Nel corso dell’estate 2025 le presenze negli stabilimenti balneari hanno subìto una contrazione del 20-30% rispetto ai numeri dell’anno scorso e luglio è stato, senza dubbio, il mese peggiore. Le motivazioni di questo drastico calo sono varie: dagli aumentati costi dei lidi alle diverse abitudini degli italiani in vacanza, fino all’affermarsi di un turismo più lento ed esperienziale. L’estate italiana del 2025 sta inoltre evidenziando un marcato divario nel settore turistico: mentre i resort di lusso registrano quasi il tutto esaurito, molti stabilimenti balneari lamentano una significativa diminuzione della clientela.

Le strutture di fascia alta hanno infatti registrato un incremento delle presenze, sebbene con tariffe medie più basse e una diminuzione delle spese accessorie, in particolare nella ristorazione. ENIT e Unioncamere riportano che per agosto 2025 è già prenotato oltre il 77% delle camere disponibili nelle località balneari italiane di lusso, con picchi che potrebbero raggiungere il 90% nel periodo di punta. Dati che superano i livelli pre-pandemia del 2019, indicando una forte domanda nel segmento di alta gamma.

Le stime di Assobalneari vedono invece una contrazione “sia in termini di presenze che di consumi” per gli stabilimenti balneari: un fenomeno legato alla riduzione del potere di acquisto delle famiglie e al rallentamento del turismo dall’estero. Il Sindacato italiano balneari della Confcommercio (SIB) ha confermato questa tendenza, evidenziando una riduzione complessiva delle presenze e dei consumi in spiaggia di circa il 15% a luglio, con punte del 25% in regioni come Calabria ed Emilia-Romagna.

“Se a giugno l’aumento complessivo di presenze e consumi è stato pari a circa il 20%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a luglio la riduzione complessiva è stata di circa il 15%”, ha recentemente dichiarato Antonio Capacchione, presidente del SIB.

Quanto costa andare in vacanza?

Secondo un'indagine di Altroconsumo, il prezzo medio per una postazione standard (un ombrellone e due lettini) è salito a 212 euro a settimana, registrando un incremento del 5% rispetto al 2024 e un aumento del 17% dal 2021. Nelle località balneari come Sottomarina, Caorle e Bibione, i prezzi settimanali per una postazione standard variano tra 210 e 250 euro, con una media giornaliera di circa 30-35 euro. A Rimini, i costi si mantengono tra 150 e 165 euro a settimana, senza variazioni significative rispetto al 2024. A Taormina e Giardini Naxos, i prezzi settimanali si aggirano intorno ai 200 euro, con un aumento del 5% rispetto all’anno precedente.

L’aumento dei prezzi ha portato a una riduzione della durata delle vacanze, con molte famiglie italiane che optano per soggiorni brevi o solo nei fine settimana. Secondo Eurostat, il 31,4% degli italiani non può permettersi una settimana intera di vacanza, e anche Altroconsumo ha evidenziato come l’aumento medio del 5% rispetto al 2024 supera il tasso d’inflazione, intorno al 2%, rendendo la voce “spiaggia” una delle più onerose nel bilancio delle vacanze estive. Un fenomeno che solleva importanti interrogativi sulle cause profonde di tale crisi, tra cui l’inflazione e il sistematico aumento del costo della vita che hanno ridotto il potere d’acquisto di molte famiglie italiane, portando a una diminuzione delle presenze nei lidi tradizionali.

Ma non sono solo lettini e ombrellone ad avere subìto rincari. I prezzi degli alloggi hanno registrato un incremento medio del 4% rispetto al 2024, mentre dal 2020 l’aumento complessivo dei prezzi degli alloggi è stato del 34%. In località turistiche rinomate, come la Sardegna, i prezzi possono raggiungere i 2.000 euro a settimana per una camera doppia. Anche le tariffe aeree hanno subìto aumenti significativi. Ad esempio, un volo andata e ritorno da Milano a Mykonos può costare fino a 500 euro, mentre da Roma a Tenerife si arriva a 700 euro. Per una famiglia di quattro persone, una settimana di vacanza al mare nel 2025 può costare circa 6.539,30 euro, segnando un aumento del 2,5% rispetto al 2024.

Nel 2025, riporta Federconsumatori, il 43,2% degli italiani ha deciso di ridurre la durata delle vacanze, optando per soggiorni più brevi o cercando ospitalità presso amici e parenti.  Al contrario, i resort di lusso continuano a prosperare, attirando una clientela internazionale e molto benestante. Il turismo estero, proveniente da paesi come Germania, Francia, USA, Svizzera e Canada, sta infatti crescendo a ritmi più elevati rispetto alla componente italiana, contribuendo al successo dei resort di lusso.

I dati dell’ISTAT per il primo trimestre 2025 mostrano un calo dell’1,1% negli arrivi e dello 0,4% nelle presenze rispetto allo stesso periodo del 2024, con una diminuzione più marcata tra i turisti italiani (-2,2% negli arrivi e -1,4% nelle presenze). Al contrario, i turisti stranieri hanno mostrato una leggera crescita, rappresentando il 51,6% delle presenze totali nel trimestre.

L’economia sommersa degli stabilimenti balneari

Nonostante le lamentele di perdite economiche, molte imprese balneari dichiaravano introiti modesti anche negli anni precedenti alla crisi attuale. Questo potrebbe indicare una diffusa economia sommersa nel settore, con una parte significativa dei guadagni non dichiarata al fisco, una pratica che non solo riduce le entrate statali ma crea anche una concorrenza sleale nel mercato. A dirlo è lo stesso Ministero dell’economia e delle finanze, secondo cui circa il 66% degli stabilimenti balneari presenta dichiarazioni dei redditi con un punteggio ISA (indici sintetici di affidabilità) inferiore a 8, indicando livelli di affidabilità fiscale insufficienti.

Nel 2024, controlli effettuati dalla Guardia di Finanza nel litorale Domitio (Caserta) hanno rilevato irregolarità fiscali nel 70% degli stabilimenti balneari e ristoranti esaminati, con 41 esercizi sanzionati per violazioni fiscali e 16 lavoratori in nero scoperti. Inoltre, sempre nel 2024, la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle entrate di Latina hanno scoperto un’evasione fiscale di oltre 800.000 euro e irregolarità lavorative in più di 20 posizioni tra operatori ricettivi e stabilimenti balneari.

Per affrontare efficacemente la crisi registrata degli stabilimenti balneari, diviene quindi fondamentale riformare anche il sistema delle concessioni balneari, introducendo gare pubbliche trasparenti e criteri equi di assegnazione, contrastare l’evasione fiscale, rafforzando i controlli, incentivando la regolarizzazione delle attività, promuovendo la diversificazione dell’offerta turistica, valorizzando le peculiarità locali e migliorando la qualità dei servizi.

Solo attraverso interventi strutturali e una visione a lungo termine potrà divenire possibile rilanciare il settore balneare italiano, rendendolo più equo, competitivo e sostenibile. In questo senso, la riforma delle concessioni balneari, stabilita con il decreto-legge 131/2024, prevede l’avvio delle gare pubbliche entro il 30 giugno 2027 e la loro conclusione entro il 30 settembre dello stesso anno.

Il sistema delle concessioni balneari in Italia

Il sistema delle concessioni balneari in Italia è caratterizzato da canoni irrisori e proroghe automatiche. Nel 2022, lo stato ha incassato circa 103 milioni di euro da oltre 12.000 concessioni, con una media di 8.500 euro l’anno per ciascuna. Tuttavia, molti stabilimenti fatturano tra i 200.000 e i 300.000 euro a stagione, e nelle località di lusso superano facilmente il milione di euro.

Molti concessionari attuali pagano quindi canoni annuali irrisori rispetto ai profitti generati, con alcuni che versano solo poche centinaia di euro all’anno per ampie porzioni di costa. Una situazione che evidenzia la necessità di riformare il sistema delle concessioni per garantire una gestione più equa e trasparente delle risorse demaniali.

Attualmente, i comuni coinvolti nelle procedure per il rinnovo delle concessioni balneari si trovano in alcune delle regioni più turistiche d’Italia. Tra questi, spiccano Chioggia in Veneto, Ravenna, Cervia e Misano Adriatico in Emilia-Romagna, Imperia, Chiavari e Lavagna in Liguria, e diverse località in Toscana come Camaiore, Forte dei Marmi, Pietrasanta, Viareggio, Carrara e Grosseto. Anche l’Abruzzo ha alcune località coinvolte, come Pescara, Fossacesia e Vasto, mentre nel Lazio troviamo Fiumicino, Formia, Gaeta e Ostia. In Campania, le concessioni riguardano Camerota, Minori, Sapri e Pontecagnano Faiano.

Dal 2006, l’Italia ha smesso di organizzare gare pubbliche per l’assegnazione delle concessioni balneari, in violazione della direttiva europea Bolkestein che impone trasparenza e concorrenza nell’uso dei beni pubblici, e le concessioni sono state prorogate automaticamente, creando un regime perpetuo per molti gestori. Il Consiglio di stato ha però stabilito che le concessioni sono scadute il 31 dicembre 2023 e vanno avviate a gara.

L’apertura alla concorrenza attraverso gare pubbliche trasparenti per le concessioni demaniali garantirebbe maggiori entrate per l’erario, prezzi più competitivi per i consumatori e una gestione più efficiente delle risorse naturali e paesaggistiche. Questo aspetto è visibile nelle regioni che hanno messo a gare le spiagge rispettando la direttiva, come il Veneto. Ma chi non lo ha fatto, la maggioranza delle regioni italiane, si trova in un vuoto normativo che rischia di complicare ulteriormente la situazione.

Impatti ambientali e implicazioni culturali

La crescente antropizzazione delle aree costiere, dovuta alla proliferazione degli stabilimenti balneari, ha portato a un significativo consumo di suolo. Secondo Legambiente, la superficie complessiva delle spiagge italiane misura appena 120 km², con una profondità media di circa 35 metri, occupando solo il 41% delle coste.

Per contrastare l’erosione, spesso si ricorre a opere rigide come pennelli e barriere frangiflutti. Tuttavia, Legambiente sottolinea che queste strutture, presenti in almeno 1.300 km di costa, potrebbero non essere efficaci e necessitano di una riflessione sulla loro reale utilità. Peraltro, secondo il Rapporto spiagge 2024 di Legambiente, le coste italiane sono sempre più vulnerabili a fenomeni come l’erosione, l’innalzamento del livello del mare ed eventi meteorologici estremi.

L’Italia vanta circa 8.000 km di costa, ma in molte regioni la gran parte delle spiagge è occupata dagli stabilimenti balneari privati. Secondo i recenti dati del Ministero delle infrastrutture, oltre il 60% dei litorali fruibili è sottoposto a concessioni. Questo ha comportato una progressiva riduzione degli spazi liberi e gratuiti a disposizione dei cittadini, spesso relegati a porzioni marginali, prive di servizi e poco accessibili. Il diritto alla libera balneazione, sancito formalmente dalla Costituzione italiana e dalla normativa europea, si scontra quindi con un uso privatistico del demanio marittimo che, nei fatti, nega l’accesso equo al bene comune.

L’idea che le spiagge siano di proprietà “privata” è ormai interiorizzata da molte persone, eppure si tratta di un bene pubblico: l’accesso al mare è un diritto, non un privilegio. Mare Libero, un movimento civico, ha documentato numerosi episodi in cui l’accesso al mare è ostacolato da barriere fisiche come cancelli o recinzioni, spesso senza una base legale. Queste pratiche compromettono il diritto dei cittadini di godere liberamente delle spiagge, mentre l’Unione nazionale dei consumatori ha segnalato che alcuni gestori di stabilimenti balneari richiedono il pagamento per l’accesso alla battigia, nonostante la legge preveda che tale accesso sia libero e gratuito. Comportamenti che rappresentano una violazione dei diritti dei bagnanti.

Il turismo balneare dovrebbe essere inclusivo, accessibile e orientato al rispetto dell’ambiente, e non un terreno di rendita garantita per pochi. Restituire le spiagge al bene comune, alla cittadinanza, garantire concorrenza leale e migliorare i servizi è l’unica strada, indicataci anche dalle istituzioni europee, per tutelare un patrimonio collettivo, oggi troppo spesso ridotto a privilegio di pochi.

 

In copertina: foto di Grigorii Shcheglov, Unsplash