Non sarà facile per l’Unione Europea compiere la transizione energetica e, contemporaneamente, diventare più autonoma nella produzione di tecnologie strategiche. Ne è un efficace esempio il momento che sta attraversando l’energia solare, per cui successi e crisi sono entrambi legati alla Cina.

A fine gennaio l’European Solar Manufacturing Council (ESMC), l’associazione dei produttori europei di pannelli fotovoltaici, ha chiesto alla Commissione Europea di adottare misure d’urgenza per evitare fallimenti e chiusure dei siti produttivi in Europa.

Il problema sono le insostenibili condizioni di mercato imposte dai pannelli solari prodotti all’estero a basso costo, soprattutto in Cina. Vengono infatti esportati in Europa in quantità superiore alla domanda e a prezzi inferiori rispetto ai costi di produzione. Le eccedenze fanno scendere i prezzi al punto che produrre in Europa non conviene più: dalla seconda metà del 2023 molte aziende hanno sospeso la produzione.

La dipendenza del fotovoltaico dalla Cina

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) la Cina controlla più dell’80% delle attività di produzione di pannelli solari. Dalla lavorazione della materia prima, il silicio, in lingotti e poi in “wafer” (cioè dischi sottili), fino alla realizzazione di celle dove avviene il passaggio da energia solare a energia elettrica, e all’assemblaggio dei pannelli. Nel 2025 il controllo cinese della produzione potrebbe arrivare al 95%. In Europa quasi tutti i pannelli fotovoltaici contengono componenti provenienti dalla Cina, dove i costi di produzione sono circa il 60% più bassi e il settore è sostenuto da massicci sussidi pubblici.

“Questa crisi richiede azioni di tutti gli attori coinvolti”, spiega a Materia Rinnovabile Žygimantas Vaičiūnas, Policy Director di ESMC. “Le aziende devono essere disponibili a ridurre la produzione mantenendo le linee produttive operative. La Commissione Europea e gli stati membri devono intervenire urgentemente per compensare il calo dei prezzi. Inoltre, la Commissione dovrebbe introdurre esenzioni sugli aiuti di Stato per il supporto operativo, utilizzando fondi UE o acconsentendo a finanziamenti pubblici nei paesi membri per supportare i costi operativi che le aziende devono sostenere, anche se non producono e vendono.” Se questi provvedimenti non verranno adottati in poche settimane, ha scritto ESMC, sarà necessario considerare misure commerciali difensive.

Le misure commerciali non incontrano il favore di altri segmenti della filiera, come gli importatori e gli installatori, perché limitare le importazioni farebbe aumentare i prezzi e, con ogni probabilità, ridurre la domanda. Secondo stime di Solar Power Europe, l’associazione che rappresenta l’intera filiera, in presenza di misure commerciali le installazioni potrebbero scendere del 30% quest’anno e dimezzarsi nei prossimi anni.

“Non sempre la riduzione dei prezzi dei pannelli viene percepita dai consumatori”, spiega però Vaičiūnas. “Nelle installazioni per impiego domestico o industriale, il prezzo dei pannelli rappresenta tra il 25% e il 29% del costo finale. La parte principale dipende da altri materiali, progettazione e installazione.”

Occupazione e transizione energetica

Ci sono interrogativi anche sul fronte dell’occupazione, perché le attività di installazione assorbono in proporzione più forza lavoro rispetto a quelle di produzione. Nel 2022 nell’UE il solare ha impiegato 648.000 persone, l’84% delle quali si è occupata di installazioni e solo il 7% di produzione. Proteggere il 7% dei lavoratori potrebbe mettere a rischio i posti dell’intero settore.

 

In effetti, la sopravvivenza del segmento produttivo domestico non è l’unica dinamica in gioco. Da un lato, le istituzioni UE sono consapevoli dei rischi della dipendenza da forniture estere, a maggior ragione se concentrate in un unico paese con cui ci sono spesso tensioni, come la Cina. Per risolvere questo problema, a febbraio è stato approvato il Net Zero Industry Act (NZIA), che impone di produrre in UE almeno il 40% del fabbisogno annuale di tecnologie pulite entro il 2030.

D’altro lato, la progressione delle energie rinnovabili è cruciale per la transizione energetica e il solare è il comparto che cresce più rapidamente. Secondo l’IEA, tra il 2023 e il 2028 la crescita delle energie rinnovabili sarà più che doppia rispetto agli scorsi sei anni e il 70% verrà dal solare. Il successo è dovuto anche alla riduzione dei prezzi: nel 2020 l’energia solare costava l’82% in meno di dieci anni prima e i prezzi continuano a scendere. Produrre di più in Europa, sostengono molti, frenerebbe la marcia dell’UE verso i propri obiettivi climatici.

Produrre fotovoltaico in Europa conviene?

La domanda cruciale è se all’Europa convenga rinforzare il proprio comparto produttivo. Per il think tank Bruegel la risposta è no. L’UE ha limitate potenzialità di crescita perché non ha abbastanza materie prime ed elettricità a basso costo, indispensabili per realizzare lingotti e wafer. Produrre di più in Europa non accelererebbe la transizione e non stimolerebbe la creazione di posti di lavoro, visto che entrambi dipendono piuttosto da quanti vorranno comprare pannelli solari. Il rischio che la Cina aumenti i prezzi o limiti le esportazioni non è una ragione convincente: le scorte fornirebbero un margine temporale sufficiente per costruire capacità produttiva in Europa.

Per Bruegel l’UE dovrebbe programmare l’accumulo di scorte, aumentare il riciclo di pannelli e diversificare le importazioni. Investire sull’innovazione permetterebbe di creare nicchie di eccellenza. In aste e appalti pubblici si potrebbe valorizzare gli standard ambientali e sociali, anziché considerare la quantità di componenti prodotte nell’UE come richiesto dal Net Zero Industry Act, valorizzando un vantaggio competitivo delle aziende UE.

“Nel 2022 gli operatori europei hanno avuto abbastanza successo con pannelli che costavano circa il 20-30% in più di quelli importati”, spiega Vaičiūnas. I consumatori europei sono disposti a spendere di più per qualità, produzione sostenibile e standard elevati sui diritti umani. A livello globale il 60% dell’energia usata per realizzare pannelli viene dal carbone. In Cina la produzione è concentrata nella regione dello Xinjiang, dove il carbone è la principale fonte energetica e dove sono documentate sistematiche violazioni dei diritti umani.

“Gli effetti del regolamento che vieterà le importazioni di pannelli prodotti con il lavoro forzato non arriveranno prima di tre anni”, conclude Vaičiūnas. “È proprio per questo che abbiamo bisogno di un sostegno almeno temporaneo per far sopravvivere l'industria durante la crisi.”

 

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Immagine: Jeroen van de Water, Unsplash

 

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