La Cina è vicina, anche con il portafoglio. Dopo sette anni di costante contrazione, gli investimenti cinesi in Europa sono infatti tornati a crescere, con 10 miliardi di euro in nuovi progetti nel 2024.
Lo dice il nuovo report del Mercator Institute for China Studies (MERICS) realizzato in collaborazione con il Rhodium Group. Secondo gli analisti del think-tank tedesco, gli investimenti diretti esteri (IDE) cinesi in Unione Europea e Regno Unito sono aumentati del 47% nel 2024, rispetto al minimo storico che si era toccato nel 2023. Se 10 miliardi non sembrano molti rispetto al picco di 50 che si era raggiunto nel 2016, si tratta però della prima ripresa significativa da quell’anno.

A trainare il rebound, oltre ad alcune grosse acquisizioni in vari settori (Tencent nei videogame in Polonia, Haier nella refrigerazione nei Paesi Bassi, AAC nelle tecnologie per l’acustica in Belgio), sono stati gli investimenti greenfield, cioè la costruzione di nuovi stabilimenti e fabbriche, che hanno raggiunto il massimo storico di 5,9 miliardi di euro. In particolare, sono i progetti legati al settore dei veicoli elettrici a dominare il trend, con un Paese destinatario che sta emergendo come nuova enclave dell’industria EV cinese in Europa: l’Ungheria.

Come cambia la geografia degli investimenti cinesi

Non sono solo gli investimenti in territorio europeo ad essere cresciuti: dopo una fase di relativo ripiegamento sull’industria interna, gli investitori cinesi sono infatti tornati nell’ultimo anno a cercare occasioni un po’ ovunque all’estero. Secondo il database del Rhodium Group, gli IDE cinesi nel 2024 hanno raggiunto i 52 miliardi di euro, e questo nonostante un panorama finanziario piuttosto incerto. Le ragioni vanno cercate sia nella necessità di diversificare le catene di approvvigionamento, anche per mettersi al riparo dalla volatilità della situazione geopolitica e dai dazi, sia nella crescente competitività delle aziende tecnologiche cinesi, soprattutto nel campo del clean-tech.

Cambia tuttavia decisamente, rispetto a qualche anno fa, la geografia degli investimenti. Se fino al 2017-18 la parte più consistente degli IDE cinesi andava verso le economie sviluppate, oggi la tendenza si è invertita e il 64% degli investimenti è indirizzato verso economie emergenti, soprattutto in Asia (32%). Mentre i soldi cinesi destinati a progetti negli Stati sono in continuo e costante declino, rappresentando oggi solo il 4% degli IDE della Repubblica Popolare, vale a dire appena 2 miliardi di euro.

I flussi finanziari dalla Cina all’Europa sono invece in ripresa, ma stanno cambiando destinazioni. Se nell’ultimo decennio la maggior parte finiva in Germania, Francia e Regno Unito (i Big Three, come li chiamano gli analisti), ora invece è l’Europa dell’est ad attrarre i capitali cinesi, e in particolare l’Ungheria, che nel 2024 ha raccolto il 31% di tutti i nuovi investimenti.

I veicoli elettrici sono il settore di punta, e CATL il primo investitore

Non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo, ma è l’automotive l’asso pigliatutto, che si accaparra oltre la metà (5,2 miliardi di euro) degli IDE cinesi in Europa per il 2024.
In particolare, 4,9 miliardi sono andati a progetti greenfield legati al settore dei veicoli elettrici, che oggi dunque rappresenta l'83% di tutti gli investimenti cinesi nella costruzione di nuovi impianti su territorio europeo. Nella top ten degli investimenti più sostanziosi del 2024, ben 7 sono progetti legati agli EV, soprattutto gigafactory di batterie, e di questi, il 62% sono concentrati in Ungheria, a cui seguono Germania, Slovacchia e Francia.

Se il settore degli EV sembra vivere il suo momento d’oro, va detto però che l’anno appena trascorso ha visto anche un crollo del 79% dei nuovi progetti cinesi di veicoli elettrici annunciati. Ad esempio sono stati cancellati i progetti di due nuove fabbriche di batterie di Svolt Energy in Germania e di Nuode in Belgio, mentre il governo svedese ha bloccato la costruzione di una fabbrica di anodi dell’azienda di Shanghai Putailai. La ruota tuttavia non si ferma, e per il prossimo futuro ci sono già in vista alcuni progetti multi-miliardari per ora solo annunciati, come la nuova gigafactory da 7,3 miliardi di euro di CATL, che sorgerà, anche questa, in Ungheria.

I capitali cinesi in Europa hanno dunque preso una strada ben precisa, e la direzione si riflette chiaramente anche nei nomi delle aziende. Nella top five dei maggiori investitori è infatti Tencent, il colosso della digital economy, l’unico brand al di fuori dell’ecosistema degli EV. Gli altri quattro – CATL, Gotion, Envision e Geely – sono tutti grandi produttori di batterie. CATL in particolare è da cinque anni il maggior investitore della Repubblica Popolare in Europa, rappresentando nel 2024 il 16% degli IDE cinesi nel continente.

La tendenza, rileva il report del Mercator Institute, è verso una concentrazione di poche grandi aziende cinesi, che però consolideranno la loro presenza in Europa espandendosi con nuovi impianti anche nei Paesi più occidentali (e già ci sono progetti annunciati in Spagna e Portogallo).

Fabbriche cinesi e ricadute locali

Il fatto che la ripresa degli investimenti cinesi sia trainata soprattutto da progetti greenfield dovrebbe significare, per l’economia europea, importanti ricadute sull’indotto, la creazione di posti di lavoro per i cittadini locali e la possibilità di trasferimento tecnologico. Tutti punti su cui però Bruxelles non metterebbe la mano sul fuoco.
Molti Stati membri, scrivono gli analisti del MERICS, sarebbero infatti preoccupati che “gli investimenti cinesi in veicoli elettrici possano consistere principalmente in semplici operazioni di assemblaggio per aggirare le barriere commerciali, producendo un valore aggiunto locale limitato”. Ad avvalorare questa tesi, ci sono diversi dati sulla prima fase di costruzione degli impianti di BYD e CATL in Europa, che dimostrano come le due aziende abbiano importato dalla Cina materie prime e componentistica; una tendenza che però si era verificata anche con Tesla in Germania. Alcuni casi studio suggeriscono invece che questa dipendenza dagli input cinesi va diminuendo nel tempo: il personale cinese di CATL in Germania è passato ad esempio dal 50% al 23% in due anni (che sono serviti per il training del personale), mentre BYD avrebbe già fatto accordi con vari partner e supplier europei per le sue fabbriche.

Si tratterebbe dunque, secondo i ricercatori, di una dinamica tipica del settore automotive e non di una “problematica cinese”, dovuta alla mancanza di personale tecnico qualificato in loco e alla necessità di importare, in fase iniziale, tecnologie e know-how dalla casa madre.

Sguardo al futuro

Se fare previsioni in questo momento di eccezionale incertezza geopolitica è tutt’altro che semplice, il report del MERICS ne azzarda almeno una con ragionevole certezza: gli investimenti cinesi nel settore EV europeo perderanno slancio nel prossimo futuro. È fisiologico, visto che in questo momento a trainarli è la costruzione di nuove fabbriche, ed è inoltre altamente probabile che la domanda di veicoli elettrici in Europa si rivelerà inferiore alle aspettative.

Detto questo, non è ancora chiaro quali settori potranno prendere il posto degli EV nel cuore degli investitori cinesi. Per il momento il secondo settore più importante è quello dei media e dell’information technology, ma in futuro potrebbe emergere l’industria delle energie rinnovabili, in particolare eolico e idrogeno. Nel 2024 sono infatti stati annunciati una dozzina di progetti cinesi nelle rinnovabili, per ora modesti (a parte l'impianto di elettrolizzatori di Envision da 900 milioni di euro in Spagna), ma non sono ancora stati avviati e dovranno comunque vedersela con le crescenti preoccupazioni per la sicurezza delle tecnologie connesse che ultimamente angustiano i legislatori europei.

Queste preoccupazioni, tradotte in regolamenti e screening più severi sugli IDE cinesi, insieme all’evoluzione delle relazioni UE-Cina, alla totale incertezza delle politiche tariffarie statunitensi e alla congiuntura economica non semplicissima della stessa Repubblica Popolare, costituiscono i termini di un’equazione molto complessa che, al momento, non restituisce un risultato univoco sul futuro degli investimenti cinesi in Europa. Insomma, se il 2025 dovrebbe confermare il trend positivo, il seguito è ancora aperto.

In copertina: Shanghai (Envato Elements)