Se 30 anni fa un’auto di media cilindrata consumava dieci litri di benzina per percorrere 100 chilometri, oggi a una ibrida ne bastano poco più di tre.

Un’evoluzione incredibile quella registrata nel settore dei trasporti che vede l’affermazione di auto super efficienti, elettriche e ibride, costruite con componenti riutilizzabili (come nel caso delle trasmissioni e dei motori Renault prodotti nella fabbrica di Choisy-le-Roi). 

Purtroppo nell’ambito dell’edilizia, negli edifici in cui abitiamo o lavoriamo, le cose non sono andate nello stesso modo. 

Anche le costruzioni più recenti nella gran parte dei casi utilizzano le stesse tecnologie e impianti di quelle realizzate 30 anni fa: caldaie a gasolio o a gas, coibentazioni mediocri, nessun sistema di gestione intelligente dell’energia. 

In pratica si costruisce con le stesse modalità con cui si costruiva negli anni ’60. Ancora oggi la filiera dell’edilizia è costituita da tanti soggetti (progettista, architetto, impiantista, costruttore, piastrellista) che raramente si parlano e ancor meno seguono una progettazione integrata di tutte le componenti dell’edificio. Si assemblano gli elementi costruttivi senza una reale riflessione sul ciclo di vita dell’edificio: basta che sia tutto a posto al momento della vendita. Nessuno si domanda come cambieranno negli anni le tecnologie, le funzioni e gli usi. L’edificio entra così in un perenne stato assistenziale, fatto soprattutto di manutenzione straordinaria. Quindi più costosa di quella ordinaria e con una maggiore impronta ecologica ed energetica.

A REbuild – una delle più interessanti convention sull’innovazione nel settore edile/immobiliare che si tiene a Riva del Garda e Milano in giugno e ottobre di ogni anno – da molto tempo si discute sulla trasformazione del prodotto “edificio”. Come si dovrà costruire nei prossimi 50 anni per ottenere una significativa riduzione delle emissioni (oggi a livello globale il settore edilizio pesa per il 30% del totale emissioni)? E come per raggiungere livelli più elevati nel recupero di materia, visto che in Europa il 54% dei materiali derivante dalle demolizioni finisce in discarica? 

La parola d’ordine, secondo gli ideatori di REbuild, è “edilizia circolare”. Ovvero guardare all’edificio come un prodotto – massimizzandone il valore d’uso – nel quale la durata di vita è estesa fin dalla progettazione (e non a seguito di ripetuti interventi straordinari) e l’efficienza e performance sono garantite nel tempo. Dove la materia viene “prestata” alla costruzione degli edifici, sempre pronta a essere disassemblata, lavorata e riutilizzata per altre costruzioni o altri scopi; dove i processi sono rigenerativi (nella gestione di tutte le risorse che intervengono ad alimentare la vita di un edificio) e la qualità dell’abitare e la salubrità sono massime. 

Un’opportunità, quella dell’edilizia circolare che, in termini di mercato, potrebbe generare ricavi per 1.010 miliardi di euro entro il 2030, secondo le stime di una ricerca Growth within a circular economy vision for a Competitive Europe sviluppata nel 2015 da McKinsey, Ellen MacArthur Foundation e Sun (Stiftungsfonds für Umweltökonomie und Nachhaltigkeit). Di questo valore, circa 90 miliardi potrebbero interessare il comparto immobiliare italiano, partendo dal patrimonio da riqualificare: nel nostro paese, infatti, sono oltre 13 milioni gli edifici colabrodo da rigenerare in chiave di sostenibilità.

Come attivare dunque l’edilizia circolare? Per trasformare il prodotto “edificio” occorre utilizzare le Ict per la gestione digitale del manufatto durante la costruzione e per tutta la sua vita utile, attraverso tecnologie che oggi si raggruppano sotto l’acronimo Bim (Building information modeling). Non solo: è necessario che la rigenerazione degli edifici entri in una fase di industrializzazione, dove i costi siano minimizzati, così come l’impiego di materiali, e i tempi resi più rapidi. Serve inoltre un’edilizia social, dove sia massimizzato l’uso degli spazi (cohousing, sharing practices, prodotti immobiliari tailor-made). 

Se nel precedente articolo Dominique Gauzin Müller ha introdotto le potenzialità rappresentate dalle filiere eco-locali dei materiali, nelle prossime pagine il tema verrà sviluppato attraverso le testimonianze di David Cheshire, direttore sostenibilità di Aecom, che racconterà cosa significa edilizia circolare, mentre Thomas Miorin presenterà le potenzialità del mercato, ma anche le difficoltà di industrializzazione della filiera. Chiudono questo primo “giro di opinioni” sulla “circolarità” in edilizia le parole di uno tra i più attenti interpreti dell’architettura contemporanea, Mario Cucinella, che propone una visione umana degli spazi e dell’edilizia circolare.

 

 

McKinsey, Ellen MacArthur Foundation, Sun, Growth within a circular economy vision for a Competitive Europe, 2015; www.mckinsey.de/files/growth_within_report_circular_economy_in_europe.pdf

 


  

Intervista a David Cheshire, Sustainability Director presso Aecom

A cura di E. B.

 

Costruire, smontare, ricostruire 

 

 

Se si parla di edilizia circolare in Gran Bretagna si parla di David Cheshire, l’uomo che più di chiunque altro – sul tema – ha analizzato progetti, idee, componenti, soluzioni. Di recente Cheshire ha pubblicato “Building Revolutions: Applying the Circular Economy to the Built Environment”, e lo ha presentato a REbuild 2016, convention sulla riqualificazione e gestione immobiliare, focalizzata quest’anno anche sul circular. 

 

Il libro “Building Revolutions” oltre ad analizzare un numero molto elevato di casi, formula una teoria generale sull’edilizia circolare. Da dove è venuta l’idea di scriverlo?

“In passato ho letto vari testi sull’economia circolare e sono rimasto molto colpito da questo concetto. Per capire come fosse stato applicato all’edilizia ho iniziato a cercare nel mondo quegli elementi rispondenti in qualche modo alle particelle elementari dell’economia circolare. E quindi li ho raccolti nel mio libro.”

 

Quali sono le strategie per realizzare l’economia circolare nel settore dell’edilizia? 

“Per prima cosa occorre pensare alla next-life dell’edificio, cioè a cosa potrà diventare dopo la sua fine. Fino a che non inizieremo a ragionare a lungo termine, continueremo ad applicare un’economia lineare. Per questo motivo nel libro parlo non solo di riqualificare gli edifici ma anche di come ‘smembrarli’ a fine vita e riusarne le componenti, evitando di trasformare (downcycle) ogni cosa in rifiuto. Per fare ciò è importante progettare, sia nelle nuove costruzioni sia nelle riqualificazioni, edifici che possano essere disassemblati e riassemblati in modi molteplici. Ma per arrivare a questo bisogna ripensare tutto, a partire dalle forniture di materiali.” 

 

David Cheshire, Building Revolutions, RIBA Publishing, 2016

 

 

Ci sono nel mondo progetti realizzati che rispondono alle caratteristiche di circolarità? 

“Ho trovato diversi edifici con alcuni elementi di circolarità, ma a oggi è difficile individuare un progetto che contenga tutte le particelle elementari che compongono l’economia circolare. Uno dei più completi è Park 20/20, un business park situato nei pressi di Schiphol, ad Amsterdam. È un progetto nel quale è stata fatta una riflessione sull’intero ciclo di vita dell’edificio, pensando a come possa evolvere diventando ogni volta – smontato e rimontato – un nuovo tipo di costruzione. È un manufatto nel quale è stato controllato accuratamente ogni materiale impiegato, scegliendo quelli più facili da riutilizzare, da riciclare o da compostare.” 

 

Dal mondo dell’industria iniziano ad arrivare componenti realizzate secondo i principi dell’economia circolare: penso alle luci super efficienti o ai tappeti modulari. Vede una reale crescita di questi prodotti?

“Purtroppo no, al momento. Prima di tutto va considerato che oggi solo alcuni elementi dell’edificio possono essere prodotti con questo principio. Per esempio, utilizzare il leasing per gli impianti è complesso, visto che non è possibile dare in cessione d’uso un sistema di ventilazione o una caldaia. Il modello circolare può funzionare invece sulle parti dell’edificio che vengono usate – e sostituite – più frequentemente: si può fare un leasing per le stampanti e computer di un ufficio, per gli arredamenti, i tappeti, le tecnologie domotiche. In questi casi credo possa funzionare il modello product-as-a-service, così che queste apparecchiature possano tornare indietro al produttore, essere rigenerate e rivendute.”

 

Oggi si parla molto di Bim, Building information modeling, i software di gestione degli edifici utili per ottimizzarne le performance. Che ruolo possono avere nell’edilizia circolare?

“Ci sono grandi potenzialità. Se per tutti gli edifici noi avessimo un inventario di ogni elemento, di ogni materiale, con l’indicazione della sua qualità e durabilità, la rigenerazione a fine vita o la manutenzione sarebbero molto più semplici, e si allungherebbe la durata della vita stessa dell’edificio.”

 

Che ruolo può avere la Ue nel promuovere l’edilizia circolare?

“Indubbiamente un primo passo è stato fatto con il Pacchetto economia circolare. L’Europa deve guardare a un’economia circolare a scala continentale. Non possiamo considerare la questione, paese per paese. Più politiche sono attivate, più facilmente l’economia circolare funziona. Ma si può partire anche senza attendere la politica: ci sono benefici immediati nell’adottare l’edilizia circolare attraverso il mercato. Facendo così si creano edifici che valgono di più. Allora, perché attendere?”

 


  

Intervista a Thomas Miorin, co-ideatore di REbuild

A cura di E. B.

 

Social, digital, circular

 

Thomas Miorin ha una missione: trasformare l’intero settore dell’edilizia e immobiliare. E da anni spinge a riflettere su questi temi: riqualificazione sostenibile, rigenerazione, economia circolare per il nostro immenso patrimonio immobiliare, attuale e futuro. “Il mercato è da riconfigurare completamente, grazie alla digitalizzazione degli edifici e dei processi costruttivi e attraverso l’economia circolare nell’edilizia” spiega Miorin ricevendo Materia Rinnovabile nel suo ufficio di Rovereto, inserito all’interno del Progetto Manifattura, un grande incubatore d’imprese e start-up green. Proprio per innovare il settore Miorin ha realizzato insieme a Gianluca Salvatori – l’ideatore del Progetto Manifattura – REbuild, una convention sull’innovazione nell’edilizia e immobiliare. Alternativo agli ormai esausti format dell’immobiliare ed edilizia di nicchia, REbuild ogni anno dal 2013 accoglie il gotha degli imprenditori e dei player del settore a Riva del Garda. Basta vedere i pay-off per capire che qui si respira un’aria internazionale e innovativa: due miliardi di metri quadri da riqualificare, una casa al minuto, innovazione concreta. Questi sono alcuni degli slogan lanciati in questi anni a REbuild. Per l’edizione 2016, poi, si è guardato ancora più avanti, proponendo i nuovi pilastri dell’edilizia: social-digital-circular.

 

Miorin, l’economia circolare può essere applicata all’edilizia?

“Assolutamente sì: il rilancio dell’edilizia passa attraverso una sua riconfigurazione in ottica circolare. Questo rilancio, però, va concepito all’interno di una trasformazione complessiva della filiera, che io definisco industriale. Ci sono già alcuni aspetti anticipatori: la dimensione della sostenibilità e la progettazione integrata che si esplicano nella costruzione dell’edificio e nel suo uso. Si costruisce a strati, con moduli intercambiabili, efficienza energetica spinta, impiegando elementi prefabbricati riutilizzabili. L’uso dell’edificio include la produzione del cibo, la condivisione degli spazi, la connettività e il telelavoro, la manutenzione automatizzata e controllata a distanza. Nell’edilizia circolare sparisce l’idea stessa di scarto, sia esso materia, energia o tempo delle persone. Tutto ha valore e – attraverso la convergenza tra nuove tecnologie disponibili e un nuovo processo organizzativo – è possibile realizzare un’edilizia capace di rigenerare il patrimonio pubblico e privato, ridare energia all’economia del nostro paese, ridurre drasticamente l’inquinamento nelle città e ridefinire il bilancio energetico nazionale.”

 

Parlare di circolarità, però, è ancora prematuro: in Italia praticamente non ci sono esempi. 

“Questo perché tutte le varie fasi di vita dell’edificio come prodotto non sono ancora coperte, in quanto la filiera immobiliare è altamente frammentata. Prima di tutto la fase di progettazione è staccata da quella d’uso. Poi c’è un’altra frattura nella vita di un edificio riferita alla sua gestione finanziaria: i fondi immobiliari di solito hanno un ciclo di sette anni, troppo breve. È la dissociazione fra questi cicli che crea oggi l’impossibilità non solo di pensare all’intero ciclo di vita degli edifici, ma anche di fare operazioni di riqualificazione ed efficientamento.”

 

Dunque come agire per riunire i cicli?

“Passare a un’economia circolare significa cominciare a vedere il prodotto immobiliare come un prodotto-servizio. C’è un doppio passaggio per andare dall’edilizia attuale a quella circolare: uno tecnico-industriale e uno economico-finanziario, legato alla definizione dei parametri di valore accordati tra la filiera. Il che significa – per esempio – sistemi di misura, organizzazione della filiera, soggetti terzi che misurano e garantiscono performance e valore, nuovi strumenti finanziari come green lease, due diligence, nuovi modelli di business (building as a product). 

Ma la parte più rilevante è quella di tipo tecnico. È evidente che oggi non siamo di fronte a un processo rigenerativo. Siamo di fronte, se va bene, a una riqualificazione estetica/funzionale con minimi impatti di efficientamento energetico.

Secondo me, economia circolare nell’immobiliare significa industrializzazione dell’edilizia: l’unica organizzazione tecnico-economica capace di presiedere a un ciclo di vita di un prodotto nell’economia capitalistica è di fatto la dimensione industriale. Non a caso i settori più avanti nell’applicazione dell’economia circolare sono quelli industriali, come dimostrano numerosi casi studio riportati dalla MacArthur Foundation. Perché i soggetti industriali sono gli unici in grado di trasformare un prodotto in un servizio, gli unici che hanno le risorse tecnico-finanziarie per controllare tanti ambiti diversi. E ad avere strutture e risorse per governare una dimensione temporale così ampia e che include addirittura il fine vita o il passaggio alla sua vita successiva.”

 

 

Come è la situazione attuale della filiera in Italia?

“Oggi in Europa il settore dell’edilizia è costituito per il 98% dalla piccola e media impresa; il 90% sono micro imprese con meno di dieci dipendenti, che vivono per il 72% di un’edilizia fatta di manutenzioni ordinarie e straordinarie. Poi ci sono alcuni grandi leader di settore europei, capaci di presiedere l’intero ciclo dell’edificio, che in Italia non vengono perché non trovano interesse di mercato.

Inoltre questo settore così artigianale ha un gap di produttività ore/addetto enorme. Nell’industria manifatturiera si ha una produttività stimata intorno all’88%, nell’edilizia tale valore crolla al 43%. In pratica il 57% del tempo in edilizia non produce valore nel prodotto finale. C’è poi il tema del recupero della materia: in Europa, nelle demolizioni, il 54% dei materiali finisce in discarica. Ma si può fare molto meglio: in alcune nazioni questa percentuale scende al 6%. A Progetto Manifattura, a Rovereto si è riusciti a riciclare il 98% di un’area industriale dismessa di circa 5 ettari. E già esistono edifici pensati come ‘banca di materiali’ e altri completamente smontati e rimontati con nuove funzioni d’uso e senza alcuna perdita di materiali.”

 

Dove devono puntare le nuove imprese dell’edilizia e dell’immobiliare?

“In questa fase direi verso la prefabbricazione, rilievo digitale, digitalizzazione dell’immobile, digital manufacturing, producendo in modo industriale qualcosa che viene poi personalizzato dall’artigianato. Così si elimina una buona parte dello scarto e minimizza la fase di cantiere. Non solo: in questo modo si ottimizza anche la fase di gestione perché si trasforma il prodotto in un prodotto-servizio, super efficiente dal punto di vista energetico e nel quale il valore del risparmio di energia viene internalizzato. Inoltre gli spazi devono essere progettati per essere modulari e per massimizzarne l’uso. Esistono immobili che dopo quattro/cinque anni di vita come uffici poi diventano asili: vengono progettati a layer, con i principi di progettazione dell’economia circolare.”

 

Così si massimizza la funzione di prodotto come servizio.

“Oggi è possibile affittare camere per qualche notte, parti di edifici vengono utilizzati come location per eventi, scuole che la sera diventano luoghi di aggregazione sociale. Ciò può essere una rivoluzione anche per il settore pubblico. Lo Stato non ha bisogno di avere la scuola, come edificio: ha bisogno di un’aula a 20 °C, dalle ore 8 alle 13, con due funzioni, sedie e lavagna, che sia salubre e pulita. Da lì possono nascere mille altre funzioni. E il valore dell’edifico cresce in base all’uso mentre diminuisce quello fondiario. Di fatto REbuild ha messo al centro l’economia circolare perché l’industria edile, se fino a oggi è rimasta praticamente immutata ora deve attraversare una ridefinizione del prodotto-servizio ed entrare nell’era dell’industrializzazione. Quindi bisogna decidere se guidare o no un processo che altrimenti potrebbe essere portato avanti da soggetti esterni. È evidente che questo comporterà una grossa ridefinizione dei carichi occupazionali e della definizione dei ruoli e delle competenze. L’edilizia sarà il settore che, più di tutti, porterà dei cambiamenti: significherà avere più ingegneri che lavorano su modelli digitali che coprono la parte energetico-previsionale di simulazione e organizzare un sistema dell’artigianato. Dal punto di vista del lavoro è evidente che aumentando la produttività ci sarà una diminuzione degli occupati. Ma altri lavori arriveranno dall’economia circolare, che porterà nuove professioni di cui ancora non abbiamo idea.”

 

 

REbuild Italia, www.rebuilditalia.it

Progetto Manifattura, www.progettomanifattura.it

 


  

Foto di Luca Maria Castelli

 


Intervista a Mario Cucinella, architetto

A cura di E. B.

 

Dell’edificio non si butta via niente

 

Mario Cucinella è un’icona dell’architettura sostenibile italiana. Semplicità, partecipazione, studio dell’ambiente, spazi flessibili e salubri. Lo stile emerge naturalmente, non è il disegno né il funzionalismo a dettare legge nel progetto. Chi abita l’architettura viene sempre prima di chi la progetta. Lo abbiamo interrogato sul rapporto tra architetti ed edilizia circolare.

 

Oggi la discussione italiana nell’edilizia appare tutta focalizzata sul tema della riqualificazione sostenibile. 

“In Italia il problema è sempre lo stesso: c’è una grande discussione, si sono fatti tanti incontri e convegni sulle leggi di riqualificazione e di rigenerazione, però poi – di fatto – il meccanismo non è partito ancora.” 

 

S’inizia a parlare di economia circolare ed edilizia. Sta nascendo una nuova riflessione tra gli architetti? 

“L’industria lavora da vari anni sul tema del riciclo delle materie, delle materie prime-seconde, dell’estensione della vita di un prodotto. Nell’architettura è più complicato: un conto è fare una piastrella riciclata, un conto è attivare un processo edilizio di progettazione, costruzione, smantellamento e di riuso. Il che è molto più complesso e richiede una conoscenza che ancora nel mercato non c’è. Però, è evidente che anche il mercato dell’edilizia si sta avvicinando a questo tema, per esempio nel riuso dei materiali: l’edificio non si ‘butta via’ ma si smonta – anche per ragioni economiche – si ricicla, si reinserisce nel circolo produttivo. Ma affinché ciò possa accadere occorre che ci sia anche un’industria che si metta in pista. Perché se la circolarità della materia è possibile, se i processi costruttivi e di progettazione hanno già fatto passi avanti, dietro ci vuole un’industria che prenda i prodotti smontati, li reinserisca nel mercato e li gestisca in modi nuovi.”

 

Può farci qualche esempio di suoi progetti che cercano di sposare il tema dell’edilizia circolare?

“A Guastalla abbiamo realizzato un asilo disassemblabile e riciclabile al 100% costituito fondamentalmente da due materiali, legno e vetro. Il legno utilizzato viene da una filiera di produzione circolare, legata alla forestazione; anche sul vetro è attiva una grande industria di riciclo dei materiali. Inoltre in questo edificio abbiamo realizzato un sistema di raccolta dell’acqua piovana che viene poi impiegata nei servizi sanitari, evitando così di usare quella potabile. Così l’architettura ha anche una funzione educativa: la scuola spiega ai bambini che l’acqua che si usa in bagno può essere anche un’acqua riciclata che viene dalla pioggia. Dal punto di vista strutturale, poi, l’edificio è stato posizionato sul terreno in maniera meccanica, quindi facile da smontare, al punto che potrebbe scomparire senza lasciare tracce.

Occorre, però, pensare anche alla durata di vita di un’architettura: se in passato avessimo ragionato solo con edifici che si smontano e si riassemblano, oggi non avremmo centri storici. Un fabbricato può essere più facilmente riusato piuttosto che riciclato. Penso all’edificio che oggi ospita il mio studio: negli anni ’70 era il deposito di una fabbrica, domani potrebbe diventare un loft, dopo domani chissà. Quindi l’uso e la durata sono importanti quanto la possibilità di riuso della materia.”

 

Il tema dell’uso nell’economia circolare è fondamentale. Così come ci sono oggetti che usiamo solo poche volte all’anno e poi buttiamo, anche gli edifici spesso vengono utilizzati solo qualche ora al giorno: penso alle scuole, alle sale comunali, agli auditorium, agli uffici. Come dobbiamo rivedere l’architettura di questi spazi per massimizzare l’uso?

“Il paradosso è continuare a immaginare di costruire nuovi spazi quando già ce ne sono. Massimizzare l’uso è all’interno di una logica che ha senso a patto che si trovino soluzioni gestionali. Per la pubblica amministrazione questa possibilità va vista come un’opportunità economica: se uso gli spazi di una scuola per diciotto ore invece che le classiche sei/otto ore, ho riscoperto un valore che già avevo ma che non vedevo. Quindi anziché costruire edifici nuovi per fare le riunioni o il centro di aggregazione di quartiere, estendo l’uso di un edificio pubblico sottoutilizzato. D’altronde ciò sta accadendo anche nel privato: pensiamo ad Airbnb, il sito che mette a disposizione stanze private di normali cittadini ai viaggiatori. È un fenomeno rilevante a dimostrazione che l’economia circolare sposta flussi economici importanti da una parte all’altra.”

 

Ha mai progettato un edificio pensando a funzioni plurime? Un edificio che sposa questa filosofia e che incamera già nel disegno questa vocazione multi uso?

“A Pacentro, nell’entroterra aquilano, abbiamo progettato una scuola che nasceva proprio con questo principio, pensata per più classi in verticale (alunni della materna, elementare e media, ndr) visto il numero ridotto di studenti. L’edificio si snoda intorno a uno spazio centrale sul quale si affacciano le aule. Si tratta di uno spazio flessibile a disposizione della comunità: è la biblioteca, ma funziona anche da piccolo teatro, da luogo per la socialità, utilizzabile per la scuola di cucina e come sala per feste e compleanni. Quindi l’architettura nasce fin dal disegno per rispondere a una reale esigenza polivalente.”

 

Scuola di Pacentro (Aq). La circolarità nasce dalla progettazione partecipata

Tutte le immagini ©Mario Cucinella Architects

 

Disegno top-down o processo partecipativo? Come si approccia un progetto circular?

“L’architettura deve intercettare i desideri delle persone, delle comunità: credo che sia l’aspetto più interessante del nostro lavoro. Quello di Pacentro ne è un esempio. Non è un edificio grande, ma dà l’idea di come si può fare, uso, riciclo, utilizzazione nel tempo, all’interno di un edificio che ha tutto il potenziale partendo dall’ascolto dei cittadini.”

 

Il futuro è di edifici pubblici fluidi, tabula rasa da riempire sempre con nuove funzioni?

“Penso alla Sala Borsa a Bologna: è una biblioteca, una piazza, un luogo per internet, per leggere i giornali, per studiare. Un luogo dove si va per prendere un libro, per passare due ore a leggerti le tue cose, a scrivere. Gli edifici multitasking – per dirla con un gergo più contemporaneo – attraggono molte persone, perché ognuno trova dentro quello spazio una soluzione al suo problema. E questa è la funzione di quella struttura.”

 

Rendering del progetto “una scuola sostenibile a Gaza”. Nel 2014 un altro suo asilo, sempre a Gaza, è stato distrutto durante l’operazione israeliana Margine di Protezione

 

La sua casa a Bologna è un unico spazio completamente aperto. I muri diventano una limitazione all’uso, anche negli spazi privati? 

“Oggi si riutilizzano sempre di più gli spazi industriali. Viene da chiedersi: ‘perché?’. Al di là del recupero dell’edificio, una struttura aperta flessibile ha la capacità di essere interpretata in tanti modi diversi e può modellarsi a seconda dei desideri e degli stili di vita delle persone. L’edilizia ragiona ancora come negli anni ’50, si fanno vani e tecnologie. Serve un’architettura flessibile, con una progettualità proiettata nel tempo. Costruire spazi che non hanno una funzione già definita, ma che viene definita dall’uso che di essi viene fatto. L’architetto non deve imporre funzioni. L’architettura diventa un’operazione squisitamente post-strutturalista.” 

 

Dettagli del progetto Scuola di Pacentro. Uno spazio centrale polivalente e classi modulari, per massimizzare l’uso dello spazio pubblico