Passo indietro, pragmatismo o solo l’ennesimo rinvio dei nodi irrisolti della transizione energetica? Si gioca sugli incentivi alle caldaie a gas l’ultima partita della realpolitik europea. La Commissione UE ha messo in consultazione nell’ultimo weekend di novembre, con scadenza fissata al 26 dicembre 2025, la bozza di revisione del regolamento 813/2013/UE (il cosiddetto Ecodesign), cambiando radicalmente rotta rispetto alla versione circolata nella primavera del 2023.
La precedente bozza prevedeva di fatto il bando totale delle caldaie a gas a partire dal 2029, imponendo un limite minimo di efficienza stagionale talmente alto da risultare irraggiungibile anche per gli apparecchi a condensazione più moderni. La nuova versione cancella qualsiasi ipotesi di esclusione dal mercato e ammette sia le caldaie a condensazione che quelle tradizionali. Ciò che cambia è il sistema degli incentivi.
La consultazione introduce infatti standard di efficienza più accessibili e una nuova etichettatura energetica con scala da A a G, simile a quella già adottata per altri elettrodomestici come frigoriferi e lampadine LED. L’obiettivo dichiarato è duplice: facilitare l’identificazione dei prodotti a basso consumo energetico da parte dei consumatori e integrare i progressi tecnici e di mercato degli ultimi anni, visto che le norme attuali risalgono al 2013. Le nuove etichette includeranno anche una scala per i livelli di rumorosità e standard specifici per identificare gli apparecchi compatibili con il codice di condotta dell’UE sui prodotti a risparmio energetico, oltre a indicazioni sulle pompe di calore che utilizzano fluidi refrigeranti rispettosi del clima.
Le caldaie a gas e gasolio dovrebbero rientrare in classe F, mentre solo gli apparecchi di classe B e C potranno accedere agli incentivi pubblici, riservati principalmente ai microgeneratori, ai sistemi a biomassa e agli ibridi che combinano caldaie a condensazione con pompe di calore.
La portata del regolamento si estende anche oltre: mentre la precedente normativa si applicava a prodotti fino a 400 kW, la nuova versione arriva fino a 1 MW, colmando una lacuna significativa che permetterà di coprire circa il 15% in più del consumo energetico finale dei prodotti di riscaldamento. Complessivamente, le misure di ecodesign ed etichettatura energetica potrebbero portare a una riduzione del consumo di energia finale pari a 60 TWh/anno e delle emissioni GHG a 12 MtCO2eq/anno entro il 2030, oltre a una riduzione delle emissioni di NOx pari a 8 kt/anno.
Se i documenti passeranno la fase di esame senza ricevere il parere negativo di Parlamento e Consiglio, i nuovi regolamenti saranno adottati a inizio 2026. Le nuove regole diventeranno operative nel 2028, due anni dopo l’entrata in vigore, quindi tra la metà del 2028 e l’inizio del 2029.
Marcia indietro o strategia a più livelli?
Ma è davvero una marcia indietro rispetto alla strategia europea di decarbonizzazione? La risposta è più articolata di quanto sembri. Il Regolamento ecodesign disciplina la commercializzazione dei prodotti, ma non modifica i target politici più ambiziosi fissati dalla direttiva EPBD (Energy Performance of Buildings Directive), meglio nota come Direttiva Case Green.
Quest’ultima mantiene l’obiettivo dell’eliminazione completa delle caldaie alimentate da combustibili fossili entro il 2040, anche se il target è solo indicativo. Gli stati membri dovranno comunque predisporre piani nazionali di ristrutturazione − l’Italia deve ancora inviare il suo entro il 31 dicembre 2025 − che contemplino la progressiva eliminazione dei combustibili fossili nel riscaldamento domestico. La direttiva prevede che dal 1° gennaio 2025 siano vietati tutti gli incentivi di natura finanziaria all’installazione di caldaie alimentate da gas fossili, una disposizione già in vigore che l’Italia sta recependo non senza difficoltà.
Proprio su questo fronte, Bruxelles ha aperto nei confronti del nostro paese una fase preliminare di procedura di infrazione legata al mantenimento di alcune forme di contribuzione per le caldaie nel Conto Termico 2.0. La contraddizione è evidente: da un lato si allenta la presa sul divieto di commercializzazione, dall’altro si mantiene il blocco agli incentivi e l’obiettivo del phase-out al 2040. L’obiettivo di abbandonare il gas nel riscaldamento domestico non sarà più raggiunto attraverso vincoli normativi diretti, ma affidato alle azioni politiche e di agevolazione dell’Europa e dei paesi membri. Un approccio meno coercitivo ma che solleva interrogativi sulla sua efficacia reale.
Le reazioni
Le associazioni di categoria hanno accolto con entusiasmo la revisione del regolamento. Giuseppe Lorubio, presidente di Assotermica (l’associazione dei produttori di apparecchi per impianti termici federata in Anima Confindustria), ha definito la precedente proposta come una “misura folle” che avrebbe “danneggiato irreparabilmente il tessuto industriale italiano senza garantire benefici climatici reali”.
L’argomento principale dell’industria del gas è che l’Italia dispone di un parco caldaie vecchio e inefficiente. La sostituzione degli apparecchi obsoleti con caldaie a condensazione moderne garantirebbe già una riduzione significativa dei consumi e delle emissioni, specialmente se questi apparecchi venissero progressivamente alimentati con quote crescenti di biometano e altri gas rinnovabili. Gli impianti più recenti sono già pronti e certificati per l’utilizzo di combustibili alternativi, anche se la disponibilità effettiva di gas verdi rimane ancora molto limitata: nel 2024 la produzione annuale di biometano in Italia si è attestata intorno ai 570 milioni di metri cubi, una goccia rispetto ai 61 miliardi di consumi totali di gas naturale del paese.
Anche Proxigas, l’associazione italiana delle imprese della filiera del gas, ha sottolineato come il 70% delle abitazioni italiane utilizzi il gas naturale, e il patrimonio edilizio nazionale − datato, inefficiente e per lo più condominiale − renda molto limitata la possibilità di diffusione delle pompe di calore elettriche. I numeri parlano chiaro: su 16,6 milioni di abitazioni in classe F e G, solo 5,9 milioni potrebbero tecnicamente installarle. E, considerando anche il reddito delle famiglie, il potenziale si riduce drasticamente a 1,76 milioni di unità abitabili. Una platea che rappresenta appena il 10% degli edifici più energivori del paese.
Il presidente di Proxigas, Pier Lorenzo Dell’Orco, ha ribadito la necessità di un approccio tecnologicamente neutrale: “La decarbonizzazione del settore domestico deve partire dalle possibilità reali dei consumatori e prevedere più soluzioni, non una sola. Affidarsi a un'unica tecnologia non ci permetterà di centrare gli obiettivi europei”.
Il mercato delle pompe di calore in affanno
La revisione del Regolamento ecodesign arriva in un momento delicato per il mercato europeo delle tecnologie alternative. Nel 2024 in 19 paesi europei sono state vendute circa 2,31 milioni di pompe di calore, il 22% in meno rispetto al 2023, segnando il secondo anno consecutivo di contrazione dopo un decennio di crescita. La flessione ha colpito duramente mercati come Germania (-48%) e Repubblica Ceca (-64%), mentre solo il Regno Unito ha registrato una crescita (+56%) grazie a programmi di incentivazione stabili e ben finanziati.
L’Italia mantiene la seconda posizione europea per unità vendute con circa 348.000 pompe di calore installate nel 2024, ma il tasso di penetrazione resta modesto: solo 13,2 vendite ogni 1.000 famiglie, contro le oltre 48 della Norvegia. Il settore lamenta l’impatto negativo dell’incertezza normativa e della riduzione degli incentivi, dopo che molte aziende avevano investito miliardi tra il 2022 e il 2023 per aumentare la capacità produttiva. Il risultato sono stati tagli occupazionali significativi: Daikin Europe ha licenziato 500 persone, Viessmann ha ridotto l’orario per 4.000 dipendenti, Nibe ha avviato un piano di ristrutturazione per 500 lavoratori.
Il testo finale del regolamento Ecodesign sarà pubblicato nella prima parte del 2026 ed entrerà in vigore dopo due anni, quindi tra la metà del 2028 e l’inizio del 2029. Nel frattempo, l’Italia deve ancora completare il recepimento della Direttiva Case Green: il piano nazionale di ristrutturazione non è ancora stato inviato a Bruxelles, sebbene il termine sia fissato al 31 dicembre 2025.
La strada della transizione energetica nel settore edilizio appare sempre più tortuosa. Da un lato c’è la necessità di tenere conto delle reali condizioni del patrimonio immobiliare e delle possibilità economiche delle famiglie, dall’altro gli obiettivi climatici richiedono scelte coraggiose e coerenti. Il rischio concreto è che questo continuo oscillare tra ambizione e realismo si traduca in una strategia poco efficace: troppo timida per accelerare davvero la decarbonizzazione, ma comunque abbastanza incerta da scoraggiare gli investimenti in tecnologie alternative.
La vera scommessa sarà capire se la combinazione tra stop agli incentivi per le caldaie fossili “stand alone” (già in vigore dal 1° gennaio 2025), mantenimento del loro accesso al mercato e obiettivo 2040 (per quanto indicativo) potrà comunque spingere la transizione verso pompe di calore e sistemi ibridi. O se, come temono molti osservatori, si tratti semplicemente di un modo per rimandare scelte difficili a un futuro ancora lontano.
In copertina: foto di Tasso Mitsarakis, Unsplash
