“È come se nell’acqua che viene utilizzata per fermentare la birra aggiungessimo un bicchiere di vino. E a fine processo pretendessimo di spillare dalla cisterna un bicchiere di vino. Attraverso la tecnologia di riciclo chimico, le aziende potrebbero utilizzare l’approccio mass balance per etichettare il proprio prodotto come riciclato al 100%, quando magari di contenuto riciclato ce n’è davvero pochissimo”. Stiamo parlando di riciclo delle plastiche e questo esempio di Mattia Comotto, project manager di Aquafil, spiega perfettamente il motivo per cui diverse associazioni - tra cui Zero Waste Europe, EEB-European Environmental Bureau, Greenpeace, Ecos, ChemSec - hanno scritto una lettera congiunta alla Direzione Ambiente della Commissione europea per modificare una bozza di atto d’esecuzione della direttiva SUP (Single-Use-Plastic) che stabilisce le modalità di calcolo per le quote di materia prima riciclata dei nuovi imballaggi monouso. Si tratta di un atto importante perché regola il modo in cui gli Stati membri dovranno calcolare la quantità di plastica riciclata per soddisfare le richieste della SUP.

Gli approcci di calcolo a rischio di greenwashing

Il metodo sotto accusa è il mass balance approach, ovvero un approccio utilizzato nel riciclo chimico che permette di allocare a un determinato prodotto un contenuto di materiale riciclato o bio-based, indipendentemente dal fatto che il prodotto finito contenga o meno il medesimo contenuto. Il tutto si basa su un concetto allocazione di crediti di contenuto riciclato o bio-based che, secondo le organizzazioni firmatarie, permetterebbe alle aziende di aumentare magicamente la quota di contenuto riciclato, mettendo a rischio trasparenza e la credibilità con cui si misura l’effettiva sostenibilità del packaging.

Un argomento molto caldo, soprattutto in vista delle votazioni al Parlamento europeo sul nuovo regolamento sugli imballaggi proposto dalla Commissione europea.
L’industria petrolchimica ha visto nel riciclo chimico una nuova opportunità per continuare a produrre la quantità di plastica di sempre, promuovendo tale pratica come panacea ai problemi di sovrapproduzione e inquinamento da plastica. Da un lato è vero che le tre diverse tecnologie di riciclo chimico sono in grado di riciclare infinite volte alcuni polimeri, dall’altro, però, è difficile dire ad oggi quale sia il vero impatto ambientale di questi processi.

“L'atto di esecuzione della Commissione dovrebbe assicurare regole di calcolo a sostegno di un approccio tecnologicamente neutro”, ha detto Lauriane Veillard, Chemical Recycling officer di Zero Waste Europe. “Se claim ambientali che utilizzano il bilancio di massa si basano su approcci diversi dall'allocazione proporzionale, le pratiche di greenwashing diventeranno la nuova norma in Europa".
Con “allocazione proporzionale” Veillard intende un’attribuzione del riciclato commisurato all’input. Per esempio, in uno stabilimento che produce bottiglie PET entra una tonnellata di plastica riciclata chimicamente e una di polimeri vergini. I due lotti vengono miscelati: le bottiglie che usciranno dallo stabilimento avranno un contento di riciclato del 50%.

Secondo Zero Waste Europe e le altre organizzazioni un metodo di allocazione non proporzionale, invece, porterebbe a tassi di riciclo fuorvianti. Ad esempio, attraverso la tecnologia di pirolisi (riciclo chimico) – in cui è difficile verificare il flusso di materia – spesso vengono segnalati tassi di riciclo che arrivano all'80%, mentre la resa effettiva del contenuto riciclato può arrivare al massimo al 10%. Il tasso di rendimento è una metrica significativa per confrontare l’efficienza delle diverse tecnologie di riciclo e non andrebbe sottovalutata. “Ci piace sottolinearlo soprattutto per quanto riguarda la pirolisi del PET – si legge nella lettera – in cui le quantità di rendimento del contenuto riciclato viene valutata come irrilevante”.

La richiesta delle associazioni è, dunque, “che l’unico modello di contabilità ammesso per verificare il flussi di materia riciclata diventi l’allocazione proporzionale, poiché questo è l’unico approccio in grado di garantire un percorso chimico e fisico comprovato tra la materia prima in ingresso e il prodotto finale”.
La scadenza per fornire alla Commissione europea raccomandazioni e modifiche all’atto d’esecuzione della direttiva SUP era il 17 luglio. Ora la palla passa a Bruxelles.

Immagine: Envato Elements