La demolizione delle navi è una fonte significativa di inquinamento marino. Se non riciclati correttamente, i prodotti chimici tossici presenti nelle navi sono rilasciati nell’ambiente circostante e rappresentano un pericolo sia per l'ambiente che per la salute umana. Un recente studio rileva le enormi problematiche del settore della rottamazione navale e l’inefficacia della governance internazionale.

Le navi che solcano i nostri oceani trasportano oltre il 90% del carico commerciale mondiale. Sono la spina dorsale dell’economia. Le stesse navi sono, tuttavia, fonte di inquinamento, sia durante il funzionamento, che a fine vita. Solitamente dopo 30 anni le imbarcazioni diventano insicure o economicamente insostenibili per l'affaticamento dello scafo e per la corrosione dovuta al carico pesante in ambienti salini. Le navi obsolete sono spesso demolite in maniera impropria. Contaminano così oceano e suolo, mettono in pericolo la biodiversità marina e danneggiano la salute dei lavoratori. Nonostante gli sforzi della governance internazionale, l’industria navale, infatti, trova delle scappatoie per aggirare i regolamenti ambientali sempre più severi.

Rottamazione illegale e bandiere di convenienza

Se alcune navi a fine vita sono deliberatamente affondate per servire come barriere artificiali o utilizzate per l'addestramento militare, la maggior parte è demolita per recuperare acciaio, rame e altri materiali preziosi e riciclabili. In alcuni paesi dell'Asia meridionale, l'industria della rottamazione delle navi è un pilastro dell'economia locale, che fornisce materiali utilizzati dai produttori locali.
Una recente pubblicazione, “
Ship scrappage records reveal disturbing environmental injustice, ha indagato su oltre 22.500 registri commerciali di navi demolite tra il 2000 e il 2019, scoprendo come gli imprenditori dei Paesi sviluppati mascherino la vera identità delle navi, registrandole in regioni in via di sviluppo che hanno approcci poco rigorosi alla protezione dei lavoratori e dell'ambiente. Nonostante la maggior parte delle navi sia posseduta e controllata da economie ad alto reddito - UE, Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone - circa l'80% è demolito solo in tre Paesi - Bangladesh, India e Pakistan - utilizzando un metodo di spiaggiamento che è inquinante e pericoloso. Le navi incagliate sulla costa sono tagliate in parti più piccole utilizzando la manodopera non specializzata e scarsamente protetta.
“Essendo un business globale, una nave controllata da un'entità nel paese A può spesso battere la bandiera del paese B per godere della regolamentazione minima di B in materia di tasse, protezione ambientale e benessere dei lavoratori. Tale pratica commerciale, spesso indicata come bandiera di convenienza”, permette alle compagnie di navigazione di mascherare la vera identità delle navi per eludere regole internazionali, rendendo molti trattati internazionali e regolamenti regionali inapplicabili perché le nazioni delle bandiere di convenienza tendono ad avere poco interesse nella regolamentazione”, racconta uno degli autori della ricerca, Zheng Wan, professore della Shanghai Maritime University.

Oceani e salute a rischio

Lo smaltimento errato delle navi pone problemi a livello ambientale e per la salute dei lavoratori. “La rottamazione delle navi rilascia nel suolo e nel mare centinaia di elementi chimici, tra cui mercurio, piombo, amianto, bifenili policlorurati e pesticidi” sostiene ancora Wan. “La salute dei lavoratori è sempre ignorata dalle nazioni a basso reddito che eseguono la demolizione delle navi. In Bangladesh, ogni settimana un lavoratore muore nei cantieri e ogni giorno un lavoratore viene ferito”.
Secondo un altro studio dello scorso anno, “Assessment of the future mesothelioma disease burden from past exposure to asbestos in ship recycling yards in India, circa il 15% della forza lavoro totale impegnata nel riciclo delle navi in India dal 1994 al 2002 ha sviluppato un mesotelioma, tumore che colpisce le cellule del mesotelio. Si sono verificate 4.513 morti per mesotelioma sul totale di 31.000 lavoratori impegnati nei cantieri. I lavoratori non sono le uniche vittime. Elevate concentrazioni di metalli pesanti, come rame, piombo e zinco, sono state rilevate nei sedimenti lungo le spiagge dei cantieri di demolizione. Questi metalli danneggiano flora e fauna e provocano l'estinzione di pesci e crostacei. Secondo il Marine Institute della University of Chittagong in Bangladesh, 21 specie di pesci si sono estinte e 11 sono minacciate dalle pratiche di smaltimento.

Il fallimento della governance globale

I trattati internazionali e i regolamenti regionali non sono riusciti a risolvere il problema. Basse tasse, neutralità politica e mancanza di trasparenza finanziaria hanno creato paradisi fiscali attraenti per le compagnie di navigazione, molte delle quali vi si registrano come "bandiera di convenienza". I dati ONU mostrano che tra i primi 15 Paesi e territori proprietari di navi, 14 provengono da economie ad alto reddito che controllavano quasi il 70% del tonnellaggio marittimo globale alla fine del 2018. Tuttavia oltre il 78% del patrimonio navale era registrato su suolo straniero, soprattutto in paradisi fiscali come Panama, Liberia e Isole Marshall per le normali operazioni commerciali per poi passare a bandiere ancora meno diligenti come Comore e Palau per il fine vita delle navi.
L'attrattiva economica a breve termine della rottamazione e del riciclaggio delle navi in Paesi a basso reddito è più forte delle regolamentazioni. Le
discariche nei Paesi dell'Asia meridionale spesso offrono quattro volte di più per una nave a fine vita, rispetto all’Europa.
Due convenzioni internazionali hanno tentato, in gran parte senza successo, di regolamentare meglio il riciclo delle navi. La
Convenzione di Basilea, soprattutto, ha lo scopo di ridurre al minimo il trasferimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi verso i Paesi meno sviluppati. Mentre la Convenzione stabilisce che la spedizione dei rifiuti deve avvenire dopo un "consenso informato preventivo" tra i Paesi coinvolti, i proprietari delle navi la aggirano spostando i loro beni operativi fuori dalle giurisdizioni nazionali o in Paesi a basso reddito, svelando gradualmente la loro intenzione di rottamare le navi. Le nazioni a basso reddito diventano i "Paesi esportatori di rifiuti" ufficiali, senza avere, però, la capacità di regolare e supervisionare tali processi. Lo studio mostra che nel 2002 i tre principali armatori dell'UE, degli Stati Uniti e di Singapore scaricavano ancora oltre il 97% delle navi a fine vita in India, Bangladesh, Cina e Pakistan.
La
Convenzione di Hong Kong del 2009 dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO), invece, offre delle linee guida sulla progettazione, la costruzione e il riciclo delle navi per controllare il flusso di materiali pericolosi, ma non è ancora ampiamente accettata (solo 15 paesi che controllano meno del 30% delle navi mercantili del mondo hanno firmato). Gli obblighi, con questa Convenzione, sono perlopiù trasferiti ai Paesi a basso reddito, che hanno bisogno di denaro e non dispongono di risorse per ammodernare gli impianti di riciclo.
Per creare una struttura normativa più restrittiva,
nel 2013 l’UE ha adottato la Ship Recycling Regulation, normativa che limita l’uso di certe sostanze tossiche a bordo delle navi, in base all’Inventario dei Materiali Pericolosi (IHM). La Commissione europea ha adottato ulteriori regolamenti vietando a tutte le navi, indipendentemente dalla loro bandiera, di attraccare in un paese non OCSE a scopo di riciclaggio dopo aver lasciato i porti dell’UE e richiedendo che tutte le navi battenti bandiere dell'UE siano riciclate in cantieri approvati dalla CE. Tuttavia le normative sono inefficaci. Lo studio rivela che nel 2019, almeno il 96% delle navi di proprietà dell'UE ha battuto bandiera al di fuori dell'UE, in particolare in nazioni con bandiere di comodo come Palau (34%) e Comore (28%). Nel 2002, invece, solo il 46% delle navi di proprietà dell'UE aveva una bandiera al di fuori dell'UE.

Navi come banche di materiali

Le navi sono il mezzo più efficiente per spostare carichi massicci, ma devono diventare più sostenibili - già in fase di progettazione partendo dai materiali di cui sono costruite, magari utilizzando il materials passport o essere pensate come banche di materiali. Il settore navale possiede un enorme potenziale per la quantità di materiali preziosi di cui una nave è costituita quali alluminio, argento e – naturalmente – acciaio, che costituisce il 95% del peso di una nave. La Basel Action Network - BAN con il programma Green Ship Recycling punta al riciclo responsabile, alla corretta gestione delle sostanze tossiche e al rispetto dei diritti umani. BAN fa anche parte della NGO Shipbreaking Platform, una coalizione globale di organizzazioni ambientaliste, per i diritti umani e per i diritti dei lavoratori, e si batte contro gli affondamenti effettuati, ad esempio, dalla marina statunitense per fare pratica di tiro. L’affondamento con finalità di addestramento implica che i materiali tossici a bordo di portaerei, dragamine e altro finiscano negli oceani, inquinando i corsi d'acqua e la nostra catena alimentare.