Il fallimento di Credit Suisse non avrà conseguenze solo sul sistema finanziario globale, ma anche sulla lotta alla crisi climatica.
Mentre il nuovo Ceo, Sergio Ermotti, sta prendendo le redini della nuova entità bancaria nata dalla fusione con il gigante svizzero UBS, una delle questioni che emergono è il futuro dei progetti contro il degrado ambientale che la banca ha curato fino ad ora.

Credit Suisse, negli ultimi anni, è infatti diventata uno dei principali attori sul mercato dei “debt for nature swap”. Si tratta di strumenti finanziari che legano al rimborso parziale del debito di Paesi Terzi obiettivi sociali, infrastrutturali o di conservazione naturale.
Sebbene esistano dagli Anni Ottanta, non sono così popolari tra le banche. Credit Suisse era uno dei pochi istituti a occuparsene. Nel 2021, insieme all’associazione The Nature Conservacy, ha strutturato il più grande accordo di questo tipo: 364 milioni di dollari di blue bond per la tutela degli ecosistemi marini del Belize. Nel 2022 invece ha concluso un contratto da 150 milioni di dollari per le Barbados.

La banca svizzera ha assicurato a Materia Rinnovabile che “continua a operare nel corso della sua attività ordinaria e qualsiasi suggerimento contrario in materia è falso e fuorviante". Per molti analisti l’acquisizione da parte di UBS avrà tuttavia delle conseguenze: senza riferimenti espliciti al “debt for nature swap”, l’istituto ha detto di voler ridimensionare il ramo di investment banking dell’ex rivale.
Per Daniel Munevar, responsabile degli affari economici presso la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, intervistato dall’agenzia di stampa Bloomberg, tutti gli scambi, in cantiere prima del fallimento, rischiano di “non avvenire a breve”.

Come funzionano i Debt for nature swap

La poca trasparenza e i termini opachi degli accordi conclusi finora di “debt for nature swap” rendono molto difficile per gli analisti capire quale potrebbe essere il loro destino.
“Sono strumenti finanziari complessi, promossi dai Paesi industrializzati per agevolare le ristrutturazioni dei debiti che i Paesi in via di sviluppo hanno nei loro confronti - spiega Mario La Torre, professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari e Sustainable Finance and Impact Banking presso l’Università La Sapienza di Roma. La posizione debitoria degli Stati sovrani viene rinegoziata, generalmente proponendo un abbattimento del valore nominale, unitamente ad un’estensione del periodo di ammortamento e delle condizioni economiche; tutto o parte dell’esposizione debitoria può essere convertita in equity. Il tutto è, in questi casi, caratterizzato da un vincolo di destinazione delle risorse rinegoziate a progetti infrastrutturali con componenti di impatto ambientale positivo”.

Il flusso di denaro generato da tali operazioni consente di “rimborsare il debito in tempi più rapidi e, di conseguenza, a costi minori - afferma Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio Climate Finance della School of management del Politecnico di Milano - C’è però anche un obiettivo ambientale, come la tutela della barriera corallina o la mitigazione del cambiamento climatico, vincolato a un ammontare di spesa annuo o cumulato”.
In pratica, si tratta di operazioni simili ai green bond, ma che coinvolgono entità nazionali. “In alcune circostanze, come quelle che riguardano Credit Suisse, entrano in campo degli investitori o degli intermediari, che possono svolgere il ruolo di arranger dell’operazione, e/o sottoscrivere parte dei titoli emessi, in relazione al valore nominale del debito convertito - dice La Torre – Il guadagno dipende sia dalle commissioni per la strutturazione degli accordi, sia dal ritorno dei titoli sottoscritti”.

Secondo Bianchini, operazioni simili sono vantaggiose “anche da un punto di vista immateriale, legato alla comunicazione all’esterno sull’essere una banca sostenibile”. Tali accordi inoltre sono poco rischiosi, perché fortemente agevolati da grandi entità multilaterali, come la World Bank. “Sia nell’Accordo di Parigi sia nella strategia di decarbonizzazione europea, il sistema finanziario ha un ruolo importante per il supporto dei Paesi in via di sviluppo”.
Le transazioni verso il Belize, per esempio, sono assicurate dall'International Development Finance Corp. degli Stati Uniti, che ha accettato di coprire i pagamenti agli investitori, in caso di inadempienza dello Stato. Quelle per le Barbados sono invece sostenute dalla Banca interamericana di sviluppo e da The Nature Conservacy.
Negli ultimi anni Credit Suisse ha aperto questi prodotti anche al capitale istituzionale. Tra questi, fondi pensione come gli svedesi Alecta e Nuveen LLC e la statunitense TIAA (Teachers Insurance and Annuity Association of America-College Retirement Equities Fund).

Il futuro dei Debt for nature swap

Gli investitori dei “debt for nature swap” al momento non dovrebbero essere a rischio. Secondo fonti interne a Credit Suisse, dovrebbero essere tutelati dalla complicata struttura di Svp (Special Purpose Vehicle), cioè società veicolo responsabili dei pagamenti della banca, a chiusura delle operazioni.
Le operazioni già in atto, come quella con il Belize o le Barbados, secondo The Nature Conservacy e i governi dei due Stati, non dovrebbero subire ripercussioni. “La sorte di Credit Suisse non dovrebbe avere ripercussioni dirette sulle strutture di swap in essere”, secondo Mario La Torre.
Per operazioni future però non vi sono certezze. “Si tratta di un mercato molto liquido e tendenzialmente, una volta che viene emesso, il debito con queste caratteristiche viene scambiato poco – afferma Roberto Bianchini – L’acquisizione di UBS potrebbe determinare un freno a questo attivismo sul mercato”.

L’interesse gli “swap” è però in crescita. Almeno 37, tra i Paesi a basso reddito, stima la World Bank, sono attualmente in difficoltà o ad alto rischio di indebitamento. Mentre 18 hanno un debito sovrano in dollari che viene scambiato a condizioni sfavorevoli, si legge in un report di Bloomberg.
Uno strumento che consente un rimborso rapido, unito a progetti di conservazione naturale, attira quindi molti governi. Secondo gli analisti, il mercato dei “debt for nature swap” potrebbe presto superare gli 800 miliardi di dollari. Il Gabon, il quarto Paese al mondo per numero di foreste, ha proposto un accordo da 700 milioni di dollari per proteggere la sua fauna marina. L'Ecuador sta lavorando a una transazione da 800 milioni di dollari, secondo Reuters, mentre lo Sri Lanka ne sta valutando una addirittura da 1 miliardo di dollari.

“Il ruolo delle banche è importantissimo nella transizione verso una crescita sostenibile. I fondi pubblici sono insufficienti, soprattutto viste le tappe serrate che dobbiamo rispettare, per mitigare la crisi climatica”, afferma Mario La Torre. “Occorre però lavorare in maniera sistemica. Dal punto di vista normativo, bisognerebbe armonizzare i requisiti che queste operazioni devono rispettare. Al tempo stesso, si potrebbero mettere in piedi dei modelli di collaborazione tra privati, industria finanziaria, e governi di economie in via di sviluppo, non solo per la protezione del territorio, ma anche per progetti di “sostenibilità sociale che guardino, ad esempio, al fenomeno migratorio, che sarà sempre più connesso anche ai cambiamenti climatici e ambientali”.

Le conseguenze climatiche per UBS

Imponiamo strategie climatiche alle banche che salviamo”. La proposta è stata lanciata in un articolo sulla testata Heidi.news dalla ricercatrice e attivista svizzera Morgane Nusbaumer.
La maxi operazione di acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS non sarebbe stata possibile senza i 100 milioni di franchi di liquidità, messi a disposizione dalla banca svizzera. In numerose altre occasioni però, l’intervento della finanza pubblica è stato fondamentale per preservare gli istituti di credito dal collasso. Per questo, spiega Nusbaumer, bisognerebbe vincolare i prestiti e i salvataggi al rispetto di normative ambientali stringenti.

Insieme ai debiti, gli asset e il personale della rivale, UBS si sta facendo carico anche delle sue emissioni di CO2. “È troppo presto per dire come potrebbe essere influenzato il rating ESG della nuova entità”, ha spiegato a Materia Rinnovabile Credit Suisse. Secondo molti analisti, questo sarà un onere ulteriore per la prima banca svizzera, che fino ad ora vantava un profilo climatico migliore.
"UBS è molto più in forma per quanto riguarda la sostenibilità e il rischio climatico, quindi l'aggiunta di Credit Suisse sarà certamente un freno”, ha detto a Bloomberg Christoph Klein, fondatore e managing partner di ESG Portfolio Management, un asset manager con sede a Francoforte che gestisce fondi che mirano a risultati sostenibili.

Una banca più pulita

Nonostante i “debt for nature swap” o altri progetti come i "Rhino bond" - un book da 150 milioni di dollari di obbligazioni della World Bank per finanziare la tutela dei rinoceronti neri in Sudafrica -, Credit Suisse non è definibile una banca green.
Secondo ShareAction la sua politica in materia di energia non rinnovabile è “una delle più deboli” del settore. L’organizzazione bancaria no profit nel 2021 aveva addirittura tentato di coordinare una risoluzione di azionisti per chiedere un piano più solido di riduzione dei finanziamenti al fossile.

Secondo Bloomberg, a partire dal 2015, anno dell’Accordo di Parigi, Credit Suisse ha concesso prestiti a compagnie, come il colosso del carbone Glencore o quello del petrolio TotalEnergies, per 21,7 miliardi di dollari. La cifra di UBS ammonta a 6,4 miliardi di dollari.
Nell’ultima settimana prima del fallimento, l’ex presidente Axel Lehmann e l’ex amministratore delegato Ulrich Körner hanno scritto le loro osservazioni sul report di sostenibilità. Si sono augurati di diventare un istituto più pulito, nel 2050, dopo aver superato transizione energetica e aver eliminato le emissioni di CO2 dalle loro attività finanziarie.

L’acquisizione di UBS, in questo senso, potrebbe essere utile. Se armonizzare, almeno sulla carta, le politiche ambientali sarà abbastanza semplice, intervenire sui prestiti e sui portafogli d’investimento dei clienti, così detti, “brown”, cioè legati ad attività particolarmente impattanti, potrebbe essere “costoso e richiedere tempo”, secondo Klein. In effetti, il presidente Colm Kelleher ha ammesso che la banca aveva previsto un certo consolidamento nell'ambito dell'operazione.
“Dal punto di vista delle singole operazioni potrà non cambiare molto, ma ci sarà un cambiamento a livello sistemico. Occorre verificare quale sarà il nuovo orientamento ESG di UBS, post acquisizione”, spiega La Torre.

Differenze di rating ESG fra UBS e Credit Suisse

La differenza di performance climatiche tra le due entità finanziarie è evidente sulla base dei rating ESG. Come spiega il positioning paper dell’Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers, si tratta di metriche che, per valutare il merito creditizio delle banche, si basano anche “sugli aspetti cosiddetti non finanziari della loro attività, quali governance, socialità (diritti umani e prassi di lavoro), salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ambiente (inquinamento, emissioni GHG, consumo di risorse, tutela dell’ambiente) e business ethics (corrette pratiche di commerciali e nel rapporto col consumatore)”.
Il principio, riconosciuto anche dalla Direttiva europea 2014/95 o “Non Financial Reporting Directive – NFRD”, è che i rischi legati alla non sostenibilità possano influire sulla capacità “delle imprese affidate di rimborsare i finanziamenti ottenuti”. Anche da questo punto di vista UBS è considerata più sicura di Credit Suisse. Secondo l’indice azionario MSCI, la prima ha un punteggio ESG pari ad “AA”, mentre la seconda pari ad “A”.
“La comparazione può essere fatta rispetto a due diverse prospettive: l’impatto indiretto, sviluppato attraverso il portafoglio crediti delle due banche (un portafoglio più verde offre un contributo più intenso alla transizione sostenibile) e l’impatto diretto della banca - spiega Mario La Torre - Sulla base dei dati forniti da BloombergNEF, da entrambi i punti di vista sembrerebbe che un’entità più green (UBS) abbia acquisito una molto meno verde (Credit Suisse)”.

Le performance

Circa l’impatto diretto, per quanto riguarda le emissioni proprie, nel 2022 quelle di UBS sono state pari a 12.400 tonnellate metriche di CO2 equivalente, quelle di Credit Suisse invece di 19.971. Nel 2021, rispetto all’anno precedente, UBS ha registrato una riduzione del 42% delle emissioni assolute delle aziende fossili che hanno usufruito dei suoi prestiti. La stima preliminare di Credit Suisse per il 2022, mostra una diminuzione del 64% ma in due anni.
La differenza si accentua sui rating ESG che rappresentano una proxy anche dell’impatto indiretto: una “A” per UBS e una “C” per Credit Suisse, per CDP, un ente internazionale no profit che gestisce il sistema di comunicazione dell’impatto ambientale per investitori, aziende, città, stati e regioni. L’istituto di Colm Kelleher inoltre prevede di destinare 200 miliardi di dollari a investimenti sostenibili entro il 2025, mentre quello gestito, fino ad oggi, da Axel Lehmann solo 325 entro il 2030.

Una misura non sempre affidabile

I rating ESG però non restituiscono un quadro chiaro della situazione delle due banche. Dopo un salvataggio dal governo svizzero nel 2008, l’istituto UBS nel 2012 ha tagliato in maniera importante il suo ramo di investment banking e si è ritirato dalle attività di trading ad alta intensità di capitale, per concentrarsi sulla gestione patrimoniale. Questo, secondo gli analisti ha conferito a UBS, un minore controllo sulla sostenibilità dei suoi clienti, ma ha ridotto la quota emissioni del suo portafoglio.
Nonostante ciò, la banca è riuscita a investire quasi 2 miliardi di dollari in imprese per la ricerca di giacimenti di carbone, petrolio e gas (973 milioni per i coal developers e 925 per gli Oil and Gas), tra i mesi di aprile del 2021 e di settembre 2022. Nello stesso periodo, aveva titoli per 11,3 miliardi di dollari di 138 società fossili.

Se invece si guarda al suo rapporto bancario di fornitura di energia, pari a 1,0 nel 2021 (BloombergNEF), emerge che Credit Suisse ha contribuito a finanziare progetti di energia pulita in misura pari a quella dei combustibili fossili. Una performance nettamente migliore di altri concorrenti come HSBC Holdings Plc, Societe Generale AG e ING Groep NV, alcuni dei quali sono membri, proprio come UBS, della contestata Glasgow Financial Alliance for Net Zero (Gfanz).

La significatività dei rating ESG è “difficile da valutare, sono estremamente opachi, incoerenti e spesso non c’è apertura sui parametri con i quali vengono assegnati”, spiega Roberto Bianchini della School of management del Politecnico. Dello stesso avviso sono molte delle società di rating ESG italiane, interpellate da Materia Rinnovabile.
Al momento è in corso una revisione della direttiva europea, con una proposta chiamata “Corporate Sustainability Reporting Directive”, per rendere più chiari gli standard. “La normativa al momento non identifica delle best practice per limitare l’esposizione al rischio nella transizione energetica e per un cambio di politiche ambientali - dice l’esperto - A emettere i rating sono istituti accreditati oppure le banche stesse, con risultati divergenti e spesso superficiali. Per i Paesi la determinazione avviene secondo regole più consolidate, anche se è opaca anche quella, per gli istituti finanziari la situazione è ancora meno chiara”.

Anche per tale ragione, capire l’impatto della fusione tra le due banche svizzere sugli investimenti climatici è difficile. “Da una parte, si potrebbe ritenere che la verditudine di UBS potrebbe essere annacquata dalla fusione con una banca meno green – osserva La Torre – dall’altra è difficile stimare l’impatto netto ed escludere che, al contrario, le strategie ESG vengano potenziate. Occorre verificare, da un lato, se lo sforzo finanziario sostenuto da UBS per l’operazione di finanza straordinaria possa, in qualche modo, distrarre fondi alla transizione green; dall’altro, se un ostacolo alla sostenibilità non possa essere rappresentato dalle classiche difficoltà di integrazione derivanti dalla fusione”.
Per diversi analisti, come James Vaccaro del Climate Safe Lending Network, la sua credibilità in questo campo, sarà determinante per la “rapidità con cui” la banca nata dalla fusione “riuscirà a creare fiducia".

Immagine: Envato Elements