Fino a quando il nostro sistema socio-economico sarà in grado di sostenere la bulimica “fame di tempo” di una fascia sempre più ampia della popolazione? Fra le caratteristiche che hanno permesso al capitalismo di imporre la propria legge sul mercato globale vi è la capacità di divorare il tempo delle masse, sia nelle ore della giornata dedicate al lavoro sia nella dimensione del tempo libero. Questa vorace appropriazione del tempo che il filosofo Jean Paul Galibert ha chiamato cronofagia è diventata una delle conseguenze più evidenti delle storture del capitalismo.

Interi settori produttivi (dall’automotive al packaging, dal food delivery allo shopping online) hanno fondato il proprio modello di business sul tentativo di offrire soluzioni al paradosso per cui all’accelerazione tecnologica e sociale non è affatto corrisposta una liberazione del tempo degli individui. Inoltre, la quasi totalità delle aziende che offrono soluzioni alla carenza di tempo sono imprese che hanno scelto chiaramente di abbracciare l’economia lineare, con tutto ciò che ne deriva in termini di impatto ambientale.

Mandarini già sbucciati e Capitalocene

Alla fine degli anni Sessanta, Guy Debord aveva già colto come i prodotti surgelati si fossero diffusi per far risparmiare ai consumatori quel tempo che sarebbe poi stato utilizzato davanti al televisore. Il settore alimentare è emblematico di come l’impatto ambientale venga immolato sull’altare del risparmio di tempo: nei supermercati si vendono mandarini già sbucciati in cui il processo conservativo naturale della buccia è sostituito dal packaging e dalla filiera del freddo. Di fatto vengono aggiunti due passaggi energivori al già impattante trasporto dai campi alle tavole dei consumatori.

Se si mettono sul piatto della bilancia i pochi secondi necessari per sbucciare il mandarino e il costo ambientale della refrigerazione e del packaging necessari alla sua conservazione, la prima cosa che viene in mente è il concetto di Capitalocene proposto da Jason W. Moore per definire la nostra era geologica. Superando il concetto di Antropocene, lo storico statunitense sostiene che la trasformazione del pianeta abbia ormai come fine ultimo l’accrescimento del capitale e non più il benessere del genere umano.

Risparmiare tempo fa male all’ambiente

Con oltre 1,6 milioni di dipendenti in tutto il mondo, Amazon è riuscita a occupare una posizione egemonica sui mercati globali rispondendo con soluzioni logistiche rapide e individuali alla mancanza di tempo diffusa nella società. Grazie a una concezione decisamente disinvolta dei rapporti di lavoro e delle normative tributarie, il colosso di Jeff Bezos ha monopolizzato i mercati rivoluzionando la distribuzione. Sedotti dalla consegna a domicilio e dagli sconti, i consumatori hanno anteposto il risparmio di tempo e denaro al capitale sociale che la distribuzione del passato ha sempre offerto alla clientela in termini di assistenza e relazioni umane.

Il boom del commercio online durante la pandemia di Covid-19 sembrava il temporaneo effetto collaterale dei lockdown. Si pensava che con le riaperture ci sarebbe stata una riduzione del giro d’affari ma le cose non sono andate così: negli Stati Uniti, i 2 miliardi di pacchi di Amazon del 2019 sono diventati 4,26 nel 2020, 4,77 nel 2021 e 4,79 nel 2022. Un trionfo per il settore della logistica, un’indubbia sconfitta per l’ambiente.

L’obsolescenza programmata non passa mai di moda

L’altro aspetto anti-ecologico della cronofagia riguarda la durata dei prodotti tecnologici. Fino alla fine del secolo scorso, il valore di un dispositivo elettronico era dato dalla sua capacità di durare nel tempo, ma nel ventunesimo secolo il lento lavorio del marketing sull’inconscio collettivo, la delocalizzazione in Paesi con un basso costo del lavoro e una politica predatoria nei confronti delle risorse minerarie hanno trasformato radicalmente il rapporto che le persone hanno con gli oggetti di uso quotidiano.

La pratica di abbreviare intenzionalmente la vita di un prodotto tecnologico determinandone l’obsolescenza prima che questo sia fisicamente danneggiato è stata ormai normalizzata e accettata dalla gran parte dei consumatori. Rendere intenzionalmente malfunzionante un prodotto tecnologico, rallentarne i processi attraverso gli aggiornamenti del software, fare in modo che i pezzi di ricambio siano irreperibili e agire sulla psicologia dei consumatori in modo da valorizzare le novità e penalizzare gli articoli più datati sono tutte strategie pensate per alimentare un acquisto ciclico e, conseguentemente, un’economia lineare.

In alcuni Paesi europei, Francia in primis, la consapevolezza dei danni che queste forme di cronofagia possono comportare per l’ambiente sta facendo il salto dal dibattito pubblico all’azione legislativa. Le restrizioni all’utilizzo del packaging, una maggiore regolamentazione nelle professioni della logistica, un deciso giro di vite sull’obsolescenza programmata e leggi a favore del diritto alla riparazione sono atti doverosi nell’accidentato percorso verso gli obiettivi dell’Agenda 2030. Ogni legge capace di opporsi alle dinamiche della cronofagia è anche un atto politico a favore dell’ambiente e di un’idea di mondo maggiormente sostenibile.

 

Leggi anche: ECODESIGN E DIRITTO ALLA RIPARAZIONE, VIA LIBERA DEL PARLAMENTO EUROPEO

 

Immagine: Envato

 

© riproduzione riservata