La mappa italiana dei rifiuti urbani mostra un paese in movimento. Nel 2024 ne abbiamo prodotti 29,9 milioni di tonnellate, con un aumento del 2,3% rispetto all’anno precedente. Un dato che viaggia parallelo alla crescita economica: il PIL e la spesa per consumi sono saliti dello 0,7%, a conferma di quel legame ormai consolidato tra produzione di rifiuti e andamento dell’economia. 

I numeri presentati oggi, 11 dicembre, dall’ISPRA nel Rapporto rifiuti urbani 2025 raccontano un paese che ha imparato a differenziare sempre di più. La raccolta differenziata nazionale raggiunge il 67,7%, con una geografia che però continua a disegnare tre Italie distinte: il Nord al 74,2%, il Centro al 63,2%, il Sud al 60,2%, però anche se lentamente il Mezzogiorno sta colmando il divario. Se guardiamo il dettaglio, Basilicata e Abruzzo hanno già superato l’obiettivo del 65% previsto dalla normativa europea, attestandosi rispettivamente al 66,3% e 65,7%. Regioni che fino a pochi anni fa erano considerate in ritardo oggi dimostrano che i cambiamenti sono possibili.

Rifiuti urbani 2025, la classifica

La prima della classe quest’anno è l’Emilia-Romagna con il 78,9%, seguita dal Veneto al 78,2%. La regione segna anche la progressione più significativa, con un incremento di 1,7 punti percentuali in un solo anno. Sardegna, Trentino-Alto Adige, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia si mantengono tutte sopra il 72%.

Guardando ai grandi centri urbani, Bologna guida le città sopra i 200.000 abitanti con il 72,8% di raccolta differenziata, seguita da Padova (65,1%), Venezia (63,7%) e Milano (63,3%). Firenze si ferma al 60,7%, mentre le altre grandi città faticano ancora: Messina al 58,6%, Torino e Verona al 57,4%. Più indietro Genova (49,8%), Roma (48%), Bari (46%) e Napoli (44,4%), anche se tutte in crescita.  Nel complesso, oltre il 72% dei comuni italiani ha superato il 65% di raccolta differenziata.

Obiettivi mancati e costi in crescita

Il sistema impiantistico conta 625 strutture operative per la gestione dei rifiuti urbani, e molte regioni hanno una situazione impiantistica insufficiente. Sul fronte del riciclaggio, l’Italia raggiunge il 52,3%, superando sia il dato 2023 (50,8%) sia l’obiettivo del 50% previsto per il 2020. Manca ancora però un margine di 2,7 punti percentuali per centrare il target del 55% fissato al 2025. E l’asticella si alzerà ulteriormente: al 2030 l’Europa chiede il 60%. 

Dove possiamo tirare un sospiro di sollievo è sui materiali di imballaggio: hanno tutti raggiunto i target europei previsti per il 2025. La plastica, per la prima volta, supera l’obiettivo del 50%, arrivando al 51,1%. Il commercio transfrontaliero dei rifiuti vede l'Italia esportare il 4,3% della produzione nazionale, 1,3 milioni di tonnellate, mentre ne importa 216.000. Campania, Lazio e Lombardia sono le regioni che esportano di più. Danimarca, Paesi Bassi e Austria i principali destinatari. 

Però c’è il lato B della medaglia, e ci riguarda direttamente come cittadini. Il costo medio nazionale per la gestione dei rifiuti urbani è infatti salito a 214,4 euro per abitante all’anno, con un aumento di 17,4 euro rispetto al 2023. Il Centro è la parte del paese che paga di più: 256,6 euro per abitante. Il Sud segue a 229,2 euro, il Nord chiude con 187,2 euro. 

Per colmare il gap, il PNRR ha stanziato 2,1 miliardi di euro per la gestione dei rifiuti e l’economia circolare ed è proprio l’ISPRA a monitorare l’attuazione del Programma nazionale di gestione dei rifiuti, una delle riforme chiave del Piano.

Buoni risultati nel riciclo

Alla fotografia scattata dall’ISPRA si deve aggiungere quella presentata, nello stesso giorno, dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile alla quarta Conferenza nazionale dell’industria del riciclo. L’Italia conferma la propria leadership europea nell’economia circolare: il tasso di utilizzo circolare di materia raggiunge il 21,6% nel 2024, con una crescita di 0,5 punti rispetto al 2023. La media europea si ferma al 12,2% mentre nel riciclo degli imballaggi l’Italia tocca addirittura il 76,7%, ben oltre i target del 65% previsto al 2025 e del 70% al 2030 e i rifiuti speciali riciclati (74,1%) producono 133 milioni di tonnellate di materiali recuperati.

Interi comparti industriali si reggono su questi flussi: l’89% della produzione nazionale di acciaio deriva dal riciclo di rottame ferroso, quasi 20 milioni di tonnellate; il 56% della materia prima dell’industria cartaria è macero riciclato, 5,2 milioni di tonnellate; l’industria del legno ricicla il 67,2% dei propri rifiuti, 2,3 milioni di tonnellate; il vetro supera l’80% di riciclo con 2,1 milioni di tonnellate.

Evidentemente ancora non basta se la dipendenza dalle importazioni di materiali ha raggiunto il 46,6% nel 2024, più del doppio della media europea (22,4%). Il costo di queste importazioni è salito da 424,2 miliardi nel 2019 a 568,7 miliardi nel 2024: un aumento del 34%. Insieme a tutto questo va aggiunto che l’industria del riciclo delle plastiche attraversa una crisi profonda: i fatturati sono calati, domanda e prezzi hanno toccato i minimi.

Nel 2024, pur aumentando la produzione di PET da riciclo, il fatturato è sceso del 18%. La concorrenza del PET vergine a basso costo e di quello riciclato importato, che copre ormai il 20% del mercato nazionale, ha messo in difficoltà le aziende italiane. E proprio nel 2025 la situazione è peggiorata: l’obbligo del 25% di contenuto riciclato nelle bottiglie di PET, in vigore dal primo gennaio 2025, non ha prodotto gli effetti sperati: senza sanzioni, la norma si è rivelata inefficace.

La crisi ha colpito anche gli altri polimeri plastici generati col riciclo meccanico. Le imprese nazionali devono competere con i prezzi bassi delle plastiche vergini e di quelle riciclate importate, sostenendo al contempo elevati costi energetici e di smaltimento per le frazioni non riciclabili.  “L’industria europea del riciclo delle plastiche non dovrebbe perdere l’occasione rappresentata dal nuovo Regolamento europeo sugli imballaggi per espandere le sue attività e per rispondere in modo adeguato alla concorrenza cinese”, ha dichiarato Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Servono però misure urgenti per superare la crisi attuale, per non compromettere le capacità industriali del settore, ma consentirgli di affrontare, con un rilancio, le nuove e impegnative sfide.”

Non è da meno l’altro settore sottoposto a forte stress, e non solo quest’anno, cioè i RAEE, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Il tasso di raccolta in Italia scende sotto il 30% nel 2024, molto al di sotto del target europeo del 65% in vigore dal 2019. Una miniera di materie prime critiche e strategiche che resta largamente inutilizzata e proprio per questo la Commissione europea ha proposto una tassa di 2 euro al chilogrammo per i RAEE non raccolti, che in Italia comporterebbe un esborso di circa 2,6 miliardi all’anno. Il rapporto della Fondazione suggerisce di trasformare questa cifra, o almeno una sua parte, da tassa a investimento pagato dai produttori nei sistemi di raccolta, attraverso le iniziative previste dall’Accordo di programma del coordinamento RAEE con l’ANCI.

L’infrazione europea sul recepimento della direttiva

Però, mentre a Roma venivano snocciolati i dati sulla situazione dei rifiuti urbani e del riciclo, da Bruxelles arrivava una decisione che pesa molto sul quadro complessivo. La Commissione europea ha avviato infatti la procedura di infrazione contro l’Italia per il mancato corretto recepimento della direttiva quadro sui rifiuti, che stabilisce obiettivi vincolanti per il riciclaggio e il riutilizzo dei rifiuti urbani. Il termine per il recepimento della direttiva modificata era il 5 luglio 2020 e la Commissione aveva già inviato una lettera di costituzione in mora nel 2024. Ma non è servito.

Ora, in una nota ufficiale, l’esecutivo comunitario spiega di aver “riscontrato che diverse disposizioni della direttiva sono ancora recepite in modo errato, in particolare quelle relative alla responsabilità estesa del produttore, al riciclaggio di alta qualità, alla raccolta differenziata dei rifiuti pericolosi e ai requisiti minimi da includere nei piani di gestione dei rifiuti”. L’Italia ha due mesi di tempo per rispondere e adottare le misure necessarie. In caso contrario, la Commissione potrebbe deferire il caso alla Corte di giustizia dell’Unione Europea. 

Le lacune normative evidenziate da Bruxelles riguardano aspetti fondamentali del sistema: la responsabilità estesa del produttore è uno strumento chiave per orientare la progettazione dei prodotti verso la circolarità; i requisiti sul riciclaggio di alta qualità servono a garantire che i materiali recuperati possano davvero sostituire le materie prime vergini; la raccolta differenziata dei rifiuti pericolosi è essenziale per la tutela della salute e dell’ambiente.

Il quadro che emerge dai due rapporti presentati oggi mostra un’Italia che ha fatto passi importanti nell’economia circolare, conquistando primati europei nelle performance di riciclo, ma questi risultati rischiano di essere messi in discussione dalle carenze normative e dalle criticità che si sono manifestate in settori chiave come la plastica e i RAEE. La procedura di infrazione europea arriva come un campanello d’allarme: i numeri positivi da soli non bastano se manca un quadro legislativo adeguato. La transizione ecologica non può permettersi di perdere pezzi lungo la strada, né sul piano industriale né su quello normativo.

 

In copertina: immagine Envato