C’è fibra e fibra. Nel caso della carta siamo stati abituati alla “nobile” fibra di cellulosa, derivata dal legno e che alcuni decenni addietro era tutta di “prima mano”, ma che negli ultimi anni viene sempre di più riciclata – fino a sette volte – in percentuali che raggiungono il 65%. 

È una strada, quella del riciclo della carta che è stata, per l’Italia, un percorso quasi obbligato vista la carenza di foreste adatte allo scopo, ma che non si è fermata alla ricerca di sistemi migliorativi. Esistono esperienze tecnologiche e scientifiche, infatti, nelle quali per incrementare la sostenibilità del settore cartario si sperimentano metodologie per rendere più sostenibile la produzione della carta. 

 

 

E non si tratta di ipotesi, ma di processi produttivi consolidati che hanno portato sul mercato nuovi prodotti. È il caso di Favini, storica azienda cartaria le cui origini risalgono al 1736, che ha tra i propri prodotti tre tipologie di carta nelle quali si trova “altro” rispetto alla più classica fibra di cellulosa, vergine o riciclata che sia. La storia della ricerca di “ingredienti” alternativi, per Favini, inizia 25 anni fa. Per la precisione quando l’azienda pensò di usare come materia prima per la produzione della carta – in sostituzione della cellulosa – le enormi quantità di alghe cresciute nell’Adriatico a causa del processo di eutrofizzazione delle acque. Alga Carta, questo il nome del prodotto, fu un successo. Replicato, a distanza di circa dieci anni, con Carta Crush che utilizza tutta una serie di sottoprodotti dei processi alimentari. “E il risultato commerciale, oltre che ambientale – ci spiega Eugenio Eger, amministratore delegato di Favini – non si è fatto attendere. Evidentemente i tempi sono stati quelli esatti per intercettare tutti i soggetti interessati a valorizzare il concetto del recupero di materia.”

 

Eugenio Eger

 

Uso sostenibile

In questo caso la sostituzione della cellulosa proveniente da alberi arriva fino al 15%, utilizzando materia di scarto che altrimenti sarebbe stata impiegata come integratore nella zootecnica, combustibile per gli inceneritori, oppure spedita in discarica. E la gamma dei prodotti di scarto utilizzati come materia prima è vasta. Si va, infatti, dal caffè al mais, passando per la ciliegia, la nocciola, la mandorla, l’oliva, il kiwi e gli agrumi, arrivando alla lavanda. E tutto è rigorosamente derivato da colture prive di ogm. “Il concetto che abbiamo voluto introdurre è quello di una sostenibilità a tutto tondo che coinvolga l’intero processo di produzione” prosegue Eger. “Oltre al recupero di materia e all’assenza di ogm questi nostri prodotti hanno un 30% di fibra riciclata, sono certificati Fsc (Forest Stewardship Council, ossia la certificazione internazionale indipendente che garantisce una gestione corretta e sostenibile delle foreste e la tracciabilità dei prodotti) e sono realizzati usando il 100% di energia rinnovabile.” 

Il tutto produce, valutando l’Lca (Life Cycle Assessment, ossia la valutazione del ciclo di vita) una riduzione delle emissioni di CO2 del 20%, senza però aumentare i costi di produzione poiché la gestione delle materie prime è analoga a quella della carta di qualità ottenuta con materie prime tradizionali. Ma è il target d’utilizzo a fare la differenza sul fronte commerciale. Sulla Carta Crush, che è venduta in 25 paesi, si stampano i rapporti di sostenibilità d’importanti aziende. Questa carta viene anche usata per il packaging di Veuve Clicquot che, per la propria linea Naturally, ha deciso d’utilizzare una scatola in cartone prodotto con una percentuale del 25% di vinacce. Insomma il contenitore, o il supporto, in questo caso diventa un veicolo di comunicazione per la sostenibilità. E non è una cosa da poco. 

 

 

Ma la sfida dell’azienda nel riuso non si ferma qui. I nostri lettori che hanno tra le mani l’edizione cartacea di questo numero stanno toccando in maniera concreta un prodotto unico nel suo genere: una carta che per il 25% utilizza una fibra derivata da sottoprodotti della lavorazione del cuoio, espandendo così le potenzialità di riuso dei materiali di scarto e facendo fare al loro impiego un vero e proprio salto, di qualità e non solo. Così s’incontrano due filiere produttive differenti, quella della carta e quella della pelletteria. “La nuova carta, prodotta da un mix innovativo tra fibre vegetali e fibre di collagene, rappresenta ciò che noi chiamiamo upcycling, ossia il riuso creativo dei materiali di scarto” prosegue Eger. “Ed è il primo punto d’arrivo della nostra costante ricerca e sperimentazione nell’utilizzo dei sottoprodotti di scarto ottenuti nei processi industriali diversi da quello cartario.” 

 

Da scarto a prodotto di pregio

Per la realizzazione di Remake, questo il nome della nuova carta, si utilizzano le rasature e gli sfridi della lavorazione del cuoio, a concia rigorosamente vegetale per non avere residui di metalli pesanti e cromo – cosa che potrebbe incentivare l’industria della pelle ad adottare processi più ecologici e meno inquinanti – ottenendo una carta di alto valore adatta anche all’imballaggio di pregio. “Si tratta di un passo importante per noi che ha coinvolto anche il processo produttivo” aggiunge Eger. “Nel cuoio si trova una fibra che deve ‘legare’ con quella del legno e non fare da riempitivo come nel caso della farina da alghe o scarti alimentari. Per questo motivo il cuoio non deve essere micronizzato, ma sfibrato e da qui deriva la maggiore difficoltà che abbiamo incontrato nel definire al meglio il processo di produzione.” La nuova carta è riciclabile e compostabile al 100%, cosa derivata anche dalla scelta dello “scarto” solo ed esclusivamente tra quello trattato con la concia vegetale, mentre il contenuto è derivato al 25% dalla lavorazione del cuoio e il restante 75% è diviso tra il 30% di fibra di cellulosa da riciclo e il 45% vergine, entrambe certificate Fsc.

 

 

Comunicare la sostenibilità

L’obiettivo di Favini con Remake è di offrire un supporto di comunicazione della sostenibilità ai mondi che si stanno affacciando all’ecologia da poco tempo. Primo tra tutti quello della moda, mentre i mercati di riferimento dovrebbero essere quelli italiano, tedesco, francese, giapponese. Senza trascurare il mercato cinese dal quale stanno arrivando segnali interessanti. E le quantità di produzione previste dovrebbero essere 150 tonnellate il primo anno, per poi passare il secondo anno a 300 tonnellate. “Non si tratta solo di un lavoro che riguarda l’aspetto produttivo tecnologico che in buona parte abbiamo già fatto con la fase d’industrializzazione e i test qualitativi” conclude Eger. “Stiamo lavorando alla comunicazione del prodotto per posizionarlo in maniera corretta, anche con una veste grafica che lo renda evocativo.” Già perché troppo spesso chi si occupa d’ecologia e sostenibilità usa solo i numeri, indispensabili, ma dimentica che i lavori, le economie e gli stili di vita innovativi e sostenibili hanno bisogno di una forte carica d’empatia per diffondersi. E magari toccare con mano un foglio di carta fatto in maniera diversa può essere un primo passo.

 

La Carta Remake in cifre

  • Residui di lavorazione del cuoio 25%;
  • Cellulosa di riciclo post consumer certificata Fsc 30%;
  • Fibre di cellulosa vergine certificata Fsc 45%;
  • Totale Fsc 75%;
  • Produzione prevista il primo anno: 150 tonnellate;
  • Produzione prevista il secondo anno: 300 tonnellate.

 

I vantaggi di Remake

  • Si evita di utilizzare un 25% di materie prime vergini (cellulosa di albero) cosa che implica tra l’altro l’utilizzo di energia, inquinamento atmosferico e idrico ed emissioni di gas serra;
  • si annulla il costo dello smaltimento;
  • si rende disponibile al mercato cartario un nuovo materiale che dona alla carta migliori caratteristiche di compostabilità;
  • si favorisce l’abbandono dei metalli e del cromo nell’industria della concia, a favore di sistemi ecologicamente più compatibili.

  


 

Intervista a Achille Monegato, responsabile Ricerca e Sviluppo Favini

 

L’etica della carta

 

Durante la nostra visita in Favini abbiamo incontrato Achille Monegato, responsabile della Ricerca e Sviluppo, da 18 anni nell’azienda e da 27 nel settore della carta. A lui abbiamo fatto alcune domande sulle carte che utilizzano materie prime derivate da scarti. 

 

Qual è stata la logica che vi ha spinto verso la creazione di queste carte?

La riflessione di fondo è rappresentata dal fatto che l’ecologia non è solo riciclo e che è necessario prepararsi alla scarsità della materia prima. E l’Italia sotto questo profilo è molto vulnerabile visto che importiamo il 98% delle fibre vergini di cellulosa. Ecco perché, secondo noi, è necessaria la ricerca di nuove materie prime.

 

Quindi seguendo questa strada siete arrivati a Remake, la carta fatta dal cuoio?

Sì, ma dire che Remake è fatta con cuoio è riduttivo sotto il profilo della R&S. Questa carta, infatti, è prodotta con il collagene che è una fibra dalla struttura quaternaria, formata da intrecci di fibre, della quale esistono una trentina di tipi diversi. Sono fibre che hanno una morfologia assolutamente simile a quella della cellulosa e quest’esperienza, secondo me, aprirà la strada ad altri tipi d’accoppiamento tra fibre.

 

 

Che tipo di problemi avete incontrato in questa attività di R&S?

Sostanzialmente due. Il primo è quello legato alla ricerca della materia prima, ossia il sottoprodotto, che si suddivide in tre fasi: l’identificazione e la produzione; la trasformazione per rendere idonea la materia prima; l’impiego nella fabbricazione. Si tratta di questioni che devono essere affrontate nella fase di R&S. Il secondo problema è la barriera culturale che ci porta a non identificare come materia prima cose che prima non si consideravano tali. È una barriera “psicologica” che una volta superata permette d’accedere a un mondo di possibilità. Per quanto ci riguarda si è trattato di un problema legato a una cultura di processo che bisogna dimenticare per andare avanti in direzione della sostenibilità.

 

Come avete ottimizzato i processi di produzione per questi nuovi prodotti?

Per quanto riguarda la micronizzazione ci siamo dotati di un impianto di trattamento, per cui oggi l’unico limite è quello d’avere un materiale secco che non deperisca prima della lavorazione. Per il cuoio, invece, è stato necessario un impianto di sfibratura. La nostra filosofia di fondo, comunque, è internalizzare tutti i processi una volta verificata la bontà del prodotto sotto il profilo commerciale. 

 

Quali sono le vostre direttrici di ricerca e sviluppo?

Abbiamo due direttici di ricerca. Quella dei nuovi materiali micronizzati e quella delle nuove fibre, legate da due denominatori comuni: il rifiuto nella maniera più assoluta di prendere in considerazione materiali che siano destinati, o destinabili, all’alimentazione umana e la scelta di non utilizzare coltivazioni ogm. Non abbiamo preso in considerazione, per esempio, la soia perché non avevamo garanzie sufficienti sul fatto che non fosse ogm, mentre per il mais e la crusca abbiamo deciso di servirci di materiali nazionali che sicuramente non lo sono. Si tratta di questioni etiche per noi prioritarie e inserite nella policy aziendale. Questo fatto è stato particolarmente apprezzato da Barilla che per realizzare i propri rapporti di sostenibilità e il packaging di Academia Barilla ha utilizzato la CartaCrusca da noi prodotta che abbiamo sviluppato in collaborazione con il loro settore R&S. Così la crusca da “packaging naturale” del chicco diventa poi packaging della pasta. In pratica la crusca, da involucro naturale, che protegge il chicco di grano trova nuova vita in un packaging a basso impatto ambientale, che segna un secondo incontro tra la crusca del cofanetto e i chicchi di grano duro della pasta Academia Barilla.

 

 

Quali sono i prossimi sviluppi all’orizzonte? Ci sono ancora delle frontiere inesplorate?

Sì, per quanto riguarda i sottoprodotti di scarto agroalimentari ci sono almeno una decina di materie alle quali stiamo guardando, ma esistono anche i residui industriali, come la gomma e il vetro. Così come anche nella raccolta dei rifiuti urbani ci sono dei sottoprodotti utilizzabili nella nostra filiera.

 

Qual è il problema per una diffusione di queste pratiche?

Il problema di fondo rimane sempre e comunque culturale. Finché non riusciremo a vedere, in cose che consideriamo rifiuti, delle risorse sarà complicato trovare buone opportunità.

 

Info

www.favini.com

 


 

Le seguenti grafiche proposte sono tratte dal booklet promozionale di Remake che sviluppa il tema del riuso creativo “up-cycling” di rifiuti e sottoprodotti. 

 


Illustrazione di Mick Marston

 

 


Immagini di Andreas Scheiger

 

 


Illustrazione di Jakob Hinrichs 

 


Illustrazioni di Robin Dean

 


Foto di Max McMurdo - Reestore 

 


Illustrazioni di Christian Northeast 

 


Illustrazione di Harriet Russell 

 


Foto di Max McMurdo - Reestore 

 


Illustrazione di Ian Bilbey