Come una contemporanea rivoluzione industriale, la transizione energetica cambierà l’approccio globale al mondo del lavoro. Più occupazione, nuovi ruoli, ma soprattutto un modo innovativo di studiare e formarsi per sfruttare appieno queste opportunità. Secondo il report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) World Energy Employment 2023, il settore energetico impiega quasi 67 milioni di persone e nel 2021 le persone impiegate nei settori dell’energia pulita (35 milioni) hanno superato quelle nei settori dei combustibili fossili (32 milioni).

Nei prossimi anni, in base a dati forniti sempre da IEA nel report Net Zero by 2050, la transizione energetica potrebbe creare 14 milioni di nuovi posti di lavoro legati all’energia pulita, ricollocare in quel settore circa 5 milioni di lavoratori dai combustibili fossili e richiedere ulteriori competenze e formazione per circa 30 milioni di lavoratori.

Ma quanto è forte la percezione della necessità di queste nuove competenze? E quali sono? Per rispondere a queste e altre domande, la Fondazione MAIRE, che si occupa di formare giovani nei vari ambiti dell’innovazione tecnologica, energetica e digitale, ha condotto con IPSOS, in collaborazione con NextChem e Tecnimont, uno studio internazionale, presentato alla COP28 di Dubai, dal titolo Winning the global challenge through the creation of skills and competences worldwide and through industrial cooperation.

Lo studio

Per il report sono state intervistate, dal 22 settembre al 9 ottobre 2023, 1.700 persone in dieci Paesi (Italia, Regno Unito, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Cina, India, Algeria, Stati Uniti e Cile), scelte per genere, età, macroaree geografiche, livelli di istruzione e status occupazionale. In aggiunta, sono stati intervistati 15 Key Opinion Leader in ambito sostenibilità e transizione energetica di cinque Paesi (Italia, Regno Unito, Emirati Arabi Uniti, India e Stati Uniti), di tre diversi target: accademici, istituzionali e top manager di aziende private.

Dallo studio emerge che oltre il 90% delle persone intervistate ha sentito parlare di transizione energetica. La familiarità col tema è elevata nelle economie avanzate come Stati Uniti (63%), India (63%), Italia (60%) e Regno Unito (59%), mentre scende sotto al 50% in Paesi come Cina, Cile e Turchia. Quasi tutti considerano importante la transizione energetica, e per due su tre è una priorità, in particolare in Turchia e in India (entrambe al 70%), seguite dai Paesi asiatici, africani e latinoamericani.

Gli opinion leader concordano sul fatto che Nord Europa, Stati Uniti e Cina hanno compiuto i progressi maggiori, tuttavia Italia, Regno Unito e gli stessi Stati Uniti considerano la situazione del proprio Paese nella media o in ritardo. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, India e Cina ritengono invece il proprio Paese più impegnato degli altri, tendendo a percepire più positivamente i progressi ottenuti, talvolta anche sovrastimandoli. In Paesi come Cile, Algeria e Turchia, che si percepiscono in ritardo nel processo, la transizione energetica è sentita una priorità più dai cittadini che dai governi.

Con l’eccezione degli italiani, che si rivelano i più scettici, le persone intervistate concordano in generale sul fatto che la transizione energetica porterà benefici in vari ambiti, soprattutto economico, sanitario e ambientale. Al primo posto per tutti, tranne che in Italia, c’è la creazione di nuovi posti di lavoro, in particolare in Algeria, Turchia, Arabia Saudita e India. Tuttavia, è percezione diffusa che i percorsi scolastici e accademici non si stiano sviluppando abbastanza in fretta da garantire una formazione adeguata alle esigenze del mondo del lavoro.

Alla ricerca degli ingegneri umanisti

Tra le competenze richieste ai futuri professionisti della transizione energetica, sia quelle tecniche che quelle trasversali sono ritenute fondamentali. Tra le soft skills sono considerate più importanti la creatività (soprattutto per Regno Unito, Algeria, Arabia Saudita, India ed Emirati Arabi Uniti), la capacità di risolvere i problemi (Italia, Turchia, Arabia Saudita, Cina, Stati Uniti e Cile), il pensiero critico (Regno Unito), la flessibilità e il lavoro di squadra. In Italia, in particolare, sono apprezzate la familiarità col quadro normativo e la capacità di analizzare l'impatto della transizione energetica sul territorio.

Per quanto riguarda le hard skills, hanno maggior peso la capacità di valutare l'impatto ambientale e la conoscenza delle materie prime e delle fonti di energia rinnovabili. In India, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, una persona intervistata su due ritiene le conoscenze tecniche più importanti delle competenze personali, ma in generale sia le soft skills che le hard skills sono considerate centrali, in un intreccio che la Fondazione MAIRE riassume col termine di “ingegnere umanista”, colui che ha la capacità di tenere in considerazione i bisogni umani e il benessere sociale nei processi decisionali e nello sviluppo di soluzioni energetiche sostenibili. Proprio la formazione degli ingegneri umanisti e delle ingegnere umaniste del futuro è al centro delle attività didattiche e culturali della Fondazione MAIRE, che promuove a tal fine corsi in scuole e università.

Secondo lo studio, in Italia, Turchia, Cina e Algeria, oltre l'85% delle persone intervistate ritiene che le proprie competenze debbano essere migliorate, mentre la percentuale scende ma rimane comunque superiore al 75% negli altri Paesi. Le figure ritenute responsabili dell'educazione alla transizione energetica sono principalmente i governi centrali (citati dal 61% degli intervistati), poi gli enti pubblici, come centri di ricerca e università (57% e 48%). Anche il ruolo delle aziende private, tuttavia, viene considerato rilevante dal 40% degli intervistati. In generale, la formazione ritenuta più importante è quella universitaria, con la necessità di iniziare già dalla scuola primaria un approccio educativo rispettoso dell’ambiente.

La televisione e i quotidiani nazionali sono considerati fonti affidabili di informazione sulla transizione energetica soprattutto nei Paesi asiatici, mentre le riviste specializzate o le pubblicazioni accademiche sono più accreditate in Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Anche i centri di ricerca e le fondazioni sono considerati fondamentali, perché, si legge nello studio, “possono integrare i programmi educativi formali raggiungendo una fascia demografica più ampia attraverso un'offerta diversificata di corsi”. Il Gruppo MAIRE, per esempio, dispone di oltre 24 università in tutto il mondo e di piattaforme di Open Innovation che mirano a creare ecosistemi di ricerca e sviluppo per favorire l'innovazione nella transizione energetica.

Il ruolo delle aziende private

È diffusa tra gli intervistati la convinzione che le aziende si facciano carico della maggior parte degli oneri legati alla transizione energetica. Non a caso, l’attenzione verso questo ambito è ritenuta in aumento negli ultimi tre anni, ma più da parte delle aziende private che della politica, soprattutto in Italia, Turchia, India e Cile. È opinione comune che le aziende, per affrontare con successo la transizione energetica, debbano passare alle fonti di energia rinnovabili, implementare una rendicontazione trasparente, sviluppare al proprio interno le competenze necessarie e promuovere un cambiamento culturale anche all’esterno.

Tra le necessità rilevate dallo studio, al fine di incrementare la consapevolezza sulla transizione energetica, compare la cooperazione a vari livelli tra enti locali, governi centrali, aziende private e organizzazioni internazionali, tramite lo snellimento delle procedure burocratiche, normative chiare e la creazione di piattaforme digitali comuni. È opinione diffusa che non sia necessario creare nuovi organismi ma che ci si debba concentrare sul rafforzamento di quelli già esistenti, in particolare ONU, UNFCCC, Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, Unione per il Mediterraneo e Unione europea, che, secondo gli opinion leader, è il più virtuoso tra gli attori globali.

Questioni di genere

Attualmente le donne rappresentano solo il 16% delle persone occupate nel settore energetico. Nelle interviste, la creazione di opportunità di lavoro per le donne è all'ultimo posto tra i benefici percepiti, con diversi livelli di consenso: particolarmente sentita in India e Arabia Saudita, limitata nel Regno Unito, in Cina e soprattutto in Italia. Tuttavia, la creazione di nuove professioni in questo settore può offrire alle giovani donne maggiori opportunità di ingresso nel mercato del lavoro, se indirizzate verso percorsi universitari adatti.

Per questo, Fondazione MAIRE è impegnata in corsi di formazione per avvicinare le studentesse alle discipline STEM (Science Technology Engineering and Math). In particolare, in Italia, Fondazione MAIRE ha sviluppato un progetto in collaborazione con ENEA, con l’obiettivo di formare le studentesse delle scuole superiori sulle discipline STEM e sull'efficienza e la transizione energetica, con oltre 2.000 ore di lezioni già erogate finora.

 

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Immagine: Envato

 

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