Lo strumento principe per esaminare le azioni delle grandi aziende è il report di sostenibilità dove vengono delineati gli obiettivi ambientali, sociali e di governance (ESG), insieme ai progressi e alle proiezioni dell’azienda nei confronti di ciascuno di essi.
Abbiamo deciso di iniziare ad analizzare un’azienda che ha fatturato 23,18 miliardi di dollari USA nel 2022: McDonald's Corporation.

Il colosso del fast food di fronte agli impegni di sostenibilità

McDonald’s è oggi il più grande rivenditore fast food a base di carne del mondo. Ha più di 40.000 sedi in oltre 100 Paesi, di cui 9 su 10 sono franchising, e circa l’85% dell’offerta gastronomica è a base di derivati bovini o avicoli.
La multinazionale dichiara di aver abbracciato l’Agenda 2030 impegnandosi nella lotta contro il cambiamento climatico, senza però inserire nel suo Business Model la parola “ambiente” o “sostenibilità” nemmeno una volta.
Secondo la FAO “quasi la metà delle soluzioni per rimanere entro gli obiettivi di temperatura concordati nell'ambito dell'accordo di Parigi provengono dal cibo e dall'agricoltura”. Tra queste soluzioni vi è la necessità di riflettere sul concetto di allevamento intensivo che causa effetti devastanti sulle foreste e altri ecosistemi, sul suolo, sul ciclo dell’acqua e la salute. I business che ruotano attorno agli allevamenti di bovini in particolare sono responsabili di quasi il 30% delle emissioni totali di metano, il secondo gas serra responsabile del riscaldamento globale dopo l’anidride carbonica.

Sono due le principali aree di intervento di McDonald’s: la transizione energetica e il tema dell’impatto sulla biodiversità. Secondo l’impegno preso da McDonald’s i punti salienti relazionati alla sostenibilità ambientale si focalizzano sulla lotta contro il cambiamento climatico, la gestione degli scarti in termini di recupero, trasformazione e riutilizzo (incluso il packaging e i giocattoli), e la gestione dell’acqua e delle foreste.

La posizione di McDonald’s nei confronti del cambiamento climatico

La lotta di McDonald’s contro il cambiamento climatico è iniziata nel 2011 con la Global Roundtable for Sustainable Beef, ma nel tempo questo focus si è nettamente spostato verso la produzione di energia, la prima causa di emissioni di carbonio a livello mondiale secondo l’EPA.

Una delle iniziative di McDonald’s è la produzione di biodiesel, un metodo di recupero dell’olio di scarto usato per le fritture, in questo caso una miscela di oli tra cui la soia, per creare carburante. Secondo i dati riportati dalla multinazionale, per far circolare a “zero impatto” i furgoni ci sono voluti circa 4 milioni di litri di olio, la cui componete principale – la soia - è stata recentemente inserita dalla Commissione europea tra i prodotti identificati come il principale motore della deforestazione dovuta all'espansione agricola”. Dal momento che la soia è anche utilizzata per l’allevamento dei polli, McDonald’s sostiene la produzione responsabile di questa attraverso l'acquisto di crediti RTRS che, sebbene siano in linea con uno standard globale, prevedono interpretazioni nazionali per adeguare i requisiti alle condizioni e alla legislazione locali in ogni singolo Paese produttore.

Con una media di 900mila tonnellate di carne bovina comprata ogni anno, McDonald’s dichiara di "promuovere pratiche sostenibili e sfruttare l'innovazione, per proteggere le foreste e promuovere la salute del suolo, la biodiversità e la gestione dell'acqua per avere un impatto positivo sulla natura”. In particolare entro quest’anno verrà lanciato il programma Nature Positive ed entro il 2025 si proporranno “nuove iniziative di agricoltura rigenerativa per promuovere la salute del suolo, la gestione dell'acqua e la biodiversità”.
Come viene controllata una catena di approvvigionamento così complessa per definirsi sostenibile?

Una catena di approvvigionamento poco trasparente

Nell’analisi SWOT di McDonald’s la sostenibilità della catena di approvvigionamento non viene presa in considerazione, anzi apparentemente permangono tra i punti di forza proprio gli aspetti opposti: servizio rapido, consegna rapida e strategia di prezzo (basso costo).

In Italia per esempio, dove lo standard alimentare è piuttosto elevato, ci sono 600 McDonald’s che vendono carne proveniente da più di 15.000 allevamenti del territorio, ma solo il 6.6% di questi fa parte del progetto avviato con Coldiretti, Inalca e A.I.A a favore della sostenibilità. Eppure, a fronte di questi dati, il grande fast food è stato recentemente definito “un percorso di valorizzazione del Made in Italy” dal Presidente di Coldiretti Ettore Prandini, tempestivamente criticato da Slow Food: “non può essere presentato come operazione culturale e sociale che conduce verso l’eccellenza, la valorizzazione della biodiversità e del made in Italy, la sostenibilità, il benessere animale”.

Gli Stati Uniti sono invece al primo posto nel mondo per numero di ristoranti, più di 14.000, gestiti da due aziende principali: Lopez Food in Oklahoma e Keystone Foods in West Chester. La prima è responsabile della trasformazione delle proteine derivanti dalla carne bovina mentre la seconda della carne avicola; entrambe lavorano con sistemi di allevamenti esclusivamente da produzione (ingrasso). Lopez Food è un’azienda che ha acquistato nel 2011 un impianto per la lavorazione della carne, quindi si avvale di allevatori per il rifornimento della materia prima e questi non adottano proprio quell’approccio olistico per proteggere le risorse naturali e le comunità che pubblicizza McDonald’s. Cargill, Tyson Foods e JBD S.A. sono solo alcune delle grandi multinazionali attive nella rete McDonald’s, operative soprattutto in territori particolarmente vulnerabili, dal punto di vista della sostenibilità ambientale (e non solo), come il Brasile.

Secondo Ryan Cantarella, allevatore dell’Oklahoma selezionato dalla Cattlemen’s Leadership Academy (CLA): “Non ci sono rigidi requisiti ambientali richiesti per vendere il proprio bestiame a McDonald’s. La questione più dibattuta è che molti di noi non sanno nemmeno se la carne o il bestiame che è stato venduto finirà nei loro hamburger, perché nessuno vende direttamente all’azienda data la complessità e i numerosi passaggi intermedi tra gli allevatori e McDonald’s”.
I consumatori possono sapere la provenienza di ciò che hanno acquistato e verificarne la sostenibilità? “Ne dubito fortemente. Nonostante ciò, ci sono programmi di identificazione che servono a tracciare dove sono nati i bovini per esempio, le aree di alimentazione in cui sono stati allevati fino all'impianto di macellazione, tutti con etichette di identificazione elettronica. Questi programmi sono costosi e non sono presenti in tutto il mondo, il che significa che se McDonalds dovesse puntare su un approvvigionamento solo a base di bestiame tracciabile, ridurrebbe drasticamente la quantità di fornitori soprattutto dei Paesi in via di sviluppo facendo aumentare il prezzo.”

Quando abbiamo chiesto a McDonald’s informazioni relative alla catena di approvvigionamento e quindi alla tracciabilità di ogni passaggio, non abbiamo ricevuto alcuna risposta.

Come avviene la gestione delle risorse idriche e del suolo

L’uso delle risorse idriche è un altro punto cruciale per McDonald’s: si stima che approssimativamente il 92% dell’acqua che consumiamo sia destinata alla produzione di cibo e il 70% di questa si usi per l’allevamento. In particolare per produrre un chilo di carne possono anche essere necessari 15.000 litri di acqua, il che rende difficile giustificare un piano di gestione idrico sostenibile quando la quasi totalità degli animali passa per i feedlot. Si tratta di una pratica di allevamento intensivo molto criticata perché necessita di una maggior apporto idrico, contribuisce a esacerbare l’aridità del terreno e l’impoverimento del suolo, provocando inoltre malattie respiratorie per gli animali.

Gli allevatori della Cattlemen’s Leadership Academy non sono a favore dei feedlot e li considerano tra le pratiche responsabili dell’aumento della siccità: “Questo è diventato un grande problema in Oklahoma e come allevatori è evidente anche a breve termine che quando un produttore sovraccarica il terreno di animali, la quantità di foraggio disponibile diminuisce riducendo di conseguenza anche la ritenzione idrica del suolo dovuta a una minore copertura vegetale. Questa combinazione porta a un aumento della temperatura del suolo in estate e a una temperatura del suolo più fredda in inverno: queste grandi fluttuazioni delle temperature hanno un grave impatto sulle funzioni naturali e sui batteri del suolo che catturano e immagazzinano il carbonio.”

Ci sono, comunque, programmi finanziati da McDonald’s di condivisione di pratiche sostenibili come il Flagship Farmers oppure i progetti pilota del Nobel Research Institute, iniziative locali finalizzate al miglioramento del rapporto produttore-consumatore sia dal punto di vista sociale che ambientale, ma richiedono molto tempo e volontà. Per vantare uno status sostenibile purtroppo al giorno d’oggi ci sono mezzi più veloci come l’acquistato di crediti di carbonio che compensa l’impronta ambientale generata in termini di tonnellate di CO2 emessa, anche se il vero prezzo che c’è da pagare non è sempre monetizzabile e immediato.

Secondo i dati forniti da McDonald’s, lo scorso anno è stata registrata: “una riduzione del 7,8% dell'intensità delle emissioni di gas serra della catena di fornitura rispetto ai dati del 2015”. Non è però chiaro come si è arrivati a quel risultato. Stando alle iniziative promosse dall’azienda il riuso e il riciclo delle risorse sono le pratiche più adottata insieme all’acquisto dei crediti di carbonio.

Come fanno i consumatori a valutare la sostenibilità di McDonald’s? 

La fiducia dei consumatori e la credibilità di un’azienda si basa sui fatti. Se McDonald’s dichiara di vendere ai clienti un prodotto sostenibile deve poterlo dimostrare non solo con la sua pubblicità ma anche con una prova concreta e tangibile come un sistema di Supply Chain Traceability.

Il benessere animale ad esempio è uno degli obiettivi del report di sostenibilità, nonostante nella logica di questo business non sembri essere così rilevante, semmai un intoppo perché si ripercuote sulla quantità di carne prodotta e di conseguenza sul costo per i consumatori, incidendo sulla qualità bassa/scarsa - prezzo basso che ha reso famoso McDonald’s nel mondo. Allo stesso modo per l’azienda statunitense (non) sembra essere prioritaria la conservazione della biodiversità, che in termini di allevamento dovrebbe significare ridurre la deforestazione, l’uso di antibiotici, di pesticidi e di prodotti fitosanitari.
La realtà è un’altra: non esiste attualmente un controllo monitorato nella catena di approvvigionamento che garantisca ai consumatori di risalire alle condizioni di allevamento/coltivazione (no agli incendi di foreste per aprire nuovi spazi all’allevamento intensivo), dell’uso sostenibile delle risorse (no alla contaminazione degli ecosistemi) e al rispetto dei gruppi etnici minoritari (no alla mobilitazione e allo sfruttamento). Tra le varie accuse, Cargill, uno dei principali fornitori di McDonald’s, è stata definita da Greenpeace “l'azienda che nutre il mondo aiutando a distruggere il pianeta”.

Salute, benessere e lavoro

McDonald’s si dichiara anche in prima linea nella lotta contro la fame del mondo e il raggiungimento della sicurezza alimentare. Un panino ha un costo medio di 5 euro, variabile da Paese a Paese, non più così competitivo come nel passato ma ciò che conta è l’immagine creata nella mente dei consumatori: facile-veloce-economico.

In aggiunta, la riduzione delle disuguaglianze e il lavoro dignitoso sono anch’esse un caposaldo piuttosto recente dell’Agenza 2030: il salario dei lavoratori ha avuto un incremento del 10% rispetto al minimo sindacale in alcuni Stati degli USA raggiungendo i 15$ all’ora; peccato che sia un diritto solo dei lavoratori direttamente assunti dall’azienda, ovvero il 5% del totale.

McDonald’s investe quasi 2 miliardi di dollari ogni anno in pubblicità solo negli Stati Uniti, infatti secondo la sua strategia il marketing insieme ai salari e ai costi amministrativi è la spesa maggiore che deve sostenere. Secondo gli allevatori più ottimisti come Ben Taggart, proprietario della Burgundy Pasture Beef, McDonald’s “potrebbe diventare una realtà sostenibile anche se ci vorrà molto tempo e una vera volontà di coordinamento non solo da parte di McDonalds, ma anche dai produttori di tutto il mondo. È difficile se non impossibile che un'azienda di quelle dimensioni possa veramente rintracciare ogni singolo animale che utilizza nei suoi piani e diventare veramente sostenibile senza che i produttori di tutto il mondo lo diventino prima.”

Infine la salute e il benessere delle persone di tutte le età non sono mai state nemmeno accennate da McDonald tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che ha assunto. Probabilmente nemmeno Ronald McDonald’s saprebbe ancora come giustificarlo.

Immagine: Jurij Kenda (Unsplash)