La disponibilità di acqua è il presupposto necessario praticamente per tutte le attività umane, e internet non fa eccezione. I data center - gli stabilimenti che ospitano i server con i dati necessari a gran parte delle funzioni del web - ne usano enormi quantità per il loro raffreddamento. E molta altra ne consumano, indirettamente, per la produzione dei materiali e dell'energia che li alimenta. Complessivamente i data center pesano relativamente poco sul consumo idrico globale, ma il loro impatto può essere pesantissimo in zone dove l'acqua scarseggia. Dal momento che queste strutture diventeranno sempre più grandi e numerose, non è più possibile ignorare il problema.

Il caso Google

Noto da tempo, il problema della "sete" dei data center è apparso nella sua gravità negli ultimi anni, da quando una delle zone in cui sono più diffusi - l'ovest degli Stati Uniti - si trova ad affrontare una storica siccità. Il piccolo comune di The Dalles è assurto agli onori della cronaca lo scorso anno, quando il quotidiano The Oregonian lo ha trascinato in tribunale perché pubblicasse l'entità dei prelievi idrici di un centro elaborazione dati appartenente a Google. Alla fine, sarebbe emerso, il colosso informatico assorbiva oltre un quarto dei consumi totali della città. Non è la prima volta che le comunità alle prese con un clima sempre più arido devono fare i conti con un consumo aggiuntivo di acqua causato da un data center - è successo a Mesa, in Arizona, e Chandler, in Nevada, che si è trovata a legiferare per imporre a queste strutture criteri più rigidi sui prelievi - e con ogni probabilità non sarà neanche l'ultima.

Quanta acqua consumano i data center

Come tutte le apparecchiature elettroniche, i server contenuti nei data center rischiano di surriscaldarsi, e l'acqua è il mezzo più semplice ed efficace per raffreddarli. Sistemi alternativi, come quelli ad aria, funzionano solo a temperature ambientali relativamente basse. Si utilizzano diverse tecnologie, spesso contemporaneamente. A complicare le cose, non sempre l'efficienza energetica e quella idrica degli impianti vanno d'accordo (dipende da vari fattori, tra cui il clima), per cui la scelta dei sistemi più opportuni varia caso per caso.

Mettendo fine a una lunga politica di segretezza sul suo fabbisogno idrico, dalla fine del 2022 Google ha abbracciato una strategia di trasparenza sui suoi consumi idrici. Ne è emerso che nel 2021 i suoi data center degli USA hanno consumato 16 miliardi di litri d'acqua, di cui quasi la metà in due soli centri di grandi dimensioni (hyperscale) in Iowa e Oklahoma. Una cifra paragonabile al consumo di 29 campi da golf nel sudovest del Paese: tantissimo, ma forse meno di quanto ci si aspettasse dall'azienda che più di ogni altra si avvale dei dati.

In termini di efficienza, i data center Google consumerebbero in media 1,1 litri per kilowattora di energia usata (anche questo fattore dipende dalle condizioni locali): molto meglio della media dell'industria USA che è 1,8 l/kwh, e anche di quella che avevano le stesse strutture fino a una manciata di anni fa.
Un dato da non trascurare è che i data center consumano più acqua indirettamente per produrre l'energia che usano che per il raffreddamento.

L’Intelligenza Artificiale ha sete

Nel mondo esistono almeno 6300 data center. Più di 2700 si trovano negli Stati Uniti, seguiti da Germania, Gran Bretagna e Cina con poco meno di 500 ciascuno, mentre lItalia ne possiede circa 130. Molti se ne aggiungeranno nei prossimi anni: per avere un'idea, nel 2021 nella regione dell'Asia e Pacifico gli investimenti nel settore hanno totalizzato 4,8 miliardi di dollari, con un aumento del 100% rispetto all'anno precedente. E con l'arrivo dell'intelligenza artificiale, che ha bisogno di immense quantità di dati, il fabbisogno dovrebbe crescere ulteriormente.
Consapevoli della loro importanza strategica ed economica, molte aree che finora ne hanno pochi stanno investendo nei data center. Alcune di queste, come Africa e Medio Oriente ma anche l'Europa meridionale, sono particolarmente vulnerabili a siccità e alte temperature.

Water positive? Tante promesse e qualche impegno

Nel 2022 la società di rating Sustainalytics ha pubblicato uno studio sulla gestione dell'acqua da parte di molte delle grandi aziende informatiche mondiali. Ne è emerso un quadro abbastanza sconfortante: solo il 16% delle aziende ha fornito agli analisti informazioni sufficienti a calcolare il consumo su tutta la filiera. Tra quelle che lo hanno fatto, il 61% ha ricevuto una valutazione insufficiente e solo il 5 una pienamente positiva. D'altro canto, la maggior parte delle aziende più grandi ha dichiarato impegni ambiziosi per il prossimo futuro: sia Microsoft (che ha riscontrato la valutazione migliore nel rapporto Sustainalytics) che Google si sono impegnate a diventare "water positive" (immettendo cioè in falda almeno la stessa acqua di quanta ne prelevano) entro il 2030. L'azienda fondata da Bill Gates si è già impegnata a reintegrare circa il 45% dell'acqua prelevata nel 2021, circa 2 milioni di metri cubi. Anche Meta provvede già a ripristinare acqua nei luoghi in cui le sue strutture hanno un impatto più pesante, e lo scorso anno ha ripristinato circa 2,3 milioni di metri cubi.
Nel 2017 un consorzio che rappresenta il 90% dell'industria europea del settore ha stilato un "Patto per la neutralità climatica dei data center" che prevede, tra l'altro, un maggiore utilizzo di acqua industriale, riservando quella potabile ad altri usi.

Contestualizzare il problema

"Come tutte le cose va gestito con attenzione, ma quello dell'acqua non è il problema principale relativo all'impatto ambientale dei data center", commenta Marco Bettiol, docente all'Università di Padova. "La sua gravità dipende dall'abbondanza della risorsa. Se diventa scarsa, occorre capire se quando l'acqua usata crea un'esternalità negativa per altri. Un altro aspetto da considerare è il fatto che spesso, dopo l'utilizzo, l'acqua viene nuovamente rilasciata, ma con una temperatura più alta, causando problemi all'ambiente. Mentre altri aspetti dell'impatto dei data center sussistono indipendentemente dal luogo, quello dell'acqua va visto caso per caso". Secondo Bettiol, coautore di una delle prime analisi in Italia dell'impatto ambientale di tutte le fasi di vita di un data center, gran parte dell'impatto dei data center ricade nei materiali utilizzati che - spiega - vengono completamente sostituiti in un periodo compreso tra i due e i 5 anni. In questa fase avvengono elevati consumi di energia e materie prime preziose, ma, conclude il professore, "non abbiamo dati precisi. Bisognerebbe avere grande trasparenza da parte di tutta la catena di produttori, che al momento manca".

When in trouble, go big

La domanda di data center continuerà a salire e non è pensabile invertire la rotta, per cui è necessario puntare sull'efficienza. "Acqua ed energia sono profondamente intrecciate, e i data center non fanno eccezione", commenta Alexander Newkirk, che si occupa di soluzioni tecnologiche per la sostenibilità all'università di Berkeley. "Abbiamo evidenze che i data center hyperscale sono più efficienti da entrambi i punti di vista, perché ottimizzano la progettazione e il funzionamento per ridurre i consumi. Secondo la mia personale opinione, per avere una maggiore elaborazione di calcolo senza necessariamente consumare più energia e acqua, l'unico modo è accelerare questo passaggio agli hyperscale, che sta già avvenendo". Altro fattore su cui puntare, continua il ricercatore, sono i servizi cloud, che permettono di "posizionare i centri dove lo sforzo per il raffreddamento è più basso e dove lo stress idrico è minore".

Immagine: Envato Elements