Chiusi i festeggiamenti per il capodanno, in Cina tutti gli occhi sono ora puntati sulla Grande Sala del Popolo di Pechino, dove lunedì 4 marzo si sono aperti i lavori delle cosiddette Due Sessioni (Liang Hui), l’evento politico annuale più importante della Repubblica Popolare.

Per una settimana, fino all’11 marzo, i leader del Partito Comunista e gli oltre 2.000 membri degli organi consultivi discutono sull’anno appena concluso e su quello che si apre, valutando gli obiettivi raggiunti e stabilendone di nuovi. E l’anno del Drago, segno di grandi imprese e nuovi inizi, non dovrà deludere le aspettative.

Così, nella relazione economica presentata il 5 marzo dal Primo ministro Li Qiang (per la prima volta senza conferenza stampa internazionale), gli slogan che dominano le circa 40 pagine di buoni propositi per il nuovo anno sono essenzialmente due: il concetto, già in voga da qualche tempo, di “sviluppo di alta qualità” (gao zhiliang fazhan) e quello, appena introdotto con riferimento all’innovazione, di “nuove forze produttive” (xin sheng chanli). Si consolida dunque la visione di una nuova Cina fortemente orientata allo sviluppo tecnologico e scientifico, a cui però al momento si chiede di “stringere la cinghia” per superare la crisi e soprattutto di stringersi attorno al sempre più indiscusso leader Xi Jinping.

Siamo andati a leggere il documento, cercando anche, in mezzo alle esortazioni alla crescita, i richiami a quello sviluppo sostenibile che dovrebbe essere uno dei punti cardine della Meili Zhongguo, la “bella Cina” di Xi.

Quanto crescerà l’economia cinese (e perché Li Qiang non ha fatto la conferenza stampa)

Quest’anno, all'apertura delle Due Sessioni, l’attenzione dei media internazionali è stata catturata soprattutto dalla mancata conferenza stampa del Primo ministro. Una rottura con la tradizione che è stata letta come l’ennesimo passo indietro cinese sul fronte della trasparenza, ma che in realtà, come hanno notato diversi osservatori, non fa che ribadire l’assetto della leadership di questi ultimi anni. In linea con il tipico pragmatismo del Dragone e nell’ottica di snellire i lavori del Congresso, la conferenza stampa di Li Qiang, fedelissimo di Xi in carica dal 2023, potrebbe semplicemente essere stata considerata “superflua”. Come a dire: è inutile che Li parli, tanto la linea da seguire – come ribadito varie volte nella sua relazione – è quella dettata da Xi Jinping.

Eliminati i convenevoli, dal primo giorno di Congresso si aspettava soprattutto un numero: la previsione di crescita del PIL per il 2024. Il numero è immancabilmente arrivato, e va detto che non è stato una gran sorpresa. Sulla linea della prudenza, Li Qiang ha infatti annunciato una crescita attesa del 5%, più o meno come quella del 2023 che ha chiuso con un +5,2%. Dopo la frenata del 2022, che con una crescita di solo il 3% aveva fatto mancare gli obiettivi, ora il governo cinese si guarda bene dal fare promesse troppo ambiziose e preferisce andare coi piedi di piombo.

Insieme ai punti percentuale del PIL, il Primo ministro si ripromette anche di creare 12 milioni di nuovi posti di lavoro nelle aree urbane (stesso numero del 2023) e di portare il tasso di disoccupazione nelle città al 5,5%. Quello della disoccupazione urbana è un vero tasto dolente per il governo cinese, soprattutto per quanto riguarda la fascia di popolazione più giovane: la percentuale di ragazzi fra i 16 e i 24 anni che non trova lavoro ha infatti ormai superato la soglia critica del 20%.

Un altro numero importante contenuto nella relazione riguarda l’aumento del budget per la spesa militare, che crescerà del 7,2%. Anche così, però, il totale non raggiungerà neanche la metà della spesa militare statunitense.

Una crisi da superare

Nella prima parte della sua relazione, il Primo ministro Li Qiang dà conto degli obiettivi raggiunti nel 2023, non nascondendo (sarebbe stato difficile) le difficoltà incontrate nel post-Covid. “Mentre questioni già radicate peggioravano, sono emersi nuovi problemi – si legge nel documento ‒ Un calo della domanda esterna ha coinciso con una mancanza di domanda interna e sono emerse criticità sia cicliche che strutturali. I rischi nel settore immobiliare, nel debito delle amministrazioni locali e nelle istituzioni finanziarie di piccole e medie dimensioni sono stati acuiti.”

Dal settore immobiliare, peraltro, non arrivano segnali di ripresa: dopo la liquidazione di Evergrande, annunciata in gennaio, anche l’altro grande sviluppatore immobiliare, Country Garden, ha ricevuto a fine febbraio una petizione di liquidazione per il mancato pagamento di un prestito di 205 milioni di dollari.

Sul lato esportazioni, invece, le misure protezionistiche adottate da vari mercati occidentali per veicoli elettrici, pannelli solari e batterie potrebbero ancora ridurre il volume dei commerci del Dragone. Per questo Li Qiang parla di misure per stimolare la spesa interna dei consumatori, in particolare verso i settori dell’automotive e delle tecnologie. Anche se, nello stesso tempo, chiede alle province di “stringere la cinghia” e non pensare di adagiarsi sulle sovvenzioni e sul welfare.

Nuove forze produttive: ricerca e tecnologia

Aumentare la capacità di spesa dei consumatori chiaramente non basta a superare un rallentamento che rischia di diventare strutturale. La parola d’ordine allora, come ribadito anche nel discorso di Xi Jinping pubblicato dal bimestrale del Partito Comunista Qiushi, è “modernizzazione”. Si tratta non solo di modernizzare l’industria, ma tutta la società, a cominciare dall’educazione e dalla formazione, su cui il governo cinese punta per creare un “ecosistema dell’innovazione” che sia competitivo a livello internazionale e progredire sulla strada di uno “sviluppo di alta qualità”.

E qui entrano in scena le xin sheng chanli, le “nuove forze produttive” a cui affidare l’arduo compito di compensare le leve tradizionali sempre più in crisi dell’economia cinese, ovvero l’export manifatturiero e il settore edile e immobiliare. Ma cosa vuol dire “nuove forze produttive”?

Fondamentalmente la Cina di Xi punta a diventare il Paese leader nell’industria avanzata e nelle tecnologie di frontiera, colmando il ritardo (forse più percepito che reale) nei confronti degli Stati Uniti nel campo della ricerca e dell’innovazione. È questo che significa “sviluppo di alta qualità”: liberarsi finalmente dalla nomea di “fabbrica del mondo” che sforna merce di qualità mediocre e conquistarsi un posto stabile nei mercati innovativi di più alto profilo.

Così, nella relazione di Li Qiang ricorrono espressioni come “industrie future-oriented” e “auto-sufficienza tecnologica” e si parla di investimenti in settori emergenti come l’idrogeno, i nuovi materiali e la bioeconomia, i veicoli elettrici intelligenti, l’aerospazio e le tecnologie quantistiche, oltre, ovviamente, alla digital economy e all’Intelligenza Artificiale. Tutti settori, scrive il Primo ministro, che “dobbiamo sforzarci di sviluppare a ritmi più rapidi”. Perché la cinghia non si può stringere troppo.

La bella Cina e lo sviluppo sostenibile

Verso la fine della relazione arriva anche il capitolo sugli investimenti green. Che riguardano l’inquinamento atmosferico, la gestione delle risorse idriche, la protezione del suolo, l’economia circolare e lo sviluppo di filiere low carbon: tutto in continuità con il piano “bella Cina” lanciato nel 2012 da Xi Jinping, al motto di lushui qingshan, “acque limpide, montagne verdi”.
Quanto alla decarbonizzazione, scrive Li Qiang, “lavoreremo attivamente ma prudentemente per raggiungere il picco di emissioni di carbonio e arrivare alla neutralità carbonica”. Niente di nuovo in realtà. La prudenza, anche nel fare promesse in contesti internazionali (come alla COP28), è il tratto distintivo della politica climatica cinese. I target dual carbon (picco di emissioni e neutralità carbonica) sono ben presenti al governo di Pechino, e in realtà la Cina, secondo l’ultimo report della IEA, è vicinissima al picco e potrebbe raggiungerlo già nel 2025, mentre secondo BloombergNEF, sarà con ogni probabilità l’unico Paese che riuscirà davvero a triplicare la propria capacità di energia rinnovabile entro il 2030.

Prima però vengono sempre la sicurezza alimentare ed energetica e l’approvvigionamento di risorse per l’industria. “Lavoreremo per implementare la transizione energetica, controllando l’uso dei combustibili fossili e promuovendo la realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici su grande scala – assicura il Primo ministro – ma il carbone e le centrali elettriche a carbone continuano a giocare un ruolo cruciale nel nostro mix energetico.”

Insomma, anche in campo climatico la Cina ci tiene a ribadire la propria autonomia decisionale, come a dire: va bene la decarbonizzazione, ma con i nostri modi e i nostri tempi. Una riaffermazione di indipendenza sottolineata, infine, senza mezzi termini nella chiusura del documento di Li Qiang, che scrive: “Continueremo a impegnarci per una politica estera indipendente, di pace e sviluppo pacifico”. Proseguendo poi con un appello per una “globalizzazione economica universalmente vantaggiosa e inclusiva” e “un mondo multipolare”, dove non ci sia spazio per “atti egemonici, arroganti e di bullismo”. E chi vuole intendere intenda.

 

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Immagine: Envato

 

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