Spesso si dice che dalle crisi nascono nuovi mondi, nuove opportunità. Non è il caso dell’Unione europea che, invece di sostituire le importazioni di petrolio russo provando a ridurre i consumi, ha scelto semplicemente altri Paesi fornitori, Stati Uniti in testa.
Le sanzioni alle importazioni di greggio russo rappresentavano un’ottima occasione per tagliare i consumi di prodotti petroliferi come i carburanti, ma, come dimostra il nuovo studio del think tank Transport & Environment (T&E), Bruxelles non ha ancora fissato concreti obiettivi di riduzione e di efficientamento per superare la dipendenza dagli idrocarburi.

I nuovi fornitori di petrolio

Nel gennaio 2022 la Russia rappresentava il 31% delle importazioni europee di petrolio. Un anno e due mesi dopo, a seguito delle varie sanzioni, la quota è scesa ad appena il 3%. Questo non è coinciso con alcuna riduzione nei consumi. Se dal giorno dell’invasione russa a oggi la domanda europea di gas si è ridotta del 15%, quella di petrolio è addirittura aumentata del 2%. Secondo T&E, questo può essere causato dal fatto che molti Paesi europei abbiano scelto di sussidiare il consumo di carburanti come risposta alla fluttuazione dei prezzi del petrolio durante lo scorso anno.

"In poco più di un anno, l'UE ha ridotto sensibilmente la sua dipendenza dal petrolio russo – ha dichiarato Carlo Tritto, Policy Officer di T&E Italia - Purtroppo questo non è dovuto a un abbattimento nei consumi di combustibile fossile, ma a una strategia di sostituzione ‘barile per barile’ del greggio russo con quello di nuovi fornitori. Se tutti gli sforzi profusi nel ridisegnare la mappa delle importazioni fossero stati indirizzati verso politiche di superamento della dipendenza dagli idrocarburi, oggi avremmo un sistema energetico migliore e più pulito".

Tritto parla di una mappa del petrolio completamente ridisegnata, con gli Stati Uniti che sono diventati il primo fornitore europeo con l'11%. Seguono a ruota Norvegia e Arabia Saudita, che ha registrato un aumento del 45% delle esportazioni nel vecchio continente. Oltre a quelle dai fornitori tradizionali, sono cresciute di sei volte le importazioni mensili dall'Angola, raggiungendo quasi i sei milioni di barili. Mentre la quota delle esportazioni brasiliane e irachene è aumentata rispettivamente del 59% e 15%.
L'analisi di T&E mostra che l'80% dell'aumento delle esportazioni di petrolio verso l'Europa proviene da soli dieci giacimenti petroliferi. La maggior parte proviene dal Permian Basin Texas, poi seguono il giacimento Johan Sverdrup - il più grande della Norvegia - e il brasiliano Tupi Oil Field, un giant scoperto nel 2006 da Petrobras.

Nonostante l'ampio consenso scientifico sul fatto che lo sviluppo di nuovi progetti di upstream di idrocarburi sia "incompatibile" con l'obiettivo di rispettare la soglia dei 1,5°C di aumento delle temperature medie, continuano a essere pianificati su scala globale nuovi progetti di estrazione petrolifera, specie nei Paesi chiave che riforniscono l'UE. Duecento tra questi (alcuni operativi, altri in programma) sono le cosiddette le 18 "bombe climatiche" identificate da T&E, che emetteranno più di 1 giga tonnellata di CO2 nel corso della loro vita e supereranno di gran lunga il budget di carbonio residuo per contenere il riscaldamento globale entro il 1,5°C.

Perché non diminuiscono i consumi di petrolio?

Per far si che si riduca la domanda, i Paesi membri devono provare a ridurre i consumi. Nel 2022 i maggiori importatori di prodotti petroliferi erano Germania, Paesi Bassi, Italia, Spagna e Francia, responsabili del 65% di tutte le importazioni. Per una domanda trainata principalmente dal settore dei trasporti, sono stati il traffico stradale (tornato ai livelli pre-pandemici) e l’aviazione ha causare il picco nella domanda.
“L'UE ha un piano per ridurre il consumo di gas entro il 2024. Ma non ne ha per abbattere i consumi di petrolio – ha aggiunto Carlo Tritto - Con politiche mirate alla riduzione della domanda e all’aumento dell'efficienza, l'Europa potrebbe ridurre il consumo di petrolio di un terzo”. Fornire trasferimenti di denaro mirati piuttosto che sussidi generalizzati per i combustibili fossili sarebbe una di queste politiche.

Per aumentare l'efficienza energetica nel settore dei trasporti delle merci e accelerare la transizione verso veicoli a emissioni zero, la Commissione ha presentato l’11 luglio il Greening of Freight Package che, si legge dalla comunicazione, “prenderà in considerazione un'iniziativa legislativa per aumentare la quota di veicoli a emissioni zero nei parchi auto pubblici e aziendali al di sopra di una certa dimensione”. L’obiettivo è di ridurre le emissioni di questo tipo di mezzi del 90% entro il 2050. La decarbonizzazione del trasporto dei cittadini, invece, spetta al regolamento incluso nel Fit For 55 package che prevede lo stop alla vendita di auto con motore a benzina o diesel dal 2035.

Immagine: Envato Elements