Le immagini di Place de Luxembourg, l’elegante slargo di fronte alla sede del Parlamento europeo a Bruxelles, messa a ferro e fuoco, sono già il simbolo della nuova ondata di proteste degli agricoltori europei. Più di mille trattori provenienti da Belgio, Germania, Francia, Olanda e Italia hanno sfilato di fronte alle istituzioni comunitarie. A pochi mesi dalle elezioni europee, i temi dell’agricoltura e della sostenibilità sono tornati al centro del dibattito.

Le proteste in Europa

La marcia su Bruxelles è l’ultimo appuntamento di un movimento che da settimane sta attraversando i Paesi europei. Tutto è cominciato in Germania all’inizio dell’anno. Il governo Scholz è da mesi alle prese con un buco di bilancio di 17 miliardi di euro, e lo colma con una serie di tagli in più settori. Tra le vittime anche il sussidio al carburante agricolo. Una scelta che, in tempi di crisi economica e inflazione, manda su tutte le furie il settore dell’agroalimentare.

Migliaia di piccoli imprenditori agricoli organizzano blocchi stradali e cortei in tutte le città tedesche. I trattori, usati per marciare e per interrompere il traffico, diventano subito il simbolo della protesta. L’esecutivo fa una parziale marcia indietro, ma la protesta non si placa. Anzi, si allarga. Nelle settimane successive cortei di trattori vengono organizzati in Grecia, Romania, Polonia, Belgio.

In Francia i cortei più imponenti, con la circolazione di larghe aree del Paese bloccata per giorni. Le richieste sono varie, ma su tutte prevale un tema: la contrarietà all’European Green Deal, l’insieme di misure climatiche e ambientali adottate dall’Unione Europea.

Perché protestano gli agricoltori

Le richieste di chi protesta sono molte e in parte contraddittorie. La spontaneità del movimento fa sì che vi convivano più anime, e i temi al centro del malcontento variano a seconda delle aree geografiche.

Alla base c’è per tutti la frustrazione di un settore da tempo in crisi. La rivendicazione più diffusa è quella relativa al prezzo del gasolio: la crisi energetica ha aumentato i costi per le aziende, mentre in molti Paesi europei si parla di ridurre i sussidi ambientalmente dannosi ‒ compresi quelli relativi al carburante agricolo.

C’è poi il grande capitolo delle politiche più strettamente ambientali. Farm to Fork, il piano di transizione ecologica per l’agricoltura concordato dai Governi europei, prevede che un 4% dei terreni nelle imprese agricole sia lasciato a riposo, per favorire la rigenerazione naturale dei nutrienti. I proprietari riceveranno dei sussidi per il rispetto di questa norma, ma la piazza non li considera una soluzione accettabile. “No ai contributi per non coltivare” è uno degli slogan più visti in Italia.

C’è allo stesso modo contrarietà verso la decisione (già presa) di destinare all’agricoltura biologica almeno il 25% dei terreni coltivati e a quella (ancora oggetto di trattative) di ridurre l’uso di pesticidi.

Terzo blocco di rivendicazioni è legato alla concorrenza dei prodotti non comunitari. Gli accordi per l’importazione di beni agricoli ucraini è stata la miccia, ma al centro della protesta è il trattato UE-Mercosur, un patto di libero scambio tra l’Unione Europea e alcuni Paesi latinoamericani da anni in discussione.

Cosa succede in Italia

Con qualche settimana di ritardo rispetto alla Germania, anche il nostro Paese ha visto l’esplodere delle proteste. Ma il caso italiano sembra, per ora, presentare alcune peculiarità rispetto a quanto accade nelle altre grandi nazioni europee.

Innanzitutto, nonostante l’importante visibilità mediatica, l’entità delle proteste nella penisola è ancora contenuta. Poi c’è la questione dell’appoggio dei corpi intermedi. Mentre all’estero le confederazioni agricole guidano i cortei, in Italia prevale l’autoconvocazione.

A organizzare le marce sono sigle neonate come il Coordinamento Agricoltori Traditi di Danilo Calvani, già leader del Movimento dei Forconi nel 2013. Tra i manifestanti è diffusa l’ostilità verso le associazioni di categoria, considerate troppo timide e colluse col potere governativo. A Roma, ad esempio, sono state bruciate in piazza bandiere di Coldiretti, principale organizzazione dell’imprenditoria agricola.

Le associazioni di categoria, dal canto loro, sembrano condividere le richieste del movimento, senza però chiamare alla protesta. “Una proposta debole e insufficiente”, dice Cristiano Fini, presidente nazionale della Confederazione Italiana Agricoltori (CIA). Il riferimento è a una delle prime parziali vittorie del movimento dei trattori, la sospensione per un anno dell’obbligo di lasciare a riposo il 4% dei terreni. Non abbastanza per chi protesta, e nemmeno per Fini: “Quello che ci aspettiamo è lo stralcio senza se e senza ma dell’obbligo”.

Anche Coldiretti mantiene una posizione simile: non partecipa ai cortei, ma ne appoggia molte delle rivendicazioni. “C'è qualcuno che vuole utilizzare l'agricoltura per avere un po' di notorietà politica, ma i nostri agricoltori non si faranno strumentalizzare”, diceva poche settimane fa Ettore Prandini, che di Coldiretti è presidente. Ma le bandiere gialle dell’organizzazione erano presenti a Place de Luxembourg.

E, sempre nelle parole di Prandini, la presenza di Coldiretti al presidio di Bruxelles è dovuta alla contrarietà a tutto tondo alle politiche europee: “Dal divieto delle insalate in busta e dei cestini di pomodoro all’arrivo nel piatto degli insetti, dal nutriscore che boccia le eccellenze Made in Italy al via libera alle etichette allarmistiche sulle bottiglie di vino”.

Il rischio di strumentalizzare le proteste

Pierpaolo Lanzarini è un agricoltore emiliano ed esponente di Genuino Clandestino, una rete di realtà contadine impegnate nella produzione locale e sostenibile. “Ancora la nostra organizzazione non ha preso una posizione unitaria sulle proteste dei trattori”, spiega al telefono a Materia Rinnovabile “ma è chiaro che queste manifestazioni nascono da un disagio reale”.

Per Lanzarini è forte il rischio di una torsione a destra del fenomeno. “In Italia sono proteste-fai-da-te, con rivendicazioni molto confuse. All’estero, dove l’agenda è più chiara, si individua correttamente l’Unione Europea come punto focale della critica, ma si sbagliano obiettivi. C’è un problema di risorse, penso anche alla gestione dei tagli agli sgravi per il gasolio, ma non un problema di politiche ambientali in sé e per sé. Prendiamo la messa a riposo del 4% dei terreni. È una misura di assoluto buonsenso, che sta venendo strumentalizzata fino a posizioni cospirazioniste, in cui una normale pratica di rigenerazione del terreno diventa parte di un complotto per impedire la coltivazione e promuovere il cibo sintetico”.

I problemi della PAC, la Politica agricola comunitaria

Sicuramente il grande escluso dai ragionamenti di questi giorni è il meccanismo di distribuzione dei fondi della PAC, la Politica agricola comunitaria. Si tratta del più grande capitolo di spesa dell’Unione, con oltre un terzo del bilancio delle istituzioni UE impiegato a questo scopo. I fondi vengono distribuiti per estensione: chi ha più terre riceve più soldi. “Ma questo incoraggia la concentrazione dei campi in poche mani, aiuta i grandi e danneggia i piccoli”, continua Lanzaroni.

I dati suggeriscono la stessa lettura: il 10% degli agricoltori più ricchi riceve il 50% dei fondi, mentre al 10% più povero rimane appena il 6% dei contributi europei. Cambiare queste regole è da tempo al centro delle rivendicazioni del mondo ecologista e di una parte dell’agroalimentare, ma non compare né tra i desiderata delle associazioni di categoria né tra gli slogan dei trattori che riempiono le piazze europee.

Durante l’ultima riscrittura della PAC si propose di invertire il principio di proporzionalità, premiando il lavoro ‒ e quindi il piccolo imprenditore agricolo ‒ rispetto alla proprietà. Ma la proposta non è passata. “Perché si protesta ora contro misure ecologiche ma non si protestò all’epoca per chiedere una riforma che avrebbe dato ossigeno ai piccoli agricoltori?”, conclude Lanzarini. “Beh, è un mistero.”

 

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Immagine: Mark Jones, Unsplash

 

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