia.

È necessario, quindi, cominciare a incanalare parte delle risorse dell’UPR verso il luogo in cui quel cellulare andrà a finire e assicurarsi che, alla fine del ciclo di vita, tali risorse economiche possano essere utilizzate per sostenere il riciclo e lo smaltimento pulito dell'automobile, degli apparecchi elettronici, dei tessuti o di qualsiasi altra cosa. Il mercato dell’usato è un business enorme, la maggior parte di questi beni di seconda mano non arriva in Africa a titolo gratuito, ma viene venduta.  Per questo si deve implementare una UPR per assicurarsi che i governi sostengano la fine del ciclo di vita di questi prodotti. E al tempo stesso è giusto che i partner stranieri fungano da leva per potenziare il sistema.

Qual è la situazione al momento senza UPR?

In Africa arrivano molte apparecchiature elettroniche di seconda mano. Più del 50% sono difettose oppure hanno raggiunto la fine del ciclo di vita e non possono più essere utilizzate. Molto spesso gli oggetti vengono semplicemente smaltiti e persone del settore informale cercano di recuperare materiali preziosi da queste apparecchiature. Il più delle volte non hanno tecnologie, non hanno il know-how necessario, si limitano a usare i mezzi che hanno, che non sono i migliori per la salute e per l'ambiente.

C'è poi l'industria del riciclaggio dei metalli, che è ad uno stato avanzato in molti Paesi africani. Procurarsi un chilogrammo di rottami metallici non è molto difficile, mentre ottenere un chilogrammo di bottiglie di plastica lo è: bisogna raccogliere quaranta bottiglie, da cui si ricavano appena dieci centesimi di dollaro, mentre i metalli sono pagati molto di più. Anche la carta da imballaggio è ampiamente raccolta. Il settore informale, oggi, aiuta a ridurre il tasso di rifiuti che finiscono in discarica e aiuta anche l'industria del riciclo che manca di infrastrutture e di canali di raccolta.

 

Esiste l’Extended Producer Responsibility nel continente africano?

L’Africa è un continente con 54 Paesi e altrettanti governi, quindi si tratta di un ecosistema molto complesso. Tuttavia non credo sia fuorviante dire che l’EPR sia ancora in una fase di nascita in Africa. La maggior parte dei Paesi sta cercando il modo migliore per creare sistemi di responsabilità estesa del produttore nonostante ci siano molti ostacoli all'attuazione delle politiche. C’è la difficoltà di tracciare i dati, che è una barriera importante, perché non si può avere efficacia se non si hanno dati puntuali e leggibili. Molte autorità non sanno nemmeno da dove cominciare a causa del divario di conoscenza. L’ambiente politico che circonda le questioni ambientali in generale non è così rigoroso come in Europa. I governi stanno cercando di affrontare alcuni di questi limiti, ma non è facile passare alle fasi di sviluppo e implementazione di questi sistemi.

 

Chi sono i soggetti a dover  spingere per la creazione di sistemi di EPR?

Il governo dovrebbe lavorare insieme alle aziende. È necessario un profondo coinvolgimento degli stakeholder per assicurarsi che tutti i soggetti coinvolti nella catena del valore siano d’accordo. Tuttavia la sostenibilità ambientale, ma si potrebbe dire anche la coscienza ambientale delle aziende in Africa è davvero molto bassa, dal momento che devono lottare con altri problemi quali l’accesso al capitale, all'energia, alle risorse in generale. Per molte imprese africane la sostenibilità è un lusso.

Ovviamente una differenza va fatta con le grandi multinazionali straniere presenti nel continente che, invece, approfittano del fatto che le politiche non siano molto ben strutturate e regolamentate. Ci sono delle azioni su base volontaria, ma la maggior parte di esse può essere etichettata come greenwashing. Il sistema di governance generale non è molto forte, ma non credo che il settore privato prenderà l’iniziativa. L’implementazione dell’EPR in Africa arriverà principalmente dai governi.

 

Ma ci saranno anche delle eccezioni. Quali Paesi hanno buone pratiche all’attivo?

Il Sudafrica è leader in termini di politiche di EPR. Nonostante il loro sistema non sia perfetto e ci siano delle lacune, i sudafricani hanno fatto dei progressi sostanziali, soprattutto nella filiera della plastica e delle apparecchiature elettroniche. Ci sono delle lacune, perché le politiche dovrebbero avere come obiettivo principale quello di incentivare la riduzione dei rifiuti: a livello di progettazione, il produttore dovrebbe assicurarsi di immettere sul mercato il minimo indispensabile, meno potenziali rifiuti possibili.

Accanto al Sudafrica, sono sulla buona strada anche Kenya e Ghana, che è uno dei Paesi africani in prima linea in termini di sostenibilità. Qui i produttori stanno creando un'organizzazione per l’EPR, anche se il modello non è ancora molto forte e consolidato. Si tratta più che altro di Paesi francofoni. In Costa d’Avorio alcune grandi multinazionali francesi stanno cercando di fare qualcosa di volontario, ma le azioni fatte su base volontaria non hanno sempre i migliori risultati. Hanno fondato, ad esempio, l’AIVP - Association Ivoirienne pour la Valorisation des déchets Plastiques, che raggruppa i produttori di plastica ivoriani. 

 

Quali sono le maggiori sfide nell’implementazione degli EPR in Africa?

La prima è sicuramente la governance. La struttura di governance, vale a dire anche tutte le politiche, gli incentivi, i disincentivi, la corruzione, è l'ostacolo principale. La seconda potrebbe essere la mancanza di dati. Un'altra sfida è rappresentata, come ho detto, dalla consapevolezza della sostenibilità che le aziende stesse non hanno. Non si pensa che la sostenibilità possa essere una leva per il proprio business, anche perché in Africa il mercato dei consumatori non è molto esigente.

Pochissime persone si preoccupano di sapere quanto sia ecologico un prodotto. Infine, anche l'infrastruttura per la gestione dei rifiuti è una sfida, la separazione dei rifiuti stessi varia immensamente, non esistono sistemi di raccolta ovunque. Anche quando si dispone di un sistema di raccolta, non c'è separazione e tutto viene mischiato - organico, plastica, elettronica - e finisce semplicemente in discarica. Ciò rende difficile ottenere materiali riciclabili di qualità.

 

Come si potrebbe migliorare nell’immediato?

Esistono delle lacune che rendono questi sistemi deboli. Le norme tengono conto magari del peso degli imballaggi in plastica, ma non dei colori e, quindi, della minore riciclabilità di alcune plastiche colorate rispetto ad altre. Le aziende preferiscono usare attraenti imballaggi colorati ed essere tassate sul peso e sulle dimensioni dell’imballaggio, il che rende il tutto parziale. Ci sono spesso delle scappatoie anche in termini di gestione dei rifiuti e di conflitto di interessi perché, ad esempio, le stesse aziende che producono i materiali sono a volte responsabili della raccolta del riciclo degli imballaggi di plastica.

Le tasse raccolte dalle aziende per la gestione dei propri prodotti a fine vita dovrebbero essere utilizzate per supportare le aziende stesse, magari attraverso corsi di formazione in ecodesign, in modo da realizzare prodotti più ecocompatibili. Invece, in alcuni Paesi come il Camerun, gli introiti dell’EPR per gli imballaggi della plastica non vanno al Ministero dell’Ambiente, non diventano sovvenzioni per il riciclo, ma finiscono nel Tesoro Nazionale. Il denaro, dunque, viene utilizzato per qualcosa di molto diverso dallo scopo e finisce per non avere un impatto diretto nel settore.

 

Si tratta di un problema di investimenti? Le persone non vedono valore nei rifiuti? Ci sarebbe bisogno di un cambio di mentalità?

Per le aziende, non per i governi, la sostenibilità non è una priorità assoluta. Non ci sono, però, neanche forti incentivi da parte del governo. Penso che sia tutta una questione di incentivi. E poi il quadro di governance, a causa della corruzione, non aiuta: il sistema EPR ha bisogno di trasparenza e i governi di molti Paesi non hanno i mezzi per tenere traccia di tutte le aziende e assicurarsi che la rendicontazione sia corretta. Quindi ci si basa principalmente sull’auto-dichiarazione e la maggior parte delle imprese non è onesta nelle proprie dichiarazioni. Si ritorna così alla questione dei dati. Se ci fossero incentivi per assicurare l’accuratezza dei rapporti, ciò aiuterebbe davvero a creare un buon sistema.

I rifiuti hanno ancora un valore, tutti nel continente lo sanno. C'è valore nel raccoglierli, ma ancora una volta, a causa del fatto che alcune persone sono state al governo per molto tempo, siamo legati allo status quo. Ciò che può davvero cambiare la situazione credo sia una pressione dall'estero, ad esempio dall’UE, che è un importante partner commerciale dell’Africa. E poi si potrebbe cominciare dai dati disponibili, creare un sistema con tecnologie come la blockchain, che potrebbero davvero migliorare il livello di accuratezza e trasparenza.

 

Immagine di copertina: Giacomo Berardi, Unsplash