Tutti pazzi per il nucleare, ma il clima non ne ha bisogno. Lo dice un nuovo report dello European Environmental Bureau, pubblicato non a caso il 21 marzo, proprio il giorno in cui i leader mondiali si davano appuntamento a Bruxelles per il primo Nuclear Energy Summit.

Il vertice internazionale è stato indetto dalla IAEA (l’Agenzia internazionale dell’energia atomica) per discutere sul ruolo del nucleare nella decarbonizzazione, alla luce della sua storica inclusione nell’ultimo Global Stocktake approvato alla COP28. Uno “sdoganamento” che ha ridato slancio al cosiddetto “rinascimento nucleare”, con l’impegno firmato da 25 Paesi per triplicare la propria capacità produttiva entro il 2050 e il lancio, da parte della stessa IAEA, dell’iniziativa Atoms4NetZero.

Ora però i numeri snocciolati dal network EEB smorzano gli entusiasmi atomici, almeno quelli europei, dimostrando come il tanto acclamato aiuto del nucleare sarebbe in realtà irrilevante, quando non addirittura controproducente, per il raggiungimento dei target climatici.

Il ruolo marginale del nucleare

Costruire nuove centrali nucleari non è realistico, e prolungare oltre il limite la vita utile di quelle già esistenti in Europa non sarebbe conveniente. Molto meglio, ai fini della decarbonizzazione, continuare a investire sulle rinnovabili e sull’efficienza, e uscire una volta per tutte dal nucleare.

Queste, in estrema sintesi, sono le conclusioni a cui giunge il report Nuclear Phase-out redatto dall’European Environmental Bureau. “Mentre le energie rinnovabili crescono e la domanda di energia si riduce, il ruolo del nucleare in Europa diventa ridondante”, commenta Cosimo Tansini, Policy Officer per le rinnovabili dell’EEB. “Prendiamo la Spagna, dove l’impennata dell’energia eolica, solare e idroelettrica ha fatto scendere i prezzi dell’elettricità e ha costretto le società energetiche a fermare il nucleare per evitare perdite finanziarie.” Il report parte dunque proprio dal ruolo notevolmente ridimensionato che l’energia nucleare ha oggi nel mix energetico dell’UE.

Sono esattamente 100 i reattori attualmente operativi nei Paesi dell’Unione, con una capacità totale di circa 96 GW. Di questi, ben 56 si trovano in Francia (che è la seconda nazione al mondo per numero di reattori dopo gli Stati Uniti), e il resto in altri 11 Paesi: Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Spagna, Finlandia, Ungheria, Paesi Bassi, Romania, Svezia, Slovenia e Slovacchia. In molti di questi Paesi il nucleare dà un grosso contributo alla produzione di elettricità, fra il 20 e il 60%, con la Francia che ne ricava addirittura il 64%.

Ma se si guarda alla quota di nucleare sul totale dei consumi energetici (contando quindi anche carburanti e gas), la media scende al 10%, e in Francia al 17%. Mentre la percentuale di energia nucleare sul totale del consumo energetico di tutta l’Unione europea è di appena il 4,7%. Una quota già minima, che si ridurrà ulteriormente con l’implementazione di politiche per l’efficienza energetica e la riduzione dei consumi da un lato, e dall’altro con lo sviluppo delle fonti rinnovabili (solare ed eolico soprattutto) che diventeranno sempre più economiche e stabili.

La stabilità e la continuità della produzione rinnovabile è il secondo punto di discussione del report. Per i sostenitori dell’atomo, infatti, la variabilità di solare ed eolico dovuta alle condizioni meteorologiche renderebbe il nucleare insostituibile nel suo ruolo di “back-up” per garantire continuità alla generazione di energia. Ma secondo gli analisti di EEB (che citano un report dell’Agenzia Europea per l’Ambiente) questo problema delle fonti rinnovabili verrà presto superato grazie ai progressi nelle reti di distribuzione e nelle tecnologie di storage. Inoltre, lo stesso nucleare è vulnerabile alle condizioni climatiche e agli eventi estremi, come picchi di calore e scarsità idrica, e ne abbiamo già avuti esempi nelle scorse estati, quando la Francia ha dovuto arrestare temporaneamente alcune sue centrali per mancanza di acqua di raffreddamento.

Il declino dell’atomo e la stagione della dismissione

Il parco nucleare mondiale sta invecchiando, e così quello europeo. La grande stagione nucleare iniziata negli anni Cinquanta e Sessanta ha raggiunto il picco durante gli anni Ottanta, con un rapidissimo sviluppo e incremento della capacità produttiva. Poi si è fermata ed è cominciato il declino.

La produzione di energia nucleare nell’Unione Europea è in decrescita costante da almeno vent’anni. Dal 2000 a oggi, sono stati avviati i lavori di costruzione solo di due nuove centrali, Flamaville-3 in Francia (dal 2007 ancora in corso) e Olkiluoto-3 in Finlandia (commissionata nel 2005 e connessa alla rete nel 2023, dopo vari ritardi). Mentre la maggior parte dei reattori oggi in funzione, costruiti per una vita utile di 30-40 anni, dovrà essere dismessa entro il 2040.

Se c’è chi, come la Germania, ha anticipato lo shut-down delle sue centrali, in altri Paesi si discute se prolungare la vita utile dei reattori in funzione. Ma questo “accanimento” porterebbe a doversi sobbarcare costi di manutenzione più alti, quando invece le fonti rinnovabili diventeranno sempre più convenienti anche da un punto di vista economico. Insomma, la nostalgia dell’atomo, secondo EEB, non sarebbe un buon affare.

Uscire dal nucleare guardando ai target climatici

Infine, gli esperti dell’EEB fanno i conti sul punto più importante della faccenda: il nucleare serve o non serve per raggiungere i target di decarbonizzazione dell’Europa? La risposta piuttosto netta è “No”.

Secondo il report, la crescita della capacità rinnovabile europea e la contemporanea diminuzione della domanda di energia (grazie a efficientamento e risparmio energetico), compenseranno ampiamente la decrescita della produzione nucleare, consentendo al contempo la completa uscita dalle fossili.

Attenendosi a uno scenario PAC (cioè compatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi), entro il 2040 si potrebbe eliminare senza problemi quasi tutta la produzione nucleare europea, a eccezione di una piccola percentuale residua in Francia, che comunque potrebbe raggiungere il phase out nucleare completo entro il 2050. Tutto questo mantenendo fede agli impegni sulla decarbonizzazione e il phase out dalle fonti fossili.

Grazie alla crescita della produzione da fotovoltaico ed eolico on-shore e off-shore, entro il 2040 si dovrebbe infatti raggiungere un aumento della produzione rinnovabile di 960 TWh. Nello stesso tempo le politiche di efficientamento degli edifici e delle industrie e di mobilità sostenibile potrebbero portare una riduzione della domanda di energia di 916 Twh. Insieme, rinnovabili ed efficienza compenserebbero più che abbondantemente la perdita della quota di produzione nucleare stimata in circa 326 TWh.

Insomma, le rinnovabili possono farcela da sole. E, anzi, concludono gli analisti di EEB, l’attuale ritorno del nucleare al centro della scena rischia di distogliere gli investimenti da soluzioni più efficaci, veloci ed economicamente convenienti, ritardando l’uscita dalle fossili. “Nonostante il ruolo importante che ha avuto nella storia energetica europea, l’energia nucleare è ormai in declino – concludono – e una sua rinascita è irrealistica.

 

Immagine: Hakan Yasar, Unsplash

 

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