A quali condizioni digitalizzazione e intelligenza artificiale possono facilitare la transizione ecologica? Il settore agroalimentare e l’intera filiera del cibo possono essere un campo di applicazione ideale per effettuare un test del genere, soprattutto quando modelli culturali dotati di solide radici si trovano a interagire con le innovazioni tecnologiche.

La transizione digitale è considerata una delle necessarie condizioni verso la transizione ecologica, e l’agritech una delle strade più importanti per favorire la riduzione degli impatti ambientali, facilitare il controllo sulla provenienza dei prodotti e aumentare la qualità della vita dei lavoratori. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano il 60% degli agricoltori italiani nel 2021 utilizza almeno una soluzione di agricoltura 4.0 e il mercato dell’agritech in Italia ha avuto un’impennata che lo ha fatto passare da 450 milioni di euro del 2019 a un miliardo e 300 milioni di euro del 2020, fino al miliardo e 600 milioni del 2021. Il mercato sta scommettendo forte sull’agroalimentare e sulla sostenibilità tra tecnologie per il tracciamento dei prodotti, soluzioni di economia circolare, macchine e sistemi di monitoraggio intelligente, piattaforme varie ma anche con la creazione di nuovi prodotti come cibi plant based e carne sintetica.

FoodSystem 5.0, un modello per generare sostenibilità e valore sociale

La principale criticità dei processi di innovazione che investono il sistema dell’agrifood è di essere immerso nel paradigma socio-economico e culturale dell’agricoltura convenzionale, caratterizzato dallo strapotere della Grande distribuzione organizzata (Gdo), dal mercato delle tecnologie proprietarie e dalla tendenza a rafforzare una serie di processi tossici che riguardano la catena lunga del cibo, rischiando di far diventare l’agrifood system ancora più insostenibile e fonte di grandi disuguaglianze. Strumenti potenti come le tecnologie 4.0 forniscono approfondimenti predittivi nelle operazioni agricole, guidano decisioni operative in tempo reale, riprogettano i processi aziendali per nuovi modelli di business e hanno un potenziale enorme. Eppure a oggi, l’applicazione delle tecnologie 4.0 ha avuto l’effetto di rafforzare tutte le logiche e le modalità produttive dell’agricoltura convenzionale e le logiche estrattive del mercato.
È necessario chiedersi, dunque, quale sia l’innovazione a cui dobbiamo puntare e quali siano i cambiamenti ai quali dobbiamo/vogliamo tendere. Gli strumenti 4.0, insieme a tutte le altre tecnologie, devono essere ripensati in accordo con le esigenze reali delle imprese, delle persone, dell’ambiente e delle comunità.
FoodSystem 5.0 significa proprio questo: un sistema del cibo che si ripensa mettendo al centro le persone e l’ambiente, attraverso un uso “equilibrato” delle tecnologie ottenendo un altro grado di convergenza tra il cyberspazio (spazio virtuale) e lo spazio fisico (spazio reale). Nel FoodSystem 5.0 persone, cose e sistemi sono collegati nel cyberspazio e i risultati ottenuti dal lavoro comune di intelligenze artificiali e intelligenza collettiva consentono di andare oltre le singole capacità umane, apportando nuovo valore per la società, l’ambiente e per le comunità. È un concetto che rielabora il modello giapponese della Society 5.0: la visione di una natura umana e di una società tecnologicamente sostenibile in cui gli esseri umani, la natura e la tecnologia trovano un’economia circolare di equilibrio nella trasformazione digitale super intelligente creando una società intelligente. Mentre il paradigma dell’Industry 4.0, che idealmente si traduce in un ipotetico FoodSystem 4.0, si riferisce a una rivoluzione tecnologica della produzione, l’idea di Society 5.0 introduce un nuovo paradigma per la società e per la convivenza civile immaginando di ridurre le disuguaglianze e di avere impatti positivi per l’ambiente.

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Che caratteristiche ha il FoodSystem 5.0 rispetto al FoodSystem 4.0?

Il FoodSystem 5.0 si fonda su tre dispositivi: la dieta mediterranea come categoria critica che rappresenta principi e valori “desiderabili” e come perimetro concettuale nel quale abbiamo inserito idee ideali (la necessità di custodire il suolo; la tutela di forme biodiverse; il cibo sano e salutare; la dignità del lavoro delle persone; la convivialità, la cura dell’ospitalità e l’apertura alla conoscenza dell’altro; lo scambio all’interno delle comunità di appartenenza; il riguardo per i territori; la condivisione delle pratiche che rispetta e valorizza la tradizione); le tecnologie come dispositivi che possono valorizzare forme di intelligenza collettiva e sfruttare l’intelligenza artificiale per la condivisione dei dati in quanto beni comuni; le comunità (territoriali, di intenzione, di pratiche) e i territori come spazi di opportunità.
Il FoodSystem 5.0 è un modello che,
a partire dai contesti locali, è possibile proporre attraverso percorsi di trasformazione concreti, conoscendo e riconoscendo le specificità di questi contesti e procedendo insieme agli attori-chiave (istituzioni, imprenditori, associazioni, agricoltori, cittadini…) per dare operativamente avvio a processi di cambiamento, secondo un metodo che è in fase di sperimentazione all’interno di diversi percorsi: alcuni nascono dalle domande di trasformazione che derivano per esempio dalle nuove strategie della Comunità europea e dalle conseguenti politiche di supporto; altri nascono da progetti innovativi che vedono impegnati attori di natura diversa appartenenti allo stesso ecosistema; altri ancora sono percorsi completamente nuovi che consentono di immaginare alternative possibili per l’uso dei dati, della computazione, dell’intelligenza artificiale e dell’intelligenza collettiva e, in generale, dell’innovazione tecnologica e sociale.
Il FoodSystem 5.0 non è dunque un modello chiuso,
è un’idea di cambiamento e un metodo sottoposto alla prova dell’applicazione concreta: studio, ricerca, confronti tra discipline, incontro con i territori, tentativi ed errori da cui imparare. Ci pare, dunque, che la vera rivoluzione di questo momento storico per orientare trasformazioni possibili, sia la capacità di superare gli estremismi, abbandonare le polarizzazioni e provare a creare occasioni polifoniche di intersezione invece di presidiare posizioni estreme pensandoci, come dice la filosofa Donna Haraway, legati a un’infinità di creature con le quali interagire per poter essere creativi.

Immagine: Erwan Hesry (Unsplash)