L’Italia è tuttora l’unico paese in Europa ad aver reso obbligatorio il Green public procurement: la nazione a forma di stivale è il “caso scuola” nel campo del Gpp. 

Da oltre due anni in Italia tutti gli appalti pubblici devono contenere i criteri ambientali minimi emanati dal ministero dell’Ambiente. E l’Europa osserva con attenzione e ammirazione. Certo gli Stati dell’Unione europea stanno facendo passi avanti verso l’implementazione del Gpp, ma ancora nessuno ha raggiunto l’Italia, che rimane il primo (e ancora unico) paese ad averlo imposto, in modo diffuso e completo, per tutte le amministrazioni pubbliche, per la totalità dell’importo a base di gara e a prescindere dal fatto che si tratti di acquisti pubblici sopra o sotto soglia.

Progressi importati sono stati fatti anche altrove e finalmente qualcuno sta accelerando il passo.

In Germania, dal 18 gennaio 2017, gli uffici federali devono scegliere i prodotti che consumano energia sulla base di un’attenta analisi dei loro costi del ciclo di vita, e devono guardare bene le eco-etichette. Alcuni paesi hanno introdotto una obbligatorietà limitata, nel senso che riguarda alcune pubbliche amministrazioni (per esempio in Olanda il governo centrale è obbligato ad applicare i numerosissimi – 45 – criteri ambientali nazionali), oppure dispone l’obbligatorietà per l’applicazione di alcuni criteri (solitamente si inizia con l’energia, come in Bulgaria, Danimarca e Finlandia).

Molti altri paesi stanno aggiornando Piani e Strategie nazionali, Italia compresa.

C’è poi un aspetto importante sul quale alcuni Stati in questi ultimi due anni si sono evoluti: quello del monitoraggio. Anche in presenza di misure volontarie di Gpp, delle quali si “raccomanda” l’applicazione da parte delle autorità locali, alcuni Stati hanno tuttavia introdotto misure specifiche per monitorare e “misurarne” l’applicazione, ritenendole efficaci per diffondere la consapevolezza sui benefici del Gpp e comunicare i risultati. 

Per esempio in Spagna vengono fatte rilevazioni periodiche e dall’ultima effettuata sono emersi dati eclatanti per Barcellona: il 96% degli acquisti fatti rispetta i criteri ambientali; inoltre risulta in fase di emanazione un decreto per l’applicazione obbligatoria del Gpp. In Francia l’obbligo delle rilevazioni annuali è rafforzato da un sistema di incentivi e penalità economiche. A Malta, anche se il Green public procurement non è obbligatorio in alcun modo, in ogni Ministero c’è un responsabile con la specifica funzione di far sì che tutte le procedure emesse siano conformi ai criteri ambientali Gpp. Segnali di un approccio più pratico e operativo, piuttosto che normativo.

L’aspetto del controllo non è affatto secondario per una “reale” applicazione dei criteri ambientali negli appalti. Senza un efficace sistema di monitoraggio non è possibile verificare che le norme siano introdotte correttamente, in modo specifico e diffuso, né misurare i risultati conseguiti. E, soprattutto, non è possibile convincere i “ritardatari” che si sta parlando di un vero e proprio adempimento normativo, con conseguenze non banali, in termini di annullabilità della gara e dei contratti aggiudicati, in caso di inadempimento.

 

 

Il Gpp non esiste se non si può verificare e misurare

Non è un caso che accanto al monitoraggio, altro aspetto cruciale sia il sistema delle “verifiche”: le pubbliche amministrazioni devono essere messe in grado di riconoscere i criteri ambientali nelle offerte, affinché tutto possa funzionare. Dover inserire criteri ambientali senza disporre di strumenti chiari e univoci per verificarne poi la presenza in fase di accettazione delle offerte, può essere parecchio problematico, scoraggiante e aprire la strada a disfunzionalità del sistema. 

È per questi motivi che, accanto all’aggiornamento del livello di attuazione delle norme Gpp all’interno degli Stati europei (vedi Materia Rinnovabile n. 11, luglio-agosto 2016, p. 60) sulla base di tre indicatori (esistenza di una strategia o di un piano nazionale sul Gpp, criteri ambientali emanati, grado di obbligatorietà), abbiamo raccolto informazioni sui sistemi di monitoraggio adottati, sia se integrati alla normativa e al sistema degli appalti, sia come indagini periodiche o sporadiche.

Sull’aspetto del monitoraggio l’Italia si sta attrezzando: è prossima, infatti, l’applicazione dell’accordo concluso il 19 marzo 2018 tra ministero dell’Ambiente e Anac (Autorità italiana anticorruzione), investita da importanti funzioni in tal senso dal Codice Appalti (art. 213, Dlgs. 50/2016).

Nel frattempo però sono stati diffusi a luglio 2018 i risultati di una prima indagine effettuata da Legambiente (Ong italiana attiva su temi ambientali) in collaborazione con Fondazione Ecosistemi (organizzazione italiana specializzata in Gpp), su un campione di 1.048 amministrazioni comunali italiane (tra i “Comuni Ricicloni”) sull’applicazione dei Criteri ambientali minimi nelle gare d’appalto in Italia in 11 settori, dal quale emerge che ben il 30% non li applica.

Esaminando i singoli settori, alcuni dati sono allarmanti: solo il 5,82% dei comuni intervistati dichiara di applicare sempre i Criteri ambientali minimi (Cam) per l’edilizia (che però, va precisato, è in vigore nella sua forma aggiornata dall’ottobre 2017); il 6,10% dice di applicare i criteri sull’arredo interno; il 9,92% quelli sull’arredo urbano e il 9,54% quelli sulle apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Vagamente confortante, ma pur sempre deludente, la situazione per gli altri settori di acquisto indagati: gestione dei rifiuti, carta, riscaldamento e illuminazione, pulizie, e infine ristorazione collettiva, dove i risultati restano comunque molto bassi (vedi grafico).

Insomma, l’Italia è molto avanti sulle regole. Molto meno sulla loro attuazione.

 

 

 

Tabella completa su Materia Rinnovabilewww.renewablematter.eu/it/rivista